Si affolla il club atomico di Alfredo Venturi

Si affolla il club atomico OSSERVATORIO Si affolla il club atomico In questo momento sono in funzione nel mondo 245 centrali elettronucleari. Dal computo sono esclusi i reattori di ricerca, impianti-laboratorio di potenza generalmente modesta, che non servono a produrre energia. Nei 22 Paesi nei quali sono disseminate, le 245 centrali hanno finora prodotto 4500 miliardi di kilowattore, e l'immissione nelle reti nazionali di energia prodotta con l'atomo prosegue al ritmo di 700 miliardi di kilowattore l'anno. Tanto per capire la dimensione di questo apporto, basterà ricordare che la produzione italiana di energia elettrica è stata, nel 1980. di 180 miliardi di kilowattore. Fra i Paesi a più alta densità nucleare figurano la Svezia, il Belgio, la Francia soprattutto. Sono poi una quindicina i Paesi esportatori di tecnologia atomica. Fra questi, l'Italia, dice il presidente del Cnen, Umberto Colombo, è «pienamente competitiva soprattutto nel campo degli impianti di ricerca». Per quanto riguarda le centrali, la nostra industria attende di farsi le ossa con la realizzazione del piano nucleare italiano, lungamente ostacolato dai movimenti ecologici e dalle opposizioni locali alla scelta dei «siti». Più difficile valutare la consistenza del «club atomico», quello che raggruppa i Paesi che si sono dotati di armamento nucleare. I membri ufficiali del «club» sono 5: Stati Uniti, Unione Sovietica. Francia, Gran Bretagna, Cina. Ma si ritiene, o si teme, che ve ne siano altri: si tratta di Paesi che non hanno voluto aderire al trattato di non proliferazione del 1970. e che nel loro particolare contesto geopolitico, nella qualità delle loro relazioni internazionali, trovano motivazioni sufficienti alla preparazione della «bomba». Paesi come Israele, o il Sud Africa, entrambi, oltre che motivati, tecnologicamente avanzatissimi; come l'India, ossessionata dal ricordo della guerra con la Cina per il Tibet, una ventina d'anni fa, e dalla debolezza dimostrata allora dalle sue forze convenzionali; o come il Pakistan, vicino e rivale dell'India, depositario del progetto di una «bomba islamica». Il subcontinente indiano è fra le regioni più delicate dal punto di vista della proliferazione nucleare. Enrico Jac- chia, che ha diretto dal '68 al '73 il controllo sicurezza nucleare della Comunità Europea, ha visitato di recente il centro nucleare indiano di Trombay, nei pressi di Bombay. Ne parla come di un centro di altissima efficienza, con tremila scienziati e 25 mila addetti. Alcuni anni fa l'India fece esplodere quello che fu chiamato un «ordigno nucleare pacifico»: una bomba, insomma, sia pure spiegata con esigenze di ricerca. Più tardi, New Delhi segnalava al mondo che i pakistani stavano preparando, nel Cholistan, un tunnel destinato a esperimenti atomici sotterranei. Ufficialmente, il Pakistan sta mettendo a punto un programma elettronucleare. Ma non avendo aderito al trattato di non proliferazione, non è sottoposto al sistema ispettivo dell'Agenzia di Vienna. La fornitura da parte della Svizzera di un sistema di «centrifughe» di alta tecnologia pro¬ vocò qualche anno fa una crisi nei rapporti fra Washington e Berna. Ora pare che il Pakistan conti sull'apporto tecnico del Brasile e dell'Argentina, oltre che sulle trasfusioni finanziarie delia Libia. E queste ultime possono averè per obbiettivo proprio la bomba islamica. Lo spettro della proliferazione nucleare, dunque, assilla con buone ragioni chi segue queste vicende, per almeno tre ragioni. La prima è che non tutti i Paesi hanno sottoscritto e ratificato il trattato; la seconda è il rischio della «banalizzazione», il fenomeno per cui costruire la bomba potrebbe diventare sempre più facile. La terza ragione è che non tutti concordano sull'efficacia dei controlli internazionali. Uno Stato sovrano, se ha la volontà di nascondere eventuali diversioni di materiali nucleari dal civile al militare, ne ha anche la possibilità: cosi sostiene uno specialista come Jacchia. La sola strada praticabile, agli effetti del controllo della proliferazione, è l'accordo fra Usa c Urss, i Paesi più interessati a che non si allarghi il già discretamente affollato oligopolio nucleare. «Prendiamo il caso dell'India — dice Jacchia —; le due superpotenze sono in grado di offrire a New Delhi quelle garanzie di stabilità regionale che sole possono spegnere la vocazione atomica indiana». Alfredo Venturi

Persone citate: Jacchia, Umberto Colombo