Così a Roma sbocciò il Rinascimento

Così a Roma sbocciò il Rinascimento mostre in tutto il lazio sul '400 e il suo spirito innovatore Così a Roma sbocciò il Rinascimento La città attuale deriva da quella del secolo in cui decadde il feudalesimo - Come avvennero la ripresa urbanistica, culturale, edilizia, la riscoperta e la venerazione del passato - La gara tra papi e principi ROMA — Chi abita una città a stratificazioni multiple e multimillenarie come Roma riconosce il turista a colpo d'occhio: c'è il tipo che si attarda a comprare immondi souvenir;; nelle bancarelle che ormai, insieme ai «Ristori mobili», ostruiscono la terrazza del Gialliccio a deturpano Fontana di Trevi o il Pantheon, chi fotografa il Vittoriano e il Palazzo di Giustizia; ma c'è anche l'intenditore che ha le sue preferenze, ricerca le vestigia dell'Urbe arcaica o imperiale o paleo-cristiana o predilige la città barocca del Bernini e del Borromini. Di strada in strada, di piazza in piazza si sgrana un rosario di secoli; e non è forse il più noto quello al quale è dedicata la mostra «// '400 a Roma e nel Lazio» che consiste in una serie di mostre, come per il Piranesi e i Medici, in località diverse: a Fondi dal 13 giugno, a Ostia dal 19, a Bracciano da domani, a Rieti dal 4 luglio e, come le precedenti, fino a settembre. E ancora: a Viterbo dal 3 settembre, a Palestrina dal 19, a Boville dal 26, a Roma (Palazzo Spada) dal 14 novembre. In questi luoghi non va cercata una fisionomia locale o un cosciente sentimento unitario, sono cerchi via via dilatati da un centro propulsore, le opere d'arte che vi si trovano non furono tanto espressioni d'una cultura propria quanto del gusto e dell'ambizione d'un committente; ma tuttavia rivelano la diffusione di quello spirito innovatore che distrusse i valori del Medioevo e si chiamò Umanesimo o Rinascimento. La città attuale deriva da quella del '400: avvenne allora la ripresa urbanistica, culturale, edilizia, la riscoperta e la venerazione del passato. Durante la residenza dei papi ad Avignone, Roma non era più nemmeno una città ma un borgo fatiscente e desolato, per- j cstsCMgTfcmqdpnPlnz corso e insanguinato dalle squadracce dei signori arroccati nelle auguste rovine: gli Orsini nel Teatro di Marcello, i Cenci nella Tomba di Cecilia Metella, i Savelli sul Campidoglio, i Crescenzi a guardia del Tevere. In quel secolo decadde il feudalesimo e si verificò l'accentramento del potere nelle mani di un sovrano. A Roma, quel sovrano era anche capo della cristianità e perciò non poteva accontentarsi di governare soltanto sul territorio di Pietro; pretendeva di esercitare la sua ingerenza c supremazia negli altri regni; di conseguenza, come i Principi suoi con¬ temporanei, stringeva patti, combinava o scioglieva matrimoni, dichiarava guerre, tramava insidie, tradimenti, assassini, conferiva titoli e territori annessi ai nipoti. Espressione appariscente del suo potere — nonché di quello dei nobili, il contropotere — era l'opera d'arte. Ma il papa, che accentrava nelle sue mani l'autorità spirituale e quella temporale, costruiva sia edifici religiosi sia civili; e perciò in quel secolo alle chiese si affiancarono palazzi, biblioteche, logge e le prime raccolte d'arte antica; che poi diventarono i Musei Vaticani e Capitolini. Nella cristianità minacciata dai Turchi — l'atroce massacro di Otranto è del 1480 — si consolidavano nuove potenze, Milano, Venezia, Napoli, Firenze. Il papa Sisto IV della Rovere, zio del famoso Giuliano che fu Giulio II, fu uno dei più attivi promotori dell'edilizia rinascimentale a Roma: è suo il mirabile Palazzo della Cancelleria, con quel cortile che è una musica, sue le chiese di S. Agostino e S. Pietro in Montorio. Il successore, Alessandro VI Borgia, violento e dissoluto, ci appare nell'affresco del Pinturicchio in Vaticano, mentre la bionda Lucrezia, sua figlia, figura nell'immagine di S. Caterina da Siena. Lui pure favori sfacciatamente i propri figli e i congiunti delle sue amanti; fu cosi che il fratello di Giulia Farnese, fatto cardinale a di ciott'anni, diventò papa a sua volta (Paolo III) e fondò dall'alto Lazio verso Nord una dinastia che durò qualche secolo. Pareva che tra papi e sovrani si fosse ingaggiata una gara di costruzioni, segno della loro ricchezza e potenza. L'Italia si rivesti di capolavori; Roma e il Lazio in maggior misura, dato che la nobiltà feudale che apparteneva alla famiglia del papa o gli si opponeva possedeva ville e castelli in campagna quanto torri e palazzi nella capitale. Le autorità culturali attive a Roma — Beni Culturali, Comune, Regione, Provincia e Università — hanno unito i loro sforzi per raggiungere una ricostruzione ambientale e sociale di un momento storico, secondo la tendenza delle esposizioni attuali, di non esporre capolavori avulsi dalla loro matrice. La guida è affidata a M. Calvesi, l'allestimento a R. Einaudi. In occasione di questa iniziativa, alcune opere sono state ricomposte — come il sepolcro di A. Bregno a S. Maria del Popolo —, altre recuperate, come l'affresco di B. Peruzzi a Ostia, che nel '700 fu scialbato da un imbianchino. Papi e principi ospitavano eruditi, pittori, scultori, musici, poeti: non c'è nome illustre di quell'età aurea dell'arte italiana che non sia legato a quello dei signori del tempo: il Bramante, il Sangallo, chiamati a costruire o fortificare o restaurare chiese, abbazie e palazzi, Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano a dipingere. Ricevevano ordinazioni anche gli artisti più eccelsi: Sisto IV incaricò Michelangelo di affrescare la cappella che da lui si chiamò Sistina. Appunto nel V centenario di quest'opera vertiginosa (compiuta nel 1481-1482) si concluderà, nel settembre del 1982. la serie di mostre, con una grande rassegna conclusiva a Roma, che rievocherà gli splendori del secolo. . Un secolo di realizzazioni impareggiabili e di atrocità senza nome, di pensieri sublimi e di turpitudini. Pensava forse al papa Borgia, più che ai signori di Firenze, il Savonarola quando, alla vigilia del rogo, scriveva: «Si trova rare volte e forse mai tiranno che non sia lussurioso... e avaro e ladro, perché non solamente ruba il Principato, che è di tutto il popolo, ma... le cose che appetisce le toglie ai particolari cittadini con vie occulte; e qualche volta manifeste». Mentre lavorava al servizio di quei potenti, e ne conosceva vizi e bassezze, che cosa provava Michelangelo, tormentato dal problema della salvezza? Di questi giorni tornano spesso alla mente i versi che egli fece pronunciare alla statua della Notte, addormentata sul sepolcro di Giuliano de' Medici: *Caro m'è il sonno e più l'esser di sasso mentre che 7 danno e la vergogna dura». Lidia Storoni Bottéga di Antoniazzo Romano: «Scene della vita di Gentil Virginio Orsini» (part. • Bracciano, Castello Orsini Odescakhi)