La mia vita per una borsa

La mia vita per una borsa Roberta di Camerino: biografia tra moda e affari La mia vita per una borsa T TN pomeriggio ci invitano a un tè. Un invito molto genti%_) le e fatto con tutti i riguardi, Gente molto carina, di Lugano. E noi ci presentiamo al meglio, cerchiamo di buona lena di far bella figura. Stiro i vestiti di Ugo da capo a piedi, e anche quelli di Guido. Una mattinata intera a jìr passare, a rinfrescare. Quando usciamo di casa, siamo davvero molto belli da guardare. Io ho l'aria proprio civettuola, Guido ha un suo aspetto severo e Ugo ha già la faccina contegnosa, dei bambini che stanno ricevendo Una vera educazione. Sono fiera e felice. Questa è la mia famiglia. Al tè, tutti sono gentili. Si informano, ma con delicatezza. Ci sono amicizie in comune, con alcuni, a Venezia, ma anche a Parigi, a Londra. Per un momento, mi ritrovo a casa, un giorno qualunque del passato, quando queste occasioni erano quotidiane e si parlava solo di cose un po' senza importanza, con garbo distaccato. Guardo Guido, e lo rivedo in salotto a Venezia e altrove, sempre un po' al centro dei discorsi, capace di dire la cosa più interessante, o divertente. E Ugo non è diverso dagli altri bambini. Stringe nella mano la sua forchettina, e fa diligentemente a pezzi la sua fetta di torta. Sa già che una persona per bene non ha mai fame, ma soltanto un discreto appetito. Lo vedo rifiutare, persino con naturalezza, la seconda fetta. Gli altri bambini, intorno, non mi sembrano altrettanto distinti. E anch'io non mi sento diversa dalle altre signore. Anzi, a guardar bene, non mi sento nemmeno la peggiore. E' vero, adesso non ho una lira in tasca e ho persino il divieto di entrare in un bar, se ho sete. Ma tutto finirà, un giorno. In quel salotto, per un momento, posso dire d'essermi sentita fuori del tempo. Felice? Qualcosa di simile. Elegante. Ma tutto finisce di colpo. La padrona di casa, a un certo momento, mi prende da parte. E' una donna garbata, attenta. Ha l'aria un poco imbarazzata, in realtà. La prende di lontano: *La vostra sorte ci ha un po' commosso tutti quanti..». E cosi si sono messi d'accordo, certo, mtutti quanti»... e cosi hanno messo insieme delle cose, tutta roba pulita, certo, ma tutta utile, buona. E' un gesto d'amicizia, .tutti quanti» sperano che io voglia accettare, vogliono aiutarmi a tutti i costi insomma. La signora si stringe le mani, parlando. Io la guardo, sorrido. Ma quando mi porge il pacco, e lo apro, e viene fuori tutta quella roba... ecco, mi si stringe il cuore. Non so spiegarmi, lo so. Mi sento derelitta, una poveretta da far felice con una tazza di tè caldo, una fetta di torta e un po' di magliette smesse, un po' di biancheria, un po' di calze (»ancora buone, vede?»). Ho il magone. So che devo dir grazie, e lo dico. Ma ogni felicità la leggerezza di prima, se n'è andata. Torniamo a casa un po' tristi. La strada sembra davvero più lunga, n pacco mi pesa cosi tanto, e così visibilmente, che Guido non ha neanche il cuore di dirmi: dallo a me, lo porto io. Sa già che quel pacco, io, non l'aprirò mai più. Ed è per questo che oggi, quando smetto una cosa, la brucio. Regalo solo roba nuova, o non regalo nulla. Ma non voglio che nessuno, nemmeno per un caso, Involontariamente, e da parte mia, possa sentirsi — per nessuna ragione — derelitto come me, quella volta. * * OGNI tanto, vendevamo anche qualche cosa. Un giorno s'avvicina una signora mentre passeggio. Mi chiede di . vedere la mia borsa. Era stato uno dei miei ultimi acquisti, a Venezia. Era molto bella, di pelle. L'originalità era nella forma: un secchio. Mi chiede: me la venderebbe? L'ho detto: avevamo imparato a separarci senza troppo dolore dalle nostre cose più belle, se potevano diventare denaro. M'ero scoperta una certa abilità nel contrattare, alla lunga. Cosi vendetti la borsa. E non male. Certo, in quel momento non potevo sapere che razza di congegno stavo innescando. Me ne tornai a casa conia roba dentro a un foulard. Pensando: domani vado a comprarmi una borsa qualunque. Ma l'indomani, per quanto disposta ad accontentarmi, non riuscivo a trovare niente che costasse poco, e forse appena una borsa un po' bella. . Cosi, quasi all'improvviso, mi venne in mente un'idea: e se la borsa me la facessi da me? Avrei speso meno e, in fondo, per rifare un secchiello, non ci voleva certo un genio. In più, il tempo non mi mancava. Guido sorrise, quando gliene parlai «Afa si, in fondo cosa ci costa?». Con un giornale feci i primi tentativi, dovevo farmi un modello. Mi accorsi che ci sapevo fare d'istinto. Comperai la pelle nella giusta quantità un gomitolo di spago, l'ago curvo. Poi trovai gli anelli di ottone e la corda per la tracolla. Tre giorni dopo avevo già rimesso insieme la mia borsa, andando per tentativi. Dovevo ammettere che era un bell'oggetto. Guido scherzava rifacendo Petrolini: «Più bella e più forte che pria!», e intanto guardava come me l'ero cavata. Avevo imparato a fare i punti dritti ed eguali, ma