Ma in Irlanda qualcosa si muove di Mario Ciriello

Ma in Irlanda qualcosa si muove DIETRO TENSIONI E SCIOPERI DELLA FAME, UN DIALOGO LONDRA-DUBLINO Ma in Irlanda qualcosa si muove Nella giungla irlandese c'è un percorso obbligato: l'Inghilterra deve convincere i protestanti a spartire con i cattolici il potere nel Nord - Un esperimento fallì, occorre ritentare - Già si scrutano vari disegni:- un Ulster indipendente oppure sotto la «sovranità congiunta» di Eire e Regno Unito; una unificazione delle due Irlande - Una soluzione tra 10 anni? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BELFAST — Fare il cronista a Belfast è scoraggiante. Si scrive e si descrive, ma con la consapevolezza di essere incompresi o malintesi. Non è colpa di nessuno. E'colpa del 'problema-, un maledetto problema, un mostro mitico con troppe teste e troppi tentacoli per essere ingabbiato in un dispaccio di giornale o in una sequenza televisiva. Non sono fili, bensì viluppi rugginosi e sanguinosi che uniscono i protagonisti e gli eventi: non esistono 'buoni» e 'Cattivi', in assoluto, ma come in un dramma di Shakespeare è tutto un ribollire di passioni, dalle più luminose alle più oscure. «Siamo prigionieri della storia., ricorda Eddie McAteer, un politico nazionalista di lunga esperienza: una prigionia dalla quale non sarà facile evadere. Eppure, qualcosa si muove. Con un po' d'immaginazione e di fiducia, si può anche spelare in una soluzione, non certo entro breve tempo, una decina di anni forse. Una soluzione definitiva? Chi può saperlo? Un trasferimento dell'Ulster dalla sovranità.di Londra a quella di Dublino potrebbe trasferire anche le sue antiche paure: la maggioranza protestante diverrebbe minoranza, i suoi irredentisti prenderebbero il posto di quelli dell'Ira e potrebbero colpire con violenza non meno feroce. Si esplorano pertanto diverse strade, tutte piene di pericoli, mentre gli 'Scioperi della fame' ingigantiscono l'altro rischio, quello dell'immobilità, della paralisi. Oltremanica e oltreatlantico, molti non hanno ancora notato questa evoluzione e, con superficialità imperdonabile, continuano ad accusare l'Inghilterra di «colonialismo» e di cecità politica. Londra ne ha certo commessi di eri-ori, soprattutto prima del 75, quando tollerò una supremazia protestante nell'Irlanda del Nord: ma da allora il suo desiderio dì disfarsi della provincia o di spartirsene la responsabilità è cresciuto con ritmo incalzante. Questa nazione, che non ha i soldi per gli ospedali, per le scuole, per la Royal Navy, la marina, deve reggere nell'Ulster un peso finanziario tra i due e ì tre miliardi di dollari l'anno. Cosa riceve in cambio? Cadaveri di soldati, terrorismo, proteste internazionali. In teoria, dunque, una terapia del cancro nordirlandese non è impossibile: ma le frustrazioni dei medici sono quelle di chi tenta di quadrare il circolo. Non basta soddisfare gli interessi materiali, pratici, concreti, bisogna aprire un varco nella muraglia eretta da secoli di lotte. glorie, disastri, cause nobili e cause sbagliate, visioni troppo romantiche e visioni troppo meschine. Occorre superare colonne di morti, dimenticati forse dalla storia ma non dagli irlandesi, morti di tutte le fedi, vittime innocenti e vittime colpevoli. Colonne cui si aggiungono adesso Bobby Sands e gli altri digiunatoti dell'Ira e tutti coloro, inglesi o protestanti, che l'Ira ammazza nelle città e nelle campagne. Dal 1607 Quando è nato il 'problema Ulster»? Conviene fare questo viaggio nel passato: diverranno più comprensibili il travaglio di oggi e le prospettive di domani. Quattro settembre 1607. Una nave francese è all'ancora dinanzi a Rathmullen, nel soave specchio d'acqua di Lough Swilly, all'estremo Nord del Donegal, in quella che è ora la Repubblica irlandese. Due uomini salgono a bordo, il vascello salpa verso il