Occhi esistenziali puntati sul «boom»

Occhi esistenziali puntati sul «boom» MILANO RISCOPRE LA SUA «GIOVANE PITTURA» DEGLI ANNI CINQUANTA Occhi esistenziali puntati sul «boom» MILANO — Nel 1956. cinque giovani pittori da poco usciti da Brera, dalla scuola liberissima ma moralmente impegnativa di Aldo Carpi, affrontano le loro prime personali milanesi: tre al Centro ■dei Gesuiti di San Fedele, Giuseppe Guerreschi (Milano 1929). Mino Ceretti (Milano 1930). Bepi Romagnoni (Milano 1930): due alla Gallerìa «Pater». Giuseppe Banchieri (Milano 1927) e Tino Vaglieri (Trieste 1929, a Milano dal 1948). Se vi aggiungiamo il sodalizio artistico fra Vaglieri e Gianfranco Perroni (Livorno 1927), abbiamo la situazione originaria di quella «giovane pittura milanesedi cui parla nello stesso anno Raffaele De Grada su Realismo, e alla cui origine e sviluppi è dedicata a Milano, fino al 27 giugno, una mostra presso la Galleria San Fedele, in collaborazione con la Regione Lombardia e il Comune di Milano. L'ottimo catalogo di Mascherila, documentatissimo nella sua rigorosa modestia di un'ottantina di pagine, affronta il nodale momento di •crisi», e ideologica e culturale, che affiora con sofferta e autentica violenza nelle opere di quei giovani che coerentemente ed esistenzialmente non vollero nemmeno allora essere «gruppo»: è una crisi, fra i termini storici e umani dei fatti d'Ungheria, del «rapporto Kruscev» e delle grandi speranze del disgelo fra Kruscev, Kennedy e Giovanni XXIII, che coinvolgeva opposte culture critiche e artistiche nella ricerca di termini e terreni di confronto e di incontro (Kaisserlian e De Micheli. Valsecchi e Testori: e c'era un Arcivescovo che si chiamava Montini, e all'Università un filosofo che si chiamava Enzo Paci). Vi era almeno un punto d'incontro, che era lo stesso dei testi «periferici» di Fortini per le canzoni di Carpi, degli emarginati cantati e mimati da Jannacci, da Gaber. da Fo: l'individuazione e l'insofferenza per gli elementi di aridità culturale, dì meccanica violenza sugli uomini e sulle cose, di «colonialismo», tipici del boom, a Milano più che altrove. Il 1956 è l'anno di fondazione della «Torre Velasca» e della prima torre per uffici dell'Eni di Mattei a Metanopoli, mentre un anno prima è cominciato a sorgere davanti alla Stazione Centrale il nuovo mausoleo industriale, il «Pirellone». Esattamente allora, certo sull'ondata espressionistabrechtiana di Strehler e Grassi al «Piccolo Teatro». Grosz e Dix riprendono a passeggiare e «vedere» in Montenapoleone. nelle for¬ me grafiche e pittoriche di Guerreschi (si veda la precisa testimonianza di Ferroni in catalogo); dalle pareti della mostra ci colpisce la frantumazione del realismo ortodosso nell' Uomo allo specchio rotto di Ceretti, mentre la Morte del minatore di Vaglieri supera anch'essa l'ortodossia di Guttuso e Migneco per gettare forse un ponte fra Grtlnewald e Sutherland. in attesa delle imminenti «scoperte» di Giacometti e di Bacon. Nella netta, e persino ricercata diversità di ricerche e di soluzioni, è comune il «superamento» del realismo sociale ma altrettanto, e ancor più. la rigorosa difesa (a quella data coraggiosa, a livello mercantile) contro ogni vocazione, allettamento, ondata concettualmente non figurativa, rappresentata nella Milano Anni 50 dall'astrazione rigoristica del MAC c dalla gestualità e materiata degli spazialisti e nucleari. Ilo usato di proposito la sottolineatura concettuale: perché, per quanto riguarda i suggerimenti formali e linguistici, l'attenzione di quei giovani si rivela multiforme e onnivora, sotto il controllo di un'aspra e dolente intelligenza e volontà di comunicazione di «cose» e di «fatti >. Ad esempio, il materismo spaziale di Crippa e Dova è ben presente nelle sanguigne esplosioni o implosioni che frantumano i racconti tragici di Guerreschi intorno al 1960. cosi come il grottesco di Baj influenza, altrettanto quanto Jorn o Mathieu. l'evoluzione di Romagnoni. mentre ritroviamo traccia delle sue «textures» di ascendenza dubuffettiana nelle degradate Città e Spiagge di Banchieri e Ferroni. sempre fra Anni 50 e 60. Per questo, certe apparenti collusioni evolutive, specie di Ceretti e di Vaglieri. con una «moda» informale e materica ormai inaridita proprio nel momento di massima espansione italiana, sono in realtà arricchimento linguistico sul persistente fon- do di realtà, concretezza esistenziale. E sono allora ragioni di fondo, e non di semplice «primogenitura», quelle che dettano la reazione di Romagnoni. ricordata in catalogo da Mascherpa. contro il rapidissimo diffondersi — dopo il subitaneo crepuscolo dell'informai-materico — della cosiddetta «nuova figurazione». Proprio Romagnoni. precocemente scomparso nel 1964. aveva saputo trarre dalle nuove poetiche oggettuali — «pop» e «neodadaiste» — non il puro suggerimento formale del «collagedi fotoimmagini cronachistiche della civiltà dei consumi, ma strumenti, tutt'altro che formali, espressivi di una tetra realtà dissociata e alienata nell'intimo, nella perdita dei valori. La stessa, che sente ed esprime con frantumante violenza fisica Guerreschi, avendo come parallelo la scultura di Bodini. La stessa che impronta, con feroce delicatezza anche cromatica (dopo la caratteristica prevalenza iniziale, in tutti, di bianco-neri e grigi «sironiani». su cui si innestano con naturalezza le gamme di Giacometti e Bacon), ii definitivo mondo di «spettri» di cose, di persone, di frammenti di natura, del solitario Ferroni. Marco Rosei Mino Ceretti: «Uomo aio specchio rotto» (olio su tela, 19S6)