Morire da uomini di A. Galante Garrone

Morire da uomini LA RESISTENZA IN EUROPA Morire da uomini Forse, per uscire dal mito, dalla retorica, dalle distorsioni polemiche sulla Resistenza, per farne finalmente oggetto di storia e non d'altro, è necessario vederla in tutta la sua complessità nel tempo e nello spazio, intenderne la dimensione europea, esaminare a fondo l'intreccio fra la politica degli Stati e le forze di rinnovamento emergenti dal basso. E' questa l'impresa a cui si è accinto Giorgio Vaccarino con questa sua poderosa Storia della Resisterna in Europa 1938-1945, appena uscita da Feltrinelli. Un'opera che non chiude, ma apre un dibattito storiografico; e che per questo farà discutere e pensare, susciterà problemi e anche dissensi. Si noti, prima di tutto, che già nel titolo si parla di resistenza in Europa e non di resistenza europea; una formula, quest'ultima che, per quanto suggestiva ed esaltante, quasi a indicare una comune fede travalicante le frontiere (e che indubbiamente ci fu: basti pensare alle lettere dei condannati a morte), rischia tuttavia di annebbiare la ricostruzione dei movimenti di resistenza nelle singole nazioni, «quali sono scaturiti da matrici storiche e culturali diverse», e quindi da cogliersi nella loro specificità. E i paesi di cui si parla in questo libro — in attesa del seguito che ci auguriamo non abbia a tardare — sono la Germania, l'Austria, la Cecoslovacchia, la Polonia, naturalmente viste nel più ampio contesto europeo. Sulla Germania ancora oggi contrastano due tendenze storiografiche, che fanno capo alle due Germanie; e si perpetuano polemiche vecchie e recenti. Vaccarino non parteggia, cerca di capire e di spiegare; e a me pare che molto spesso vi sia riuscito. Giustamente egli risale all'indietro, alla repubblica di Weimar, alle colpe prossime e remote della socialdemocrazia tedesca, fin da quando Noske si era avvalso dei corpi fianchi per la repressione della rivolta spartachista, e a quelle dei comunisti di obbedienza moscovita, ligi alla funesta accusa di «socialfascismo» lanciata contro i socialisti, alle acquiescenze o compiacenze delle masse tedesche e dei partiti organizzati di fronte all'ascesa di Hitler, della cui pericolosità non ci si avvide. Non mancò certo una dura resistenza al nazismo; ma fu tardiva, e attuata da diverse e disgiunte forze politiche e sociali in momenti diversi, così che mancò quella saldatura e compattezza ed energia dirompente che si ebbe poi in altri paesi. Un enorme peso negativo ebbe la politica di Stalin nei confronti di Hitler; ma fu anche grave la gretta ed egoistica tolleranza delle potenze occidentali, al limite della viltà. E che dire delle chiese protestanti, e specialmente di quella cattolica? Abbondano, nel libro, documenti deplorevoli di capitolazioni, o di calcoli meschini di tornaconto immediato. Si salvarono solo singole, e non poche, coscienze cristiane: ma l'insieme fu desolante. Prevalse insomma, dappertutto, la mentalità del suddito. * * Non sfuggono, all'attenzione dello storico, gli immensi sacrifici di sangue di una resistenza silenziosa, fatta di oscuri militanti, ed episodi di rara nobiltà Ricordo il gruppo della Rote Kapelle, con la bella figura di von Harnack, che guardando al futuro voleva fosse attribuito alla Germania un ruolo mediatore fra Oriente e Occidente, e passò le sue ultime ore leggendo Goethe e Platone; o il circolo di Kreisau, fondato da von Moltke, che sognava un'Europa civile, su basi cristiane, quale che ne dovesse essere il costo per il suo paese, e che, condannato a morte, scriveva: «Noi esigiamo l'uomo intero». Si adoprarono, tutti costoro, perché non si dovesse mai dire che la Germania non aveva saputo liberarsi con le proprie mani — In Austria, le colpe dei cristiano-sociali e della Chiesa, le esitazioni e le illusioni dei socialdemocratici (più tardi confessate da Otto Bauer), la torbida e pavida politica di Dollfuss spianarono la via a Hitler e aH'Anschluss. In quegli anni di cedimenti c tradimenti, fiammeggia la disperata difesa della «Vienna rossa» nelle tre sanguinose giornate del febbraio 1934, finite con migliaia di morti Si domanda Vaccarino: non era già questa una lotta di resistenza, nel senso suo proprio? Forse è dir troppo; ma certo essa fu un prologo, un presagio della futura resistenza in Euro¬ pa, se dobbiamo intendere questa come necessità di una lotta armata e insieme disperato appello a tutte le classi e a tutti i popoli per la salvezza di una comune civiltà. Del resto, così furono allora interpretate