Il governatore riapre il discorso sulla finanza pubblica di Marco Borsa

Il governatore riapre il discorso sulla finanza pubblica Il governatore riapre il discorso sulla finanza pubblica Il Tesoro non sa spendere Bankltalla vuol divorziare Lo Stato ha ormai bisogno di 4000 miliardi al mese, sotto forma di Bot, che finiscono spesso in banca come depositi - E il risparmio postale è quasi crollato MILANO — la proposta contenuta nella relazione della Banca d'Italia di procedere verso una progressiva separazione tra l'istituto di emissione e il Tesoro eliminando l'obbligo del primo di finanziare il secondo acquistando i Buoni che eventualmente non venissero assorbiti dal mercato ha riaperto il problema della gestione corretta della finanza pubblica. Il cosiddetto divorzio fra Banca d'Italia e Tesoro, infatti, pur essendo uno dei mezzi capaci di modificare gli orien¬ tamenti della finanza pubblica non avrebbe di per sé un grande significato se non presupponesse una diversa gestione dei flussi finanziari nel senso di eliminare le inefficienze e gli sprechi di cui soffre la pubblica amministrazione. Lo Stato, infatti, non solo spende male la maggior parte delle risorse di cui dispone (incanalandone cioè verso spese correnti anziché verso investimenti produttivi) ma è anche un pessimo amministratore e un pessimo tesorie¬ re. 11 fabbisogno finanziario pubblico che la Banca d'Italia ha indicato nell'ordine dei 4000 miliardi al mese è anche il frutto della disorganizzazione con cui vengono amministrati i vari flussi finanziari. Bastano due esempi. Il primo riguarda i residui passivi cioè soldi che la pubblica amministrazione non riesce a spendere. Alla fine dell'anno scorso la cifra aveva raggiunto i 20 mila miliardi circa, pari alla metà del disavanzo pubblico. In pratica cioè il Tesoro si indebita al 18-20 per cento emettendo Bot per dare i soldi alle Regioni e ai Comuni che li ridepositano al 15-16 per cento in banca dove restano inoperosi. Ammesso che quel 15-16 per cento sui depositi venga incassato dalla pubblica amministrfazione e non venga taglieggiato da esponenti politici locali che hanno in mano l'amministrazione, lo Stato, in questo giro fittizio, perde almeno un 2 per cento che su 20 mila miliardi sono 4C0 miliardi. Un'altra incongruenza che mostra la scarsa capacità nel gestire i propri fondi della pubblica amministrazione riguarda la raccolta dei depositi postali. Le poste non sono più un serbatoio di liquidità, a cui il Tesoro può attingere, da circa due anni. Nel 1980, infatti, il risparmio postale è letteralmente crollato a 1600 miliardi dai 6599 miliardi del l'anno precedente. Non è difficile capirne la ragione dal momento che chi deposita al la posta ottiene quando va be ne un tasso di interesse non molto superiore al 10 per cento da cui deve essere tolta la ritenuta fiscale del 20 per cento. Considerando un rendi mento netto del 10 per cento siamo su livelli pari alla metà circa del rendimento netto dei Bot. Anche in questo caso lo Stato, che utilizza i depositi postali per finanziare la propria tesoreria esattamente come 1 proventi della vendita di Bot, potrebbe ottenere fondi ad un costo nettamente inferiore se solo aumentasse di uno o due punti i tassi del risparmio postale. Se alzando al 14 per cento lordo il rendimento alle poste si ottenesse un riafflusso di risparmio ai livelli del 1979 e cioè intorno ai 6000 miliardi lo Stato avrebbe raccolto circa 5000 miliardi in più ad un costo di almeno il 4 per cento inferiore a quello attuale, che significa un risparmio attor no ai 250 miliardi. La scarsa attenzione che viene generalmente prestata dal mondo politico a questi problemi di gestione della finanza pubblica dimostra che i problemi di riorganizzazione e razionalizzazione della fi nanza pubblica rischiano di essere affrontati solo in termini di slogan (come il «divorzio fra Banca d'Italia e Tesoro»), svuotati di ogni concreto significato. Marco Borsa

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