subito. Un bell'oggetto. Scherzai con Guido: »Adesso, vuoi vedere che vogliono comprarmi anche questa?». Ero stata facile profeta, forse. Anzi, forse troppo. Non passa una settimana, infatti, e ci danno il permesso per andare in ferrovia fino aci Ascona. Degli amici ci avevano Invitato, e tutta la spesa sarebbe stata solo 11 treno. Partiamo, e io m'ero messa tutta elegante, con la mia borsa a secchiello ben In vista. n treno s'è appena messo in moto. Arriva un poliziotto, poi un secondo, pòi il capotreno parla con entrambi. Mi guardano, tornano a parlare fra loro. Poi il poliziotto più elevato in grado si rivolge a me: .Signora, mi dia i documenti. La dichiaro in arresto per contrabbando e per violazione delle leggimi rifugiati. L'avverto che entro ventiquattr'ore dovrà tornarsene in Italia, in ogni caso. Venga con me». Purtroppo, devo subito scendere dal treno. Mi riportano a Lugano, e pare che non ci sia niente da fare. C'è una denuncia. E ci sono le prove: la denuncia l'ha presentata una signora, la stessa che —per 60 franchi — ha comperato la mia vecchia borsetta. Mi ha incontrata di nuovo, ha notato la borsetta nuova. E' corsa alla polizia a dire che io — quelle borse — le faccio entrare clandestinamente dall'Italia. E chissà quant'altre cose contrabbando. 10 spiego subito: «Ma questa borsa me la sono fatta da me!». Il poliziotto mi guarda. Come se avessi detto che mi sono costruita in casa una Rolls-Royce. Interviene anche il vecchio professor Francesco Carnelutti che era stato presente all'acquisto della borsa, e aveva seguito i miei sforzi per farmene un'altra da me. E altri. La cosa prende lampo. I giornali raccolgono la storia che gira nella colonia dei rifugiati. La signora che sa fare le borsette diventa in un baleno una celebrità. Quando tutto è finito, cioè quando esco liberata da ogni accusa e me ne torno a casa, qualcosa è cambiato nell'aria. Due operai del pellettiere Greco vengono a trovarmi. Mi dicono: lei ci dà delle idee, noi le Insegneremo 1 segreti del mestiere, come si sceglie una pelle, come non ci si fa imbrogliare. E, principalmente, come si fa — davvero — una borsa. Elsa Barberis, che era un po' 11 Christian Dior svizzero, è ancora più esplicita: mi offre di inventare dei modelli, e di indossarli. Sono un richiamo. Una fabbrica di uova di cioccolato mi domanda di metter insieme una nuova confezione. Io mi butto. n lavoro che mi affascina di più è quello del pellettiere. Passo intere giornate da Greco, in laboratorio. Imparo con una velocità che mi sorprende. Mi sembra di averle maneggiate da sempre, le cesoie, le lesine. Ho il tatto giusto per riconoscere la pelle. Un dono di natura, dicono i due operai che sono i miei primi maestri. Ben presto, ho qualcosa di delicato da fare. E' una borsa un po' speciale. Grande, quasi da viaggio, ma anche molto elegante. Perché è per Cicci Leoni. Una grande signora e della migliore società, lo sanno tutti. Quello che non sanno è che la dama, quando viene in Italia con dei permessi speciali, porta dei messaggi, dei documenti dell'alto comando americano per i partigiani dell'Alta Italia. Li tiene nel doppio fondo segreto della sua borsa. Quella che ho fatto io. E' cosi che, tra l'altro, mi guadagno un po' di denaro. E libera come mi sento, ogni tanto mi dimentico chi sono, in quel momento. La ventata di notorietà, tutta la gente che mi mostra simpatia, lo stesso poter lavorare, mi danno un senso di eccitazione che la giovane età rende ancora più spensierata. » Un pomeriggio che ho in tasca qualche franco In più dello stretto necessario, mi lascio finalmente tentare dalla reclame della «Coppa Danimarca», 5 franchi di cioccolato e crema, in vendita presso la rinomata pasticceria Huguenin. So che c'è il divieto, per noi, d'entrare nei locali pubblici. Ma io convinco Guido ad accompagnarmi. E Ugo è già tutto preso dall'idea. Entriamo, ci sediamo. Chiediamo le tre •Coppe Danimarca», ed esse arrivano In un trionfo di cioccolata e panna. Ugo ha gli occhi brillanti. Guido sorride. Io sono felice. Paghiamo 15 franchi. Affondo il cucchiaio nella crema, pregusto i sapori quasi dimenticati di queste cose. Non è una golosità Voglio solo risentire in gola il gusto lontano della mia giovinezza, i pomeriggi al Quadri, 1 sorbetti mentre l'orchestra suona e, su Piazza San Marco, scende la sera di nebbia fine, lenta. •Per favore, i documenti». La voce del poliziotto mi arriva alle spalle come una lama ghiacciata. Non c'è niente da fare. 11 poliziotto dice: «Sono spiacente... ». Ci alziamo. Ugo, poverino, non capisce., si lascia rimettere il cappottino sempre con la testa voltata verso la sua «Coppa Danimarca». Poi si rende conto che il sogno è già svanito. Che lo portano via. Allora tende il braccìno, affonda il dito nella panna e, badando che non ne cada nemmeno un po', se lo affonda in bocca. Socchiude gli occhi già come un adulto triste. Roberta di Camerino (da *R, come Roberta». Per concessione della Mondadori) Roberta di Camerino con Salvador Dall'