Zedda, pupillo del «capo» Giai spiega come diventò piellino di Claudio Giacchino

Zedda, pupillo del «capo» Giai spiega come diventò piellino I DUE PROCESSI m TORE NO CONTRO LE ORGANIZZAZIONI TERRORISTICHE Zedda, pupillo del «capo» Giai spiega come diventò piellino TOSINO — Fiù che ad un imputato in attesa dell'interrogatrio della Corte d'Assise Sergio Zedda, primo pentito di PI. assomiglia ad uno studente che, nell'imminenza di essere chiamato a sostenere un esame, sta facendo l'ultimo, affannoso ripasso. Sordo ai duri che hanno quasi finito di leggere comunicati densi di disprezzo per i compagni che hanno collaborato con la giustizia e di minacce ai massmedia, seduto nella gabbia 2 riservata tutta per lui, sfoglia pensieroso un taccuino fitto di note, ripete a se stesso qualche cosa. Per due ore questo ragazzo di 21 anni trascinato nel terrorismo nell'inverno del '78 dal suo compaesano Fabrizio Giai, il ferroviere valsusino che è stato uno dei più sanguinari comandanti di Prima linea, risponderà a tutte le domande senza esitazioni, vuoti di meoria, contraddizioni. Quando comincia a parlare 1 duri hanno già abbandonato l'aula con la solita motivazione «non vogliamo sentire l'infame*; si sono però risparmiati !a trita sceneggiata di insulti e promesse di morte al compagno che ha disertato la lotta armata. Il pentito racconta l'inizio della sua attività politica: • Nel mio liceo di Susa e poi in una radio libera gestita a metà da Lotta Continua e da Autonomia- e come è finito nell'eversione; «mio cugino Guido Manina (terrorista arrestato a Firenze il dicembre scorso n.d.r.) mi accennò a Prima linea ed alla necessità] di impugnare le armi; mesi dopo Giai, proprio in base alle raccomandazioni di Guido, mi inseri nell'organizzazione-. Zedda, che non ha sulla coscienza né omicidi né riferimenti ma solo attentati incendiari e irruzioni armate, eia il pupillo di Giai, la maggior parte delle cose che dice sono frutto delle confidenze del suo ex capo. Nella deposizione il ricordo della ferocia di Prima linea si fonde alla critica delle direttive politiche impartite dai comandanti a livello nazionale della banda. «Loro — spiega Zedda — decidevano di intraprendere una campagna e noi eseguivamo. Discussioni sul significato della campagna se ne facevano poche; ad esempio, ancora oggi non capisco che scopo poteva avere la distruzione, alla quale partecipai, del centro antidroga di via Montevideo. Così come non si comprese il senso della campagna contro il controllo sociale, cioè contro i vinili urbani. Il fatto è che troppi compagni erano del tutto privi di preparazione politica, a loro interessava solo l'aspetto militare: ecco, il dibattito verteva quasi sempre solo su come fare un 'azione, come esercitare la violenza-. Un triste giocare alla guerra che è costato tanti lutti ma che quasi mai ha seminato il dubbio o l'autocrìtica fra i soldati del terrore. •Solo l'agguato alla polizia di via Millio con l'uccisione di uno studente incolpevole produsse una spaccatura. I capi di PI che avevano voluto a tutti i costi l'imboscata dissero che si era trattato di un incidente, furono lo stesso subissati dalla contestazione di noi delle Ronde (la struttura della banda che s'era ramificata su tu tv ta Torino n.d.r.)». Per il resto, la pratica della violenza non fu mai osteggiata, neppure quando i suoi fini erano del tutto assurdi. 'L'uccisione del barista Carmine Civitate fu imposta dal Giai sulla base di una voce, mai controllata a fondo, che era stato Civitate a causare la morte di Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni telefonando alla questura che nel suo locale c'erano terroristi-. Aggiunge il pentito: •L'omicidio Ghiglieno inaugurò la campagna contro la Fiat. Qualcuno propose di distruggere anche l'autoparco Fiat di Cambiano: Unimpresa pazzesca, non fu fatta perché mi opposi: Claudio Giacchino

Luoghi citati: Cambiano, Firenze, Torino