Come guardare la storia della Francia da Picasso a Sartre

Come guardare la storia della Francia da Picasso a Sartre Al Beaubourg la cultura di Parigi 1937-57 Come guardare la storia della Francia da Picasso a Sartre PARIGI — L'obbiettivo ambizioso della nuova panoramica «Parigi-Parigi, 1937-57», allestita al centro Beaubourg a conclusione del ciclo iniziato con «Parigi-New York» e proseguito con «Parigi-Berlino», «Parigi-Mosca» e «7 realismi», che si potrà vedere fino al 2 novembre, è di mostrare l'evoluzione di una comunità internazionale di artisti e intellettuali attraverso le vicissitudini storiche e le polemiche ideologiche ed estetiche che marcano il convulso ventennio considerato. Questa retrospettiva si snoda attraverso quaranta sale, le quali illustrano altrettanti temi, presenta circa 150 artisti e un migliaio di opere e documenti. Sottolinea le convergenze fra arte e letteratura, le tensioni fra arte e politica, il contrasto dialettico fra tendenze antitetiche, l'evoluzione parallela del costume, dell'arredamento, del design. Ad essa si accompagnerà una serie di manifestazioni musicali, di proiezioni di film, di dibattiti. E' facile capire che una sola visita a Beaubourg non basterà per approfondire il significato di quest'iniziativa: ne occorre¬ ranno almeno dieci. E ciò esìgerà da parte del pubblico non soltanto una notevole disponibilità di tempo, ma anche una certa agilità mentale per seguire i molti registri di lettura proposti. Per evitar la noia di una descrizione puramente elencatoria, limitiamoci ad indicare alcuni dei temi trattati. 1937, punto di partenza. La tragedia della Spagna, che sensibilizza le éìites internazionali, è espressa dalla «Donna piangente» di Picasso. La Francia del Fronte Popolare è traversata da correnti contraddittorie. L'artista si interroga sulla sua missione: deve essere interprete di una realtà sociale e un impegno ilogico o trascendere le contingenze alla ricerca del seg , Duro? Questa dialettica è proposta nella seconda sala he contrappone al «Contadino con l'aratro» di Janni, u agli «Scioperi» di Tazslitzki i pannelli decorativi e i progetti avanguardisti dei Delaunay o di Le Corbusier per l'esposizione internazionale del 1937. In margine ad essa, le mostre, allestite al «Petit palais» e al «Jeu de Paume», di cui Beaubourg offre una sintesi, consentono i primi bilanci ufficiali dell'arte moderna. L'anno seguente i surrealisti organizzano un'altra clamorosa esposizione, di cui i manichini creati da Dali, Ernst, Arp, Mirò eccetera (e oggi ricostituiti in base alle fotografie di Man Ray) sono una delle attrazioni. Ma già il surrealismo, applaudito dagli snob, ha perso il suo slancio profetico. Frattanto Sartre ha pubblicato «Lo nausea». 1940-44. La guerra, i campi di concentramento (l'orrore ne è riflesso nei disegni di Zoran Music, deportato ad Auschwitz). La tragedia degli «ostaggi», illustrata dalla splendida serie omonima di Fautrier, capolavori dell'arte informale. Nella Parigi occupata —lo ricordano i pannelli stradali della Kommandantur, le divise naziste, i sandali a suola di sughero delle donne — l'attività culturale nondimeno prosegue. In rosa e nero: a teatro si danno le commedie di Cocteau e i drammi di Sartre e di Claudel, l'accademismo trionfa con l'esposizione Breker, Picabia si rifugia nel kitsch. Molti artisti sono costretti all'esilio. Ma fin dal 1944 si ricostituisce a Parigi una comunità internazionale estremamente viva e varia. L'astrattismo lirico si esprime attraverso le poetiche composizioni di Wols e quelle giapponesizzanti di Mathieu. Parallelamente alle ricerche dell'esistenzialismo, Giacometti raffina la sua visione dell'uomo solitario, ridotto a un filo. Artaud, il grande trasgressore, esplora gli abissi della psiche fino a vacillar nella follia: è anche un disegnatore. Dubuffet colleziona i dipinti dei pazzi e crea le sue dense, inquietanti composizioni telluriche. Il dopoguerra è dominato dalla polemica fra astrazione e figurazione e quella connessa sul realismo socialista, esemplificata dagli artisti che, come Picasso o Leger, riescono a conciliare l'impegno militante con l'indipendenza estetica ed altri che invece si adeguano alle consegne del più ottuso zdanovismo. E' dominato pure dalla presenza sempre straordinariamente feconda dei padri fondatori —e qui occorre citare una volta di più Picasso, insieme a Matasse e a Braque —nonché da alcuni outsiders originali, come Balthus. 1957, punto di arrivo. La mostra si chiude con i monocromi di Yves Klein: si pensa che l'arte sia approdata al grado zero di espressione, ma già si prepara il «Nuovo realismo» in pittura, mentre s'impongono sul piano letterario il «Nouveau roman» e il teatro dell'assurdo. Tuttavia la microsocietà internazionale che abbiamo seguito per vent'anni si sfascia, e si inizia una nuova diaspora. New York rivendica la successione di Parigi come centro egemonico culturale. I bulldozer distruggono il vicolo Ronsin, dove vissero Brancusi, Tinguely, Niki de Saint Phalle e tanti altri artisti. Una società più materialista e irreggimentata s'impone con il trionfo del consumismo e dei media, è la fine della Parigi bohème. Elena Guicciardi F. Leger, Fanciulla sdraiata con bambino (1952)