È torturato con il fuoco perché rinunci a deporre

È torturato con il fuoco perché rinunci a deporre Retroscena dell'aggressione al giovane di Vallecrosia È torturato con il fuoco perché rinunci a deporre Percosso selvaggiamente e ustionato con sigarette accese: ma si salverà - Doveva testimoniare contro una gang di trafficanti di droga SANREMO — Il giorno prima che la giustizia presentasse il conto alla «gang» dei fratelli Aldo. Rodolfo e Mario Mafodda. calabresi trapiantati a Sanremo, e del tarantino Martino Santoro (un gruppo che ha terrorizzato il mondo dei drogati da Taggia a Ventimiglia) gli uomini del racket degli stupefacenti hanno selvaggiamente aggredito Danilo Meletta, 25 anni, abitante a Vallecrosia. tossicodipendente, testimone della ferocia di alcuni uomini che da ieri siedono nel gabbione degli imputati del tribunale di Sanremo. Meletta è stato percosso (quattro costole fratturate), cosparso di alcol etilico e dato alle fiamme vicino a una casetta diroccata nella campagna di Vallecrosia. E' qui che la moglie lo ha trovato, in stato di incoscienza, nel tardo pomeriggio di mercoledì: la donna infatti era andata a cercarlo, preoccupata dalla sua lunga assenza. II giovane si salverà malgrado le ustioni di secondo e terzo grado che gli hanno devastato viso e braccia e le gravissime lesioni. Sembra che abbiano infierito su di lui con calci e colpi di catene di bicicletta: dopo una notte passata, in pericolo di vita, al centro grandi ustioni dell'ospedale di Genova-Sampierdarena, i medici hanno sciolto la prognosi. Qualcuno tenta di accreditare la tesi dell'incidente casuale sostenendo che Meletta si sarebbe recato in campagna, avrebbe ingerito dei sonniferi e si sarebbe addormentato fumando: la brace della sigaretta avrebbe provocato l'incendio del materasso che il giovane aveva portato con sé. Il referto medico, però, sembra smentirla. Gli inquirenti che si sono occupati della vicenda Mafodda-Santoro non hanno dubbi: si è trattato di un «avvertimento» che rien- tra nello stile di chi è al vertice dello spaccio della droga Danilo Meletta avrebbe dovuto comparire davanti ai giudici come teste a carico della «gang», non è il primo che è stato costretto a disertare l'aula del tribunale. Maria Luisa Plos. 23 anni, francese di orìgine, una dei tanti tossicodipendenti legati ai fratelli Mafodda, ha ricevuto telefonate e lettere minatorie che l'hanno indotta a nascondersi. Lo testimonia il suo legale, Giuseppe Romano, di Varese. Il tono delle minacce: «Se ti presenti al processo per confermare quanto hai detto in istruttoria, vedrai ancora soltanto poche volte la luce del sole: sappiti regolare». Sono metodi che non stupiscono. Alle spalle del clan Mafodda-Santoro agiscono uomini del calibro di Walter Roj. l'ex legionario milanese spacciatore di eroina e boss della droga che ebbe a che fare con la centrale per la produzione di stupefacenti scoperta nel castello-bunker di Cereseto, nel Casalese. La «gang» di Arma di Taggia. composta in gran parte da calabresi (nel processo sono coinvolte 36 persone) ha portato in Liguria i metodi e la ferocia delle nuove leve della «'ndrangheta». Ne è nata una organizzazione piramidale, per lo spaccio delle droghe pesanti, al cui vertice vi erano i fratelli Mafodda e Martino Santoro. Si dice che la «gang» per allargare il proprio giro dei •clienti» iniettasse a viva forza l'eroina ai giovanissimi. Poi, caduti in loro balia, li usava come spacciatori. Chi distribuiva le dosi al minuto non incassava danaro. Provvedevano a ritirarlo gli esattori della gang. I tossicomani insolventi (su di loro avevano posto una tangente consistente in due grammi di eroina da regalare ai drogati delatori) venivano legati ad alberi in campagna per intere notti, picchiati a sangue e, sembra, ustionati con sigarette accese. Alle vittime, spesso, si sparava fra i piedi, con la contemporanea minaccia di ucciderli se avessero continuato a non pagare. b. b.