Il premier giapponese è in Europa per evitare una guerra commerciale di Renato Proni
Il premier giapponese è in Europa per evitare una guerra commerciale Se i colloqui non avranno esito la Cee applicherà misure protezionistiche Il premier giapponese è in Europa per evitare una guerra commerciale BRUXELLES — E'arrivato ieri sera in Europa il primo ministro giapponese Zenko Suzuki. Il suo è un viaggio in sei capitali (Bonn, Roma, Bruxelles, Londra, L'Aia e Parigi) per ascoltare il 'Cahier des doléances* sulle esportazioni nipponiche, per offrire forse qualche promessa di buona intenzione, per calmare gli animi. Alla commissione di Bruxelles e nelle capitali della Cee, dopo cinque anni di inutili negoziati e di varie promesse da parte di Tokyo, si spera ancora in un impegno preciso da parte di Suzuki dell'autolimitazione dell'export nipponico ma ci si tiene pronti anche ad attuare azioni unilaterali di carattere protezionistico. I colloqui di Suzuki con Schmidt, Forlani, la signora Thatcher e Mitterrand offrono l'ultima occasione per evitare una *guerra commerciale* che, dopo aver coinvolto la Cee e il Giappone, potrebbe estendersi su scala mondiale. Le scelte sono limitate perché la disoccupazione nella Comunità ha superato il totale di 8 milioni e perché potenti settori industriali, politici e sociali premono perché sia riequilibrato lo scambio tra la Cee e il Giappone. Nel 1980, il j passivo nella bilancia commerciale con il Giappone per i dieci Paesi comunitari è stato di quasi 14 mila miliardi di lire e nei primi tre mesi di quest'anno c'è stato un sensibile peggioramento, soprattutto nei settori automobilistico ed elettronico. Suzuki, prima di lasciare Tokyo, ha detto: «Darò un contributo alla soluzione dei problemi commerciali con l'Europa», ma ha subito aggiunto; «La questione riguarda soprattutto le industrie interessate». Se i negoziati tra Suzuki e i leaders europei avranno lo stesso esito negativo dei colloqui finora svoltisi a vari livelli, la commissione europea presenterà ai ministri degli Esteri della Cee, che si riuniscono il 22 e il 23 giugno a Lussemburgo, un dossier delle eventuali contromisure. I ministri degli Esteri lo passeranno ai capi di governo europei, il 29 e 30 giugno, e infine il problema verrebbe discusso al vertice economico mondiale di Ottawa in luglio. Tuttavia, la Cee è disunita: la Germania è propensa ad accettare in pieno le regole del libero scambio, la Grecia, la Danimarca e l'Irlanda voglio¬ no le auto giapponesi perche sono meno care e perché non hanno industrie nazionali da difendere, l'Italia, la Francia, e in misura minore l'Inghilterra, hanno già imposto limiti all'importazione di vetture made in Japan. I giapponesi chiedono — invece — una linea comune europea, cioè Va- bolizione delle quote di certi Paesi e soltanto dopo un eventuale negoziato globale sull'autolimitazione. In teoria, il Giappone può sostenere di avere restrizioni soltanto su 27 prodotti europei, mentre la Cee li ha su 70 prodotti giapponesi, ed imporre tariffe più basse di quelle vigenti in Europa, ma in pra tica il mercato giapponese è impenetrabile. La difficoltà ultima nell'imporre restrizioni alle importazioni giappone si sta nell'esigenza di non violare gli accordi Gatt. Ma nel settore automobilistico, ove l'import giapponese rappresenta il 10 per cento del mercato europeo e il 30 per cento in Paesi come l'Olanda e Belgio, la situazione è giudi cata insostenibile. Suzuki sarà a Roma domani. La bilancia commerciale italiana con il Giappone è passiva per oltre 200 miliardi di lire. Poche auto giapponesi entrano in Italia 12200 all'annoi ma la nostra industria automobilistica ha perso quota nel mercato europeo a causa della forte penetrazione giapponese. Inoltre, Tokyo blocca i nostri prodotti come le scarpe e le sostanze chimiche. Renato Proni
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