«Rossi era stato minacciato forse perché sapeva troppo» di Liliana Madeo

«Rossi era stato minacciato forse perché sapeva troppo» n giudice Sica collega il suicidio dell'ufficiale alla P2 «Rossi era stato minacciato forse perché sapeva troppo» ROMA — I volti delle'persone che materialmente istigarono al suicidio il tenente colonnello della Guardia di Finanza Luciano Rossi sono ancora sconosciuti, ma quel colpo di pistola con cui l'ufficiale si uccise nel suo ufficio la mattina del S giugno scorso è stato preceduto da una serie di minacce, intimidazioni, pedinamenti, persecuzioni: il suicidio va collegato con una organizzazione di professionisti del crimine e dello spionaggio, con Licio Gelli e la P2, E' la tesi della Procura di Roma, fatta propria dal dott. Sica nell'ordinanza del 20 giugno con cui motiva la richiesta di trasferimento a Roma degli atti relativi ai vari procedimenti sulla P2. I preliminari dell'inchiesta sulla morte dell'ufficiale hanno accertato che Luciano Rossi era «controllato» da personaggi molto potenti e bene informati. Nessuno, ad esempio, sapeva che alla fine di maggio il giudice milanese Dell'Osso lo aveva ascoltato còme teste. I giornali non ne avevano parlato. L'audizione era stata protetta da particolari misure di riservatezza. Ma a partire da quel momento Rossi si accorse di essere pedinato, fu fatto oggetto di pressioni e minacce, incominciò a ricevere telefonate che non gli lasciavano scampo. Sica racconta che, un giorno, l'ufficiale 'aveva racchiuso documenti riservati, che custodiva in casa, in una busta di plastica, gettandola in un carrello stradale della nettezza ■urbana, ma poco dopo aveva notato che il carrello era stato inusitatamente asportato: Allora Rossi indirizzò a Dell'Osso una lettera-promemoria per ribadire la sua testimonianza. All'interno della Guardia di Finanza l'ufficiale aveva compiuto una brillante carriera. Si era distinto sia per le capacità professionali sia per la mancanza di duttilità di fronte a manovre poco chiare. Dal '68 al '70 aveva lavorato al porto di Ravenna, negli anni appunto in cui incominciava a profilarsi l'esistenza di un illecito traffico dei petroli. Fu trasferito. Dal '70 al '75 aveva lavorato a Roma all'ufficio «I», i servizi segreti della Guardia di Finanza, e in particolare al «servizio occulto» in un appartamento che fungeva da ufficio e abitazione mimetizzato in un grande condominio di periferia. In quegli anni era stato incaricato di svolgere accertamenti sul conto di Gelli. Un appunto da lui redatto è stato trovato nella villa di Gelli ad Arezzo. Il suo predecessore era stato il col. Florio, che fu allontanato dopo un violento scontro con il gen. Giudice, e mori poi in circostanze misteriose. La stessa inchiesta era passata a Rossi, che poi fu trasferito. Ai giudici romani la Guardia di Finanza non ha ancora inviato il curriculum completo dell'ufficiale. Ma quell'arco di tempo fra il '68 e il '75 viene considerato il nodo centrale della questione: allora egli avrebbe potuto conoscere e scoprire informazioni che oggi permetterebbero sia di aprire nuove inchieste sia di convalidare atti d'accusa nei confronti di personaggi già inquisiti. Per questo, in particolare, sono stati ricostruiti gli ultimi giorni di vita di Rossi. Ma, gettando appena uno sguardo indietro, è affiorato che sempre era stato «tenuto d'occhio». Liliana Madeo

Luoghi citati: Arezzo, Ravenna, Roma