I cervi fatati di Bartòk, scelta di libertà di Massimo Mila

I cervi fatati di Bartòk, scelta di libertà I CONCERTI DELLA SCALA APERTI DALLA «CANTATA PROFANA» I cervi fatati di Bartòk, scelta di libertà DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — I concerti sinfonici della Scala hanno avuto inizio con un «Omaggio a Bartòk. che fa seguito all'ultimo spettacolo teatrale della stagione d'opera, anch'esso affidato a complessi ungheresi. In questo concerto, prevalentemente corale, faceva spicco la Cantata profana con la quale Bartòk contribuì alla rinascita dell'espressione sinfonico-corale in seno alla musica moderna, cui diedero opera, intorno al 1930, musicisti come Janàcek e Szymanowsky, Kodàly e Honegger, e Strawinsky con la Sinfonia di salmi. Un uomo cosi mite e gentile com'era Bartòk non finisce mai di stupire per il radicalismo estremo delle sue scelte morali. La Cantata profana, che reca per sottotitolo / cervi fatati, completa, con l'erotismo dei Cinque canti su poesie di Andrea Ady e con la celebrazione dell'istinto sessuale del Mandarino meraviglioso, una trilogia in cui l'esaltazione della natura, intesa come equivalente della libertà, e musicalmente scoperta nelle pieghe del canto popolare, si oppone alla civiltà artefatta, in forme di audacia quasi sconvolgente. Sotto il velo d'una trasparente allegoria, la Cantata profana è un elogio della li¬ bertà che il democratico Bartòk oppone alla dittatura paternalistica dell'ammiraglio Horthy. All'occulta presa di posizione politica si mescola, e la sostanzia, la venerazione di Bartòk per la Natura, quel suo sentimento panico che gli faceva scorgere nelle apparenze di questa terra, nella vita delle piante e degli animali, e nell'arte dei contadini, le testimonianze d'una religione immanente, d'una santità, appunto, profana, che fu la norma della sua vita. Natura e civiltà Soggetto e testo li prese da leggende rumene. Un fanatico cacciatore non ad altro alleva i suoi nove figli che alla passione della caccia. E quelli un giorno, usciti nel bosco e passato un certo ponte, si trasformano in nove cervi giganteschi. Invano il padre, andatone in cerca, li supplica di ritornare a casa, dove la buona madre li aspetta, col desco preparato, le candele accese. Loro non torneranno a casa — risponde con inaudita violenza il cervo più grosso, cioè il figlio primogenito —, non torneranno a casa dove la mamma 11 aspetta con la mensa imbandita, ecc., perché i palchi delle loro corna ormai non possono più passare per nessuna porta, perché i loro corpi non possono più ve¬ stire abiti ma solo trascorrere tra verdi fronde, perché non cenere e pavimenti possono più calpestare i loro piedi, ma solo foglie secche, perché la loro bocca non può più bere a bicchieri, ma solo a sorgenti. A casa ci torni lui. il padre, se non vuole ch'essi lo sfracellino sulle rocce con le loro corna e lo calpestino con gli zoccoli dei loro piedi. Due ordini di valori nemici, natura-libertà da un lato, famiglia-civiltà dall'altro, si oppongono in una scelta inesorabile. La forma musicale di cui Bartòk ha rivestito questa leggenda si suddivide in tre parti, la cui diversa natura si può designare, grosso modo, come epico-leggendaria, drammatica e lirica. Nella prima parte si distinguono, cinque episodi, cioè una breve introduzione strumentale, tre diversi episodi corali e un brevissimo epilogo strumentale. Introduzione e primo episodio corale sono come un lento levar di sipario, dove le nubi del tempo si diradano a poco a poco, lasciando allo scoperto le incerte figure di leggenda. Dalla brumosa indistinzione dì questo paesaggio favoloso ci riscuote il secondo episodio corale, una fuga violenta e selvaggia, dove il feroce grido dei cacciatori trascorre in imitazioni sempre più serra¬ te; infine il terzo episodio corale e il breve epilogo orchestrale ritraggono nelle lente armonie d'un corale variato lo stupore magico della metamorfosi a cui vanno soggetti i nove cacciatori smarriti. Nella seconda parte la sostanza della composizione si fa drammatica. Il coro pronuncia pochi versetti di collegamento, come un «historicus» di oratorio, e poi baritono e tenore si fronteggiano in discorso diretto, impersonando il padre e il figlio maggiore. La prima, violenta apostrofe del figlio è una libera aria di tenore, aspra, rettilinea, di brevi accenti spezzati e aggressivamente ascendenti, mentre l'aria di baritono ricade pateticamente in ampie curve discendenti. Sobrietà omerica Per brevi istanti interviene il coro con un tocco appena accennato di pietà per il vecchio padre, che non incrina l'epica impassibilità della narrazione: la scelta della libertà ha un suo duro costo che dev'essere pagato. Sono ormai di fronte due mondi, due nature che non potranno più intendersi. Il compositore non indulge alla compassione: la pietà è nelle cose in sé. nell'inesorabilità della situazione, e non v'è bisogno d'insistervi, tanto più che il suo cuore è dall'altra parte, con la libera ribellione dei figli. V'è una sobrietà omerica nella compostezza con cui questa musica sfiora le corde emotive. Nell'ultima parte il coro riprende la narrazione e le brume della leggenda si richiudono nuovamente sopra l'evidenza drammatica con cui. era emerso, nella sezione centrale, il contrasto dei due solisti: come un bassorilievo che fiorisca per un momento in tutto tondo, e poi ritorni nella sua prima condizione. Il direttore Andras Korody ha governato con competenza l'Orchestra Filarmonica di Budapest e il coro della Radio ungherese. Buoni solisti il tenore Dénés Gulyàs. alle prese con una durissima parte (due do sopra il rigo!) e il baritono Jozzef Gregor. Nella prima parte del breve concerto il coro, sotto la guida del suo maestro Ferenc Sapszon. ha eseguito con finezza e brio pagine vocali di Bartòk, in parte da canti popolari, in parte del tutto originali, come i Cori femminili del 1935, dove di popolare ci sono soltanto i testi, ma la musica è polifonica senza pedanteria. Buona collaborazione, per le «scene contadine» Nel villaggio, del soprano Maria Zempleni e di Erszebet Tusa al pianoforte. Massimo Mila

Persone citate: Andrea Ady, Della Scala, Ferenc Sapszon, Honegger, Horthy, Strawinsky

Luoghi citati: Budapest, Milano