L'eurocomunismo gioca a Varsavia il suo futuro di Aldo Rizzo

L'eurocomunismo gioca a Varsavia il suo futuro L'ERESIA POLACCA SULLA BILANCIA L'eurocomunismo gioca a Varsavia il suo futuro L'eurocomunismo, a che punto è? E' vivo, è morto, ha un futuro o solo un passato? Segnali contrastanti o difficili da decifrare giungono da Roma, Madrid e dalla stessa Parigi, dove, pure, il pcf è clamorosamente tornato al governo. Il ruolo dei partiti comunisti nelle società avanzate dell'Occidente democratico, e nella fattispecie dell'Europa latina, resta importante, in certi casi cruciale E tuttavia si era come attenuata, appannata, l'idea di una trasformazione rapida e decisiva, che avrebbe affrancato i comunisti, certi comunisti, dalle loro più discusse radici storiche e ideologiche. Troppo lenti gli eurocomunisti? Troppo impazienti gli altri? Ricordiamo che l'eurocomunismo, a parte le sue complesse premesse storiche, nacque, per molti versi, meno di sei anni fa, in quell'incontro di Livorno era italiani e spagnoli (Berlinguer e Carrillo) nel quale il nesso inscindibile democrazia-socialismo, la pluralità dei partiti, la laicità dello Stato, venivano indicati solennemente come frutto «non di un atteggiamento tattico, ma di un convincimento strategico», e ancorati a una riflessione critica sull'insieme dell'esperienza comunista «nella situazione europeo-occidentale». Certo, il processo parve allora inarrestabile Quattro mesi dopo Livorno, la dichiarazione congiunta italo-francese. E ancora due- mesi dopo, nel gennaio '76, il XXII congresso del pcf, con lo strabiliante, massiccio allineamento del partito di Thorez («le fils atné de Moscou», il figlio primogenito e prediletto dell'Urss) con le tesi più avanzate e persino spericolate dell'autonomismo crìtico. A giugno, il grande «comizio unito» di Berlinguer e Marchais alla Porte de Pantin, e la parola «eurocomunismo» che per la prima volta risuona in una manifestazione ufficiale. E poi la conferenza intercomunista di Berlino, con Carrillo che dice, davanti a Breznev: «Per anni Mosca è stata la nostra Rema, la Rivoluzione d'ottobre il nostro Natale. Ma siamo cresciuti Siamo usciti dalle catacombe». E infine, l'anno successivo, il «vertice» eurocomunista di Madrid, che, più che l'uscita dalle catacombe, sem brava annunciare la nascita della Riforma. Le delusioni, quando comi n ciarono? Per certi aspetti, nella stessa Madrid, poiché mancò la sfida aperta alla chiesa madre sovietica. E, . subito dopo, quando ci si rese conto che, nella capitale spagnola, non era nato un nuovo «centro» in tercomunista, alternativo a quello di Mosca. Questo, tra la primavera e l'estate del '77. Più grave fu la delusione dell'autunno, con la rottura dell'unione delle sinistre in Francia, per il ripiega mento settario del pcf, altret tanto repentino di quanto era stata, meno di due anni prima, la svolta eurocomunista. Dovevano seguire il cambiamento di tono (e poi di linea) del partito comunista italiano, con l'uscita dalla maggioranza di «solidarietà democratica», e le con traddizioni interne del partito spagnolo, sempre meno raccol to e omogeneo, attorno alla leadership di Santiago Carrillo. * * Un bilancio dell'eurocomunismo viene stimolato, oltre die dai casi dell'attualità, da un libro antologico, curato da Heinz Timmermann (che è il più autorevole studioso tedesco del comunismo europeo e particolarmente italiano). Il 11 bro s'intitola / partiti comuni sii dell'Europa mediterranea ed è il frutto di una ricerca condotta dall'Istituto Affari Internazionali di Roma e dal Bua desinstitut fur Ostwissenschaftliche und Internationale Studien di Colonia (ed. Il Mu fino). L'oggetto della ricerca è più ampio, come indica il titolo, ma il