Difendo chi non può rispondere di A. Galante Garrone

Difendo chi non può rispondere PARRI, MONTANELLI E L'ITALIA DEI FURBI Difendo chi non può rispondere Qualche giorno fa leggevo sull'oEspresso», in un dialogo con Nello Ajello, le gustose rimembranze di Indro Montanelli, arguto e divertente come spesso gli accade, sulle vicende del «Corriere della Sera». Ma a un certo punto ho sobbalzato. Nel parlare di Mario Borsa, direttore del «Corriere» all'indomani della liberazione. Montanelli, dopo aver riconosciuto, bontà sua, che si trattava di un democratico, di un galantuomo, dichiarava di non essere mai andato d'accordo con lui, perché «non sapeva che cosa fosse l'Italia», e vedeva, il nostro Paese attraverso l'immagine dell'Inghilterra, dove era vissuto a lungo. «E io a spiegargli amorevolmente che qui tutto era diverso, i laburisti non c'erano, che Pani era un cretino. Lui ammirava molto Parri...». Testuale. Già nel 1945, ai tempi dell'«uomo qualunque», un Giannini aveva dileggiato, con spirito di bassa lega, il «fessuccio parmi»: ma qui Montanelli, che pur sa essere elegante quando vuole, è sceso al livello di un triviale insulto: tanto più basso in quanto egli sa, come tutti, che l'ultranovantenne Parri giace da molti mesi, ormai, ottenebrato, in un letto di ospedale, e non può rispondergli per le rime. (In realtà, se fosse in sé, Parri, gli risponderebbe col suo mesto sorriso e una scrollatimi di spalle). Dunque, nel 1945, Parri era già un «cretino», per Montanelli; e oggi, nel 1981, ribadisce con quella frase il suo giudizio di allora. E qui debbo fare pubblica ammenda di un mio errore. Una dozzina d'anni fa, su un giornale di partigiani GL, alcuni miei compagni erano insorti contro un giudizio piuttosto aspro che sempre Montanelli aveva trinciato sul conto di Parri. Io avevo creduto di dover contraddire, su quel nostro giornale, la protesta dei miei amici, adducendo il gusto del paradosso, della boutade, che aveva probabilmente tradito il pensiero di Montanelli. Il quale mi scriveva, ringraziandomi: «Esattissimo. Ho sempre visto in Parri un Mazzini, e ho sempre visto in ambedue dei personaggi poco italiani». E soggiungeva che i miei «compagni di idee e di fede» non avevano capito «nemmeno che le sue parole volevano suonar condanna non a M. a a P., ma agli italiani e al loro (cioè al nostro) pressappochismo morale». Oggi debbo invece concludere che i miei compagni avevano ragione, e io, con la mia interpretazione troppo benigna, dell'uscita montanelliana, torto marcio. Con le sue parole di oggi, l'«intelligente» scrittore h<i offeso non solo Parri, non solo la memoria di uomini come Salvemini e Calamandrei (che di Parri hanno dato ben altro giudizio), ma anche tanti oscuri partigiani come me. Per questo sento il dovere di protestare. Mi guardo bene dal dire che Parri non abbia commesso, in politica, errori anche grossi (e chi non li ha commessi?). E forse il più grave, insieme con La Malfa, fu la scissione del partito d'azione, nel febbraio 1946. Sarebbe sciocco fare un mito del nostro amato «Maurizio». Ma vorrei solo ricordare, ai lettori in buona fede, che questo «cretino» di Parri è colui che, ufficiale di complemento, elaborò i piani della battaglia di Vittorio Veneto: che al processo di Savona, nel 1927, tenne il contegno che tutti sanno; che diresse la guerra partigiana. É del suo breve governo del 1945, vorrei ricordare l'epilogo, quella sua dignitosa e fiera conferenza-stampa che additava le responsabilità dei partiti di destra e di sinistra, e, con acuta preveggenza, le conseguenze che ne sarebbero derivate, e che scontiamo tutt'oggi. Se di qualcosa è lecito dolersi, è che di siffatti «cretini» ce ne siano troppo pochi, in questo nostro Paese saturo di «intelligenti» e di furbi. A. Galante Garrone

Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Savona, Vittorio Veneto