L'auto domani di Francesco Forte

L'auto domani COME USCIRE DALLA CRISI L'auto domani Quando la Fiat pose in Cassa integrazione a lunga scadenza 23 mila persone, si pensava che questo fosse il «peggio». Ora, invece, ce ne sono in cassa integrazione altre 60 mila, sia pure per un breve periodo di tempo. L'Alfa di Arese ha adottato lo stesso provvedimento per un mezzo migliaio di dipendenti. Come mai, tutto questo? Le crisi sono due, una temporanea, l'altra di maggior portata. Secondo l'opinione più accreditata, l'automobile non è un prodotto ormai maturo, privo di mercato: è un prodotto semi-maturo la cui domanda mondiale potrà crescere ancora di un l,S%-2% all'anno in rapporto all'aumento di popolazione e di reddito. Soprattutto, vi sarà molto da fare per l'auto del futuro: che consumerà meno energia, che sarà dotata di comandi elettronici e che avrà maggiori pregi in fatto di sicurezza e di ecologia. Vi è dunque un mercato di rinnovi, non puramente «a scadenza fissa», ma derivante dalla particolare convenienza della sostituzione. Perché allora, in questo quadro noi siamo in crisi? C'è — dicevo — un fattore contingente; lo scorso anno il mercato italiano è stato in controtendenza.Da noi le immatricolazioni di auto si sono accresciute del 9,7% mentre nel resto della Cee sono scese di un 10%, negli Usa addirittura del 15% e nello stesso Giappone del 6%. La nostra produzione, però, lo scorso anno non era competitiva; e gli altri — affamati di mercato — ci hanno letteralmente invaso, stentando inoltre ad assorbire le nostre vetture. I dati sono eloquenti: nel 1980 la nostra bilancia commerciale, per le autovetture intere, ha registrato un passivo di 1600 miliardi, mentre le importazioni salivano del 40% arrivando a ben 900 mila veicoli, su un milione e mezzo di auto immatricolate ex novo. Quanto alle nostre esportazioni, scendevano a mezzo milione circa, calando di un 20%. Ma la Fiat accumulava auto invendute. Ed ha cercato poi di smaltirle. Ora abbiamo acquistato una maggior competitività, o meglio, recuperato parte di quella persa: ma. il mercato italiano adesso va male, perché anche da noi è arrivata la cattiva congiuntura, mentre sul mercato internazionale si tarda a veder comparire la ripresa. Questa ci sarà; magari si svilupperà all'improvviso, ma non è dato di scorgerla ora. Il mercato delle auto, in questi anni, è molto capriccioso: l'inflazione, il caro-energia, le alterne vicende del ciclo, i mutamenti di abitudini determinano alti e bassi imprevisti. Qui veniamo al problema «strutturale». La produttività della nostra industria automobilistica, secondo le stime Cee, dal 1972 al 1977 è scesa all'88% mentre quella giapponese, fatto 100 il 1972, è aumentata del 35% e ancora aumenterà. La «formula giapponese» è basata su vari elementi. Alcuni, come i ritmi di lavoro ultra-spinti, le retribuzioni modeste e il regime paternalistico non li possiamo imitare. Vi è però un decentramento, che dobbiamo considerare con attenzione e che dà una estrema flessibilità e redditività: la Toyota produce 2,3 milioni di auto con 45 mila addetti. Per essa, direttamente o indirettamente, lavorano 30 mila imprese! E magari una parte di esse si trovano in Paesi poveri dell'Asia. Si dirà, il Giappone è lontano, in Italia non abbiamo ancora l'invasione di auto giapponesi. Ma, attenzione, in Europa i giapponesi hanno già occupato il 10% del mercato e questo ci crea problemi di riflesso: diminuisce infatti la fetta disponibile per noi, e gli altri auropei, subendo questa concorrenza, cercano di invadere l'Italia, in fitta schiera. Noi abbiamo una inferiorità, rispetto ai rivali europei, che può anche essere il nostro punto di forza: siamo specializzati maggiormente nelle piccole cilindrate, tanto è vero CnC il 27% delle nostre auto non supera i mille centimetri cubi e il 43% non supera i 1500; per la Francia le due cifre sono rispettivamente 19% e 56%, per la Germania 4% e 31%. Per recuperare mercato europeo, dobbiamo render più appetibili le nostre piccole vetture e incrementare la nostra competitività in quelle medie. I giapponesi sono specializzati in vetture fra le mille e le 1600 di cilindrata: qui si addensa il 90% della loro produzione e da qui viene la principale concorrenza. Gli Usa stanno alzando barriere all'invasione giapponese, che è arrivata al 27% del mercato e adesso è stata «ridimensionata» al 21%. Dove finiranno queste vetture? I giapponesi ne sfornano 7 milioni, esportandone 4. E' necessario che l'Europa ponga quote effettive e chieda ai giapponesi di assorbire sue vetture, in contropartita. E' necessario che il governo vari finalmente l'intervento finanziario, per mettere in grado la nostra industria dell'auto di reggere alle sfide che ho delineato. Abbiamo molto da recuperare; possiamo farlo. Ma ciascuno deve fare la sua parte. E credo che la strada della cooperazione nella chiarezza sia la migliore, forse l'unica percorribile. Francesco Forte