nocciolo del discorso è l'eurocomunismo. Riesaminiamone, dunque, presunti, o reali, fattori di crisi La mancata sfida all'Urss, già nel vertice di Madrid, è spiegabile con ragioni di prudenza diplomatica, e di tenuta delle aree interne più tradizionaliste, ragioni mai smentite dai diretti interessati Lo stesso si può di re per la questione del «centro» alternativo a Mosca. In nessuna occasione si è stati au torizzati a credere che un tale centro potesse sorgere. Sarà vero, come dice Pierre Hassner. uno degli autori dei saggi conducivi dd libro, che gli spagnoli ne hanno avuto la tentazione, e gli italiani forse anche, a differenza dei francesi; ma è altrettanto vero, come riconosce lo stesso Hassner, che la tentazione, se c'è stata, è subito rientrata. Diverso, più complesso, è il caso dell'irrigidimento del pcf nell'autunno dd '77, prologo di un lungo «rigelo» di tipo quasi neostalinista. Secondo Ronald Tiersky vi si esprimeva «un duplice rifiuto: da un lato rifiuto del potere, dall'altro rifiuto di riflettere in modo serio sui problemi reali della società». Si può aggiungere: rifiuto dd potere anche o proprio perché occasione necessaria (nel contesto di una società occidentale avanzata) di ripensamenti critici. E infatti 1'«eurocomunismo» di Marchais non aveva mai avuto alcuno spessore politico-culturale. Si vedrà, ora, dopo la vhtona-cboc di Mitterrand, al di là delle tattiche contingenti, che registrano un nuovo, clamoroso riallinea-' mento dd pcf con le tesi eurocomuniste e addirittura eurosocialiste (come prezzo della partecipazione d governo). Restano i due partiti eurocomunisti sul serio, lo spagnolo e l'italiano. Dopo avere lasciato cadere i riferimenti leninisti anche dallo statuto, il partito di Carrillo è ora in difficoltà. Alla vigilia di un nuovo congresso, il vecchio leader subisce contestazioni da sinistra e da destra, dai filosovietici e dagli «eurocomunistas renovadores». C'entrano questioni generazionali e d'immagine (di fronte al vincente partito socialista del giovane Gonzalez). In fondo, problemi d'identità, a metà di un guado ideologico. Problemi analoghi, pur se diversamente formulati, e in un contesto differente anche (o soprattutto) quanto ai rapporti di forza all'interno della sinistra, affronta il partito italiano. Il suo pericolo, osserva Antonio Filati, è «un'identità fittizia, sospesa in modo insoddisfacente tra un modello d'interclassismo di sinistra (...) e il mantenimento di una fisionomia semi-tradizionale (l'aggiustamento graduale e diplomatico dei tratti leninisti)». Allora le «delusioni» dell'eurocomunismo, quello serio, si rivelano per quello che sono, difficoltà soggettive, ma anche oggettive, nel conciliare, nel mediare, nd transigere tra pezzi diversi, e addirittura contrastanti, della storia e dell'ideologia. Con delle novità, con dei passi avanti, persino sul terreno cruciale dell'organizzazione interna (il «centralismo democratico»); ma pur sempre nell'ambito — conferma Timmermann nel saggio finale — dell'estenuante ricerca di una «terza via». ** Questo libro non parla della Polonia (c'è, circa i partiti non occidentali, un capitolo sulla Lega jugoslava, di Paolo Galimberti). E si capisce, poiché Danzica non è sul Mediterraneo, ma sul Baltico. Però ormai è proprio sul Baltico che si gioca, per molti versi, il futuro dell'eurocomunismo. Se 1'«eresia» polacca, con la sua carica di pluralismo anche dentro il partito, non sarà repressa, potrà derivarne un'accelerazione sensibile ai processi evolutivi dd pei e dd pce e, di nuovo, a quanto sembra, del pcf. Ma, anche se sarà repressa, o soprattutto se sarà repressa, essa metterà gli eurocomunisti d'Occidente di fronte a scelte importanti, anzi decisive. Aldo Rizzo