Guidoriccio due volte sfregiato

Guidoriccio due volte sfregiato polemiche a siena sul celebre affresco attribuito a simone martini Guidoriccio due volte sfregiato I restauri suggeriti da Gordon Moran hanno consentito una straordinaria scoperta: sotto il famosissimo cavaliere è apparso un affresco capolavoro - Molte circostanze proverebbero che la figura centrale, deturpata prima di essere coperta, è l'autentico Guidoriccio da Fogliano - Per quale motivo ora alcuni accademici attaccano lo studioso americano? Uno dei più famosi monumenti del Medioevo italiano, il Palazzo Pubblico di Siena, è stato di recente teatro di una scoperta che, nel campo della pittura, va certamente considerata tra le più importanti degli ultimi decenr.i. Si tratta di un grande affresco, la cui singolarità tematica va d'accordo con il suo livello qualitativo altissimo; e la stampa quotidiana non ha mancato di parlarne, ripetutamente. Ma è ugualmente opportuno tornare sull'argomento, considerando anche la vicenda della scoperta e taluni suoi aspetti, che sono singolari non meno del dipinto stesso. Agli inizi del 1977 venni richiesto, da parte di Mr. Gordon Moran (un americano che ha studiato la pittura iialiana e se ne interessa in modi non da dilettante), di incontrarmi con lui, al fine di parlare di certi problemi relativi ad una delle opere più famose del Trecento italiano, l'affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano attribuito a Simone Martini nella cosiddetta Sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico di Siena. Durante il colloquio, Mr. Moran mi indicò certi aspetti dell'affresco che male si combinano con il pennello di Simone alla data del 1328, iscritta alla base della figurasione, entro la cornice. Infatti, l'affresco raffigura Guidoriccio con le insegne da cavaliere, onore questo die gli venne conferito nel 1332; inoltre, il cavallo è coperto da una lussuosa gualdrappa del tipo che si usava nei cortei funebri, e il personaggio in questione morì nel 1352. E così via. Nel consigliare a Mr. Moran di proseguire per la sua strada, gli feci presente che anche io nutrivo, da molto tempo, fieri dubbi sull'attribuzione a Simone Martini dell'affresco. Non sono un esperto di paleografia, ma i caratteri della data mi paiono di molti decenni posteriori all'anfiO che vorrebbero indicare; e non sono neppure un esperto di arte militare, ma, nell'affresco, la fortezza che si vede a destra è provvista di una scarpata in muratura, di un tipo cioè che, a quel che mi consta, venne inventato nei primi decenni del Cinquecento. Inoltre, la qualità del dipinto mi pare indegna di un grandissimo artista come Simone Martini: basta un confronto con la sua Maestà sulla parete di fronte della stessa sala per accertarsene. Cosi Mr. Moran pubblicò un sue articolo sulla rivista fiorentina Paragone (333, novembre 1977), dove discuteva garbatamente sul delicate argomento; e proprio in se- guito a tale avvio sono state condotte, dalle competenti autorità, le ricerche cui si deve la straordinaria scoperta. Innalzato un ponteggio sulla parete al cui sommo si stende il cosiddetto Guidoriccio, i restauratori non tardarono a scoprire, sùbito al di sotto della sua cornice inferiore, un grande affresco che era stato ricoperto chissà quando dallo scialbo. Esso raffigura una località provvista di un palazzo turrito, di una chiesa e di case di abitazione; tutt'intorno si stende uno steccato (o come si diceva un bat- tifolle; eretto per tenere lontani i nemici, ma che qui appare con le porte aperte, a significare che è oramai pacificata questa località, che agli occhi dei contemporanei doveva riconoscersi per un luogo ben definito. L'affresco è sicuramente incompleto, ma alla sinistra si vedono due personaggi, uno con la mano destra alzata e la sinistra appoggiata al pomo della spada, l'altro in atto di allontanarsi reggendo i guanti (?) con la mano scoperta. La gestualità di questa curiosa scena doveva anch'essa rivestire un preciso senso al tempo in cui venne eseguito l'affresco: ma chi conosce oggi il linguaggio dei gesti del Trecento? Ciò che è assai singolare è che le due figure furono, poco dopo l'esecuzione, ricoperte con l'azzurro del cielo; anzi, quella del personaggio principale appare colpita più volte da un corpo contundente, al fine di sfregiarla, come se, prima di cancellare l'effigie, si fosse proceduto al rituale di ucciderla simbolicamente. Ora, è noto dai documenti che la Sala del Mappamondo, in cui è avvenuta la scoperta, mostrava sulle pareti otto castelli conquistati dalla Repubblica di Siena; è anche noto che nel 1331 (e cioè all'epoca di Guidoriccio da Fogliano) Simone Martini si recò per una settimana ad Arcidosso, Castel del Piano e Scansano, località espugnate dal condottiero, e che il pittore poi ritrasse nella Sala del a a e n i l . e , a n i a Mappamondo, nella serie