le giornate di Vienna da Carlo Rosselli. Quattro anni dopo, con l'occupazione nazista dell'Austria, le feroci repressioni, le prime stragi di ebrei, il convergere di tutte le opposizioni di quel Paese, su un minimo comune programma di difesa della «piccola patria» libera e indipendente, i sabotaggi e le cospirazioni, comincia la vera Resistenza in Europa. Ed è pertanto da approvarsi la data d'inizio apposta al titolo del libro. Quanto alla Cecoslovacchia, la politica di Benes, che dopo l'occupazione tedesca cercherà, da Londra, di preservare ogni futura possibilità di sopravvivenza del suo Paese con una realistica accettazione della necessità di un'intesa con l'Urss (oltre che con l'Occidente, a cui si sente idealmente legato), l'opposizione interna che si risveglia dopo l'occupazione del marzo '39, le terribili repressioni, le tensioni fra il centralismo dei cèchi e la spinta autonomista degli slovacchi, la conformazione del terreno di Boemia e Moravia, che — a differenza di altri paesi e della stessa Slovacchia — mal si presta a una tipica guerra di bande, e suggerisce piuttosto l'adozione del modello déll'armée secrète, caratterizzano la resistenza del Paese, fino all'insurrezione slovacca e alla liberazione di Praga negli ultimi giorni del conflitto. ** Ad avviso di Vaccarino, la componente più originale di questa resistenza è costituita dal gruppo Pwz, rappresentato da una «corrente media», che tende a un socialismo nella libertà E non a torto vi si possono scorgere alcune almeno delle radici della «primavera di Praga» degli Anni Sessanta. La vicenda più drammatica, e più ampiamente trattata (per quasi metà del grosso volume), è però quella della Polonia. E' una storia conchiusa, e tragicamente conchiusa, ma che sembra aprirsi a problemi attuali, oggi che si comincia a parlare, con accenti commossi e preoccupati, di una «primavera di Varsavia». Anche qui, se si risale all'indietro di qualche anno, ci si trova di fronte alle responsabilità dei polacchi, al cocciuto autoritarismo di un Pilsudski e poi di un Back, al loro nazionalismo esasperato, alla sordida e stolida ingordigia, a spese dei cèchi, nei giorni di Monaco. Ma la più grave responsabilità è nella spietata politica di Stalin verso la Polonia. Le potenze occidentali peccarono certo di una colpevole acquiescenza, pur di salvare la grande alleanza. Ma sia prima sia dopo l'attacco tedesco del giugno 1941, l'Urss fece di tutto per fiaccare la resistenza «nazionale» dei polacchi giungendo al punto di negare all'aviazione alleata l'uso degli aeroporti sovietici per portare soccorso agli insorti di Varsavia, e di deportare a decine di migliaia i resistenti polacchi quando furono costretti a deporre le armi usate contro i tedeschi. La storia di Vaccarino indugia sugli aspetti più belli, e assai poco noti al grande pubblico, di questa resistenza polacca: i cui rappresentanti più degni provenivano in larga parte dai partiti democratici che erano stati all'opposizione fino al 1939. Uno dei momenti più alti di questa lotta contro i tedeschi fu la disperata insurrezione del ghetto di Varsavia. Nacque allora, pur fra difficoltà e perduranti incomprensioni, vecchie di secoli, una solidarietà nuova fra polacchi ed ebrei E questa caparbia, eroica volontà di «morire da uomini» — come disse allora un ebreo di Varsavia —, questa scelta tragica e sublime, dovuta soprattutto all'iniziativa di gruppi sionisti e del Bund socialista ebraico, fu un fatto grande, destinato a mutare la storia del mondo. 11 capitolo sulla resistenza ebraica e la lotta nei ghetti è forse il più bello di questo libro: prende alla gola. La storia culmina nell'insurrezione di Varsavia dell'agosto 1944. L'autore illumina bene sia le ragioni che spingevano i resistenti polacchi a giocare, a fini politico-nazionali, la carta dell'insurrezione, sia quelle che inducevano le grandi potenze — non soltanto l'Urss — a guardare le une con poco favore le insurrezioni cittadine, e l'altra a disprezzare la disperata vicenda dei polacchi a Varsavia, crudamente abbandonati alla loro sorte per un calcolo di freddo realismo politico. La guerra «delle fogne» e delle cantine si risolse in una ecatombe. E nulla sopravvisse di quello Stato clandestino polacco che — fatto unico in quegli anni — si era faticosamente costruito nell'ombra. Una storia così grave e a tratti così fosca si chiude con accenti di speranza. Nonostante tutto, dalla Resistenza in Europa si sono sprigionate istanze di profondo rinnovamento, che non possono morire. A. Galante Garrone