continente europeo. L'episodio entra negli annali con il nome «The flight of the earls», la fuga dei conti: partivano in volontario esilio Hugh O'Neill, conte di Tyrone, e Rory O'Donnell, conte di Tyrconnell. Erano gli ultimi due grandi capi gaelici e cattolici di un'Irlanda caduta, perché divisa, sotto la signoria britannica. Le terre dei due conti, subito giudicati traditori, veniva¬ no confiscate dalla Corona, che senza indugi, tra il 1608 e il 1610, valendosi in parte dei capitali e delle gilde della City, ne ordinava la plantation, la colonizzazione. I possedimenti di Tyrone e di Tyrconnell corrispondevano più o meno all'Ulster di oggi: e ivi s'insediavano migliaia di inglesi e di scozzesi, dì fede anglicana e presbiteriana, comunque protestante. Nel 1622, ve n 'erano 13 mila: già si erano gettate le sementi dei conflitti futuri. Il tentativo politico di una colonizzazione totale era fallito. Si era creata invece un'isola artificiale di usurpatori che si sentiva circondata e odiata, un tsola britannica in un oceano irlandese. Passano gli anni, si arriva al secolo scorso, la minoranza protestante è adesso maggioranza nell'Ulster: una maggioranza che vede con crescente apprensione la possibilità d'essere ingoiata da un'Irlanda indipendente. Con la fine della prima guerra mondiale, dopo un anno e più di sanguinosi attacchi dei patrioti, sotto i vessilli dell'Ira, e di brutali rappresaglie inglesi, Londra e Dublino firmavano, il 6 dicembre 1921, l'Anglo-Irish Treaty. Nasceva l'Irish Free State, libero sì, sebbene con status di dominion, cioè tuttora loyal alla corona britannica: e privo di sei delle 32 storiche conteee irlandesi, e sei dell'Ulster. Con la minaccia di rivolte, con grinta e astuzia, il Nord aveva costretto Londra a cu- stodirlo nel Regno Unito come regione autonoma. A questo punto, il giuoco diviene ancora più complesso, nuovi veleni intossicano fatalmente i rapporti fra Dublino, Belfast e Londra. E' un capitolo che non riceve mai sufficiente attenzione nei racconti giornalistici e anche storici, ma la cui importanza è decisiva. L'Ira non accetta l'accordo Dublino-Londra, vuole sovranità totale, vuole in particolare le sei contee irredente, attacca la neo-amministrazione irlandese con furia selvaggia. Oltre un anno dura la guerra civile, tra il '22 e il '23, una guerra spietata. In uno dei grandi drammi di questa nazione, terroristi o dell'Ira o di una fazione alleata assassinano Michael Collins, eroe della lotta armata contro l'Inghilterra, ma firmatario poi dell'Anglo-Irish Treaty. Chi condanna oggi I'«intransigenza» di Margaret Thatcher non conosce quella di Dublino. Nel '23, il governo dell'Irish Free State imprigionò ben 13 mila nazionalisti, accettò senza indietreggiare la sfida di vari digiuni, fucilò, senza processo, 34 capi dell'Irish Republican Army. Tra i leaders dei nazionalisti, degli irredentisti spiccava Eamcnn De Valera, il quale rinunciò alla lotta, riconobbe 10 Irish Free State e nel '32 ne divenne primo ministro. Persino De Valera però deve impugnare le armi contro l'irriducibile Ira. Anch'egli non cerca di salvare chi aderisce a 'Scioperi della fame- e nel '36, in reazione a una serie di attentati, esilia l'Ira tra le «organizzazioni illegali». Quattro combattenti dell'Ira sono giustiziati a Dublino: fra loro, un vecchio partigiano di molte battaglie contro gli inglesi. Tutte queste convulsioni non potevano non esasperare 11 senso di vulnerabilità dei protestanti del Nord. Persino le loro frontiere erano ancora oggetto di studio. Nessuno può difendere le ottuse politiche di Belfast tra il 1922 e gli Anni 70, nessuno può giustificare le molte e aspre forme di discriminazione a danno dei catteliei: si può solo ricordare che, se lirredentismo del Sud non avesse arroventato per anni e le campagne dell'Ira e la retorica di Dublino, l'Uster