Torino: pentito di PI racconta come avvennero gli attentati di Claudio Giacchino
Torino: pentito di PI racconta come avvennero gli attentati Mentre i «duri» lo minacciano e abbandonano l'aula Torino: pentito di PI racconta come avvennero gli attentati Roberto Vacca ha spiegato come funzionava l'organizzazione armata di Prima linea Armi e esplosivo giungevano da gruppi francesi - Come erano scelti gli obiettivi TORINO — Roberto Vacca, uno dei «pentiti» di Prima linea, si siede nell'emiciclo davanti al presidente della Corte, Bonu, e comincia a raccontare: «// mio percorso politico s'è iniziato all'Avogadro, dove studiavo, nel '76». Dal gruppo dei duri, che stanno rumorosamente abbandonando l'aula ('Non vogliamo sentire l'infame' hanno appena gridato), Filippo Mastropasqua, ladro d'auto convertitosi al terrorismo, sbotta: 'Pazzesco, quello là ha il coraggio di parlare di percorso politico». Poi fa un cenno a Renato Bevione, forse l'imputato che più è stato plagiato dalle intimidazioni dei duri, e Bevione obbediente recita subito la sua parte. «Taci, bastardo, porco, ti impiccheremo», urla al pentito sforzandosi di mettere nella voce la maggior convinzione possibile. Un copione ormai logore, accettato dalla Corte con tranquilla rassegnazione, quasi si trattasse di un fatto processuale di cui non si può fare a meno. I duri se ne vanno, Vacca torna a raccontare. La deposizione di questo ragazzo, che dimostra nel viso molto più dei suoi vent'anni, svela qual era l'organizzazione di Prima lìnea. In base a quanto si è ascoltato in aula sembra incredibile che una banda simile, composta per lo più da giovani vuoti di ideologie e colmi solo di indistinti furori contro tutto e tutti, sia riuscita per tre anni a seminare impunemente terrore e morte a Torino. Vacca data ai primi mesi del '78 il suo ingresso nella lotta armata: «Già al convegno contro la repressione di Bologna, settembre '77, avevo sentito parlare di Prima linea. Vi entrai grazie ai buoni uffici del mio amico Pietro Crescente. Era comunque da parecchio che al circolo Barabba di via Garibaldi si discuteva con i compagni sull'opportunità di impugnare le armi. Un giorno fui messo davanti all'alternativa: "Scegli: o fai parte del Movimento oppure devi svolgere un lavoro politico nella clandestinità"'. Ebbe in principio compiti da passacarte: 'Fotocopiai pile di documenti dell'organizzazione: lettere di militanti in carcere, volantini di rivendicazione di attentati e dell'omicidio della guardia delle "Nuove" Giuseppe Lorusse.. Poi, il salto dì qualità, la promozione ad incarichi operativi. Vacca ricorda la morte di Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni, i due terroristi uccisi dalla polizia in un bar di via Veronese. -Stavano per azzoppare uno (il presidente del consiglio di quartiere Madonna di Campagna n.d.r.) quando furono sorpresi dagli agenti. Seppi del disastro alle tre del pomeriggio: a quell'ora dovevo trovarmi con Matteo, dovevamo fare insieme una rapina». Il pentito racconta a lungo, si sofferma su episodi di violenza, ricorrono spesso i nomi dì Maurice Bignami e Bruno Laronga, pluriassassini di Prima linea. 'L'agguato ad una Velante di polizia di via Millio in cui furono feriti due agenti e fu ucciso Emanuele Iurìlli, incolpevole studente che passava di li per caso, doveva essere la nostra risposta alla morte di Caggegi e dell'Azzaroni. A pranzo, in una trattoria, Laronga e Bignami decisero che bisognava uccidere dei questurini, io ed altri compagni non ancora abilitati all'uso delle armi facemmo un sacco di appostamenti per individuare il bersaglio, indicammo due agenti che in auto pattugliavano una zona della Crocetta. L'imboscata andò in fumo, allora si optò per questo piano: attirare l'equipaggio di una Volante in un bar e sterminarlo. Per giorni girammo borgo S. Paolo per trovare il locale adatto, lo scelse Carlo Seotoni». Nella sparatoria fu ferito Laronga. «Lo nascondemmo nel covo di via Susa, lui stesso mi spiegò che a colpirlo era stata la sua amica, Silveria Russo, le era partito per sbaglio una raffica di mitra. Rimasi di stucco, cominciai ad avere seri dubbi sulle capacità dei comandanti militari: come avevano potuto essere cosi sciocchi da affidare alla Russo unmitra?». Vacca mette a nudo i tanti altri errori compiuti dai capi della banda, racconta dei loro molti progetti ambiziosi abbandonati poi perché troppo difficili o pericolosi, parla delle divisioni all'interno dell'organizzazione. 'Divisioni motivate anche da ragioni private: per esempio, Scotoni litigò secco con Bignami perché gli aveva soffiato la donna, Maria Teresa Conti». Il pentito ha memoria di ferro, ricorda nomi e cognomi dì chi ha compiuto la tale rapina, il tale attentato, elenca le basi di Prima linea sparse per Torino, l'armamento della banda. 'L'esplosivo veniva da Napoli, candelotti di gelatina ci furono regalati da gruppi francesi. Ho visto molti fucili, mitra e bombe ammassati in soffitte». Ricorda due esercitazioni nelle campagne con i compagni: »Mi attenui a maneggiare anche il mitra», e le decine di furti di auto. 'Furti al volo, fatti cioè su macchine abbandonate temporaneamente dal proprietario con le chiavi nel cruscotto. Una mattina attendemmo che l'autista di un furgone fosse sceso per fare una consegna al bar e ci involammo con il furgone. Quel tizio aveva addirittura lasciato il motore acceso». Il camioncino era carico di dolciumi. «Ce li dividemmo anche se Pasquale Bottiglieri non era d'accordo e protestava che avremmo dovuto donarli al Cottolengo. I vassoi vuoti servirono per l'azione di via Millio, Bignami e soci vi nascosero dentro pistole e caricatori». Claudio Giacchino Roberto Vacca
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