Gary Cooper e Jean Gabin sullo schermo ne fecero un bel sogno di Sandro Casazza

Gary Cooper e Jean Gabin sullo schermo ne fecero un bel sogno Gary Cooper e Jean Gabin sullo schermo ne fecero un bel sogno E' anche una Legione Straniera delle donne. Ma noi non abbiamo uniformi, non abbiamo bandiere, né medaglie quando siamo coraggiose. Non abbiamo bende per fasciarci le ferite», dice la cinica e disincantata Amy Jolly al giovane Tom Brown in «Marocco» (1930), di Joseph von Sternberg. Per sfondo il caffè Lo Tinto, dove tra la cantante di cabaret e il giovane legionario si accende una tenace passione. Inquietante ed equivoca Marlene Dietrich spiega così a Gary Cooper, e agli spettatori di tutto il mondo, come il cinema e la letteratura d'appendice abbiano sempre voluto immaginare la Legione Straniera. Avventura, azione, gloria, luogo privilegiato per l'estremo riscatto. Il baratro davanti al quale tutti i vigliacchi possono diventare eroi; una spietata scuola di caratteri dove si insegna che la morte è gioco d'azzardo sublime, fuga esaltante. Il cinema, eterno innamorato di «mèlo», non poteva lasciarsi sfuggire una materia tanto densa, ribollente di contraddizioni psicologiche ed emotive. La Legione Straniera si è conquistata un pic¬ colo filone cll'interno del genere avventuroso, con un suo codice specifico di tipi, situazioni, ambienti. La carogna e l'eroe, il deluso e il fanatico, la bella dal buio passato, la paura e il tradimento, il rischio e la sbornia, la battaglia e l'agguato, il fortino e l'oasi, la taverna e il deserto pullulante di beduini stupidi come pellirosse o .giap» cinematografici. Cerchiamo qualche volto celebre tra questi legionari del sogno. Gary Cooper, dopo «Marocco», torna a vestire la divisa della Legione, accanto a Ray Milland, nel celebre «Beau Oeste» di William Wellman. La storia del due fratelli riuniti dal deserto, ispirata alla novella di Percival Christopher Wren, ebbe tanto successo da meritare un remake nel 1966 con Guy Stockwell e, più di recente, una versione parodistica affidata all'estro farsesco di Marti/ Feldman. Anche Jean Gabin fu legionario nella «Bandera» (19351 di Duvivier. Quarantanni dopo sotto lo stesso titolo e con la disiva si troveranno riuniti Gene Hackman e Terence Hill. Il regista Jacques Fender, quello di «Pensione Mimosa» e «Ker¬ messe eroica», si cimenta nel genere con «La donna dai due volti» (1934). Come molti suoi predecessori anche il protagonista dì questa storia è un parigino che va a morire nella Legione per amore non corrisposto. Tra il dramma e l'avventura, c'è chi ha preferito mettere in burla i luoghi comuni del filone sahariano. Prima di Feldman ci provarono nel '31 Laurei e Hardy. Stanilo e Olilo, invitando il pubblico a ridere sulla vicenda degli «Allegri legionari». Il coivo di scena finale è esilarante: tutti i legionari scoprono di trovarsi nel deserto per dimenticare la stessa ragazza amata da Ollio. Ma né l'ironia di Laurei e Hardy, né la lucida critica al mito di Marlene hanno potuto vincere il fascino romantico del bel legionario disperato e votato alla morte. Quando Tom Brown parte per una pericolosa spedizione nel deserto, forse l'ultima, Amy Jolly si toglie le scarpe e si incammina nella sabbia, dietro la colonna dei soldati, unendosi alla .retroguardia» delle donne che seguono verso l'avventura i loro uomini. Che gioia credere nei sogni. Sandro Casazza

Luoghi citati: Marocco