protestante non avrebbe forse reagito rinchiudendosi in una fortezza medievale Negli Anni 20, il ministro dell'Irish Free State O'Higgins, uomo del Sinn t'ein. gridava: «Perché gli orangisti del Nord dovrebbero unirsi a noi. quando ci siamo dilaniati invece di costruire uno Stato che li attraesse e assorbisse?». Cinque gruppi // naufragio di tante politiche, di tante illusioni, di tante battaglie ha lasciato sulla spiaggia cinque gruppi, nessuno dei quali può essere ignorato se si vuole che la pace scenda un giorno sull'Irlanda del Nord. Non basta piangere per Bobby Sands e gli altri digiunatoli: bisogna ascoltare anche gli altri protagonisti. Si sono scritti fiumi di parole sui suicidi per inedia, ma quasi nulla si è detto di Paddy Devlin, pugnace difensore dei cattolici, costretto ad abbandonare la sua casa di Belfast per le tremende minacce dell'Ira contro la sua famiglia. E troppo poco si è parlato della triste sconfitta elettorale di Gerry Fitt, coraggioso leader cattolico, battuto per avere sferzato l'Ira e il suo fanatismo. Cinque gruppi, dunque. I protestanti (due su tre dei nordirlandesi, il cui numero complessivo supera il milione e mezzo!, i discendenti dei coloni anglo-scozzesi, non sono sempre concordi su ciò che vogliono, ma lo sono su ciò che non vogliono: ripudiano il ruolo di minoranza in un'Irlanda unita, sono pronti a battersi, a sabotare ogni disegno. Vicini ma separati da un abisso, i cattolici nordirlandesi, in maggioranza moderati, per i quali invece il futuro dell'Ulster dev'essere con e nell'Eire. I più condannano la violenza dell'Ira, tuttavia ne condividono l'irredentismo. Accettano le istituzioni di Londra e Belfast senza fedeltà, senza fiducia. Il terzo gruppo è formato dai cattolici del Sud, i cittadini dell'Eire. Vi è un'ambivalenza in questa nazione verso il 'problema Ulster'. La tradizione nazionalista genera un senso di fratellanza verso i cattolici del Nord, tuttavia con prudenza. Si teme l'Ira e la sua capacità ricorrente di trovare reclute e di scavare ovunque nuove ferite; si teme la possibilità di gravi tensioni con l'Inghilterra, come dopo l'assassinio di Mountbatten; si teme persino l'eventuale futura presenza nel corpo dell'Irlanda di una minoranza protestante torva e sediziosa. Completano il cast l'Ira, pronta a tutto, pur di dar vita a una repubblica panirlandese di 32 contee, e il governo britannico, l'Inghilterra. La storia ha lasciato ai politici di oggi un rebus diabolico. L'Ira non ne rende più facile la soluzione, si avventa contro Londra con la stessa caparbia foga, con la stessa rovente passione che costrinse più di una volta i governi irlandesi a schiacciare il movimento. Londra non può far nulla che permetta all'Ira di 'gridare' vittoria, perché le paure dei protestanti cercherebbero sfogo nel sangue. In questa giungla, c'è un percorso obbligato: quale che sarà il traguardo finale, l'Inghilterra deve convincere i protestanti a spartire il potere nel Nord con i cattolici. Il primo esperimento fallì, occorre tentare di nuovo. Occorre tentare, perché se il secondo esperimento avrà successo potrà essere la prima pietra di un qualche edificio panirlandese: perché, se fallirà, Londra potrà dire ai protestanti: «Non siamo più disposti a sprecare uomini e soldi per puntellare una maggioranza che ripudia le regole della democrazia». Il •dialogo' Londra-Dublino già scruta vari disegni: un Ulster indipendente, un'Irlanda del Nord sotto «sovranità congiunta» di Londra e Dublino, un'unificazione irlandese, dove e come si approderà, nessuno può saperlo. E' un viaggio necessario ma pericoloso, e la storia irlandese non sorriderà prima di aver preteso e ottenuto il sacrificio di nuove vittime. Mario Ciriello Belfast. Nei pochi momenti di calma, le barricate contro i soldati inglesi diventano un giocattolo per i bambini (Grazia Neri)