dei castelli. E' anche noto che nel 1333 Guidoriccio, accusato di tradimento, venne espulso da Siena, subendo, come di consueto, la damnatio memoriae delle sue effigi: tutto pare collimare con gli sfregi e la copertura dei due personaggi nell'affresco or ora riapparso. Sul riferimento di questo Simone Martini e sulla identificazione con Guidoriccio del protagonista raffigurato io ho pochi dubbi: la qualità che ne sostiene l'esecuzione (si veda lo steccato) è quella di un artista di livello eccelso. Ma ora cominciano le dolenti note, scandite dall'accoglienza che certa parte della cultura locale ha fatto alle ricerche di Mr. Moran. In un violento articolo apparso su Il Campo del 25 maggio 1979 il Moran è stato invitato a •levarsi dai piedi, e ricoperto non di complimenti. «La rabbia, narra l'articolista, ci rese furibondi, come era furibondo Cesare Brandi che, scuotendo la testa, ripeteva: arriva il solito "furbastro" e Siena suona le trombe! ». Il livello di tale scritto ha sollecitato l'intervento di un altro senese, lo storico dell'arte Enzo Carli (Il Campo, 13 giugno 1979) che, prendendo le difese del Moran, ha definito l'articolo un «attacco triviale, ingiurioso e immotivato». Ma, a parte il prof. Carli e altri rappresentanti della locale cultura di Siena, la reazione alle ipotesi di Mr. Moran è stata assai spesso di carattere fideistico e religioso, cioè irrazionale: infatti, cosa importa se il dipinto sin qui cosi famoso (e riprodotto anche nei testi scolastici, sulle cartoline e sulle scatolette in pastiglia) sia veramente del 1328 e di Simone Martini? Un autentico capolavoro rimane tale, quale ne sia l'autore e quale possa esserne la data effettiva; nel caso specifico, il presunto Guidoriccio da Fogliano dovrebbe meritare tutto il nostro entusiasmo anche se si scoprisse che raffigura Ricciarello da Panforte. Le ire contro la razionale indagine di Mr. Moran mi hanno rammentato le furie che scatenai in certi intellettuali indiani quando dissi che a me certe sentenze di Rabindranath Tagore ricordano quelle che si trovano all'interno dei Baci della Perugina: o lo sdegno del tutto immotivato che provocai presso certi tunisini quando mi azzardai a criticare i principi che hanno sostenute il restauro della splendida Moschea di Tunisi. Il fatto è che reazioni del genere sono tipiche delle grandi culture che le vicende esterne hanno vilipese e conculcate con la forza bruta: io credo che a Siena ci sia ancora chi soffra (anche se non lo riconosce) della ferita aperta il 17 aprile 1555. quando la città si arrese per fame alla violenza del fiorentino Cosimo de' Medici, perdendo la libertà. Ma su atteggiamenti ^mentali di questo tipo rimando al fondamentale Portrait du colonisé di Albert Aferrami (che coincidenza in questo cognome!). Più grave è invece che a deprimere Mr. Moran ci si sia messa anche certa intellighenlia accademica, universitaria. Egli è stato intatti escluso dalla pubblicazione ufficiale dell'affresco ora tornato alla luce, e che sarà illustrato da un docente dell'Università di Siena assieme ad uno studioso tedesco (dato che tedeschi sono stati i fondi necessari al lavoro di scoperta). E mentre in un primo tempo Moran era stato invitato a partecipare a un dibattito organizzato dalla locale Accademia degli Intronati, oggi gli è stata sbattuta la porta in faccia nelle discussioni e nelle conferenzestampa. E poiché il vecchio e opinabile Guidoriccio è dipinto su di un intonaco il cui livello è posteriore a quello dell'affresco ora scoperto, si assiste ad un tentativo di retrodatare quest 'ultimo verso epoche negate dall'evidenza di stile, onde salvare la data del 1328 e il nome tradizionale di Simone Martini, conservando congelato un clamoroso caso di luogo dei molti, di una verità cioè che è tale non per intima essenza ma per il lungo e tradizionale «consenso della maggioranza». E poi. in Paese Sera del 24 aprile scorso si legge di una lettera inviata al vice sindaco di Siena da un professore di Storia dell'Arte di Bologna, che si dice «un po' stupito del tanto credito dato alla ricerca del Moran in una città dove, pure, insegnano "primitivisti" ammirati in tutta Europa», aggiungendo che il Moran «non è in grado» di identificare i dati stilistici e tecnici del dipinto ora messo in dubbio. Cosi, le vecchie strutture mentali italiane rimangono intatte, sotto la verniciatura secolarizzata: non si affermò infatti nel Concilio di Trento che l'interpretazione delle Sacre Scritture era riserbata ai clerici? Oggi per leggere e discutere un'opera d'arte è indispensabile essere investiti da quel raggio di luce che si chiama cattedra universitaria; e guai se si è un outsider (non parliamo poi americano e statunitense). Federico Zeri Siena. Il grande affresco (centimetri 225x365) recentemente scoperto nella Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico