Trifonov: mio padre un rivoluzionario fucilato da Stalin

Trifonov: mio padre un rivoluzionario fucilato da Stalin L'ultima testimonianza dello scrittore Trifonov: mio padre un rivoluzionario fucilato da Stalin A poco più di un mesa dalla morte di Trifonov, escono contemporaneamente In Italia due suol scritti, presso l'editore Mursia. Un breve saggio sul terrorismo dall'Ottocento a oggi, terminato lo scorso febbraio, che appare come presentazione al «Demoni» di Dostoevskij (pagine XLIV, 820). E, soprattutto, Il romanzo-documento che lo scrittore dedicò, quindici anni or sono, alla figura del padre. Si Intitola «I riflessi del rogo» (204 pagine, 15.000 lire), è una sorta di altare laico eretto dal figlio per riabilitare la memoria di un protagonista della rivoluzione sovietica, condannato a morte da Stalin nelle grandi epurazioni degli Anni Trenta. . Valentin Andreevic Trifonov era stato sulle barricate d! Rostov nel 1905, aveva subito varie condanne dalla polizia zarista tornando sempre al suo posto di combattente, aveva partecipato alla creazione della Guardia Rossa nel febbraio 1917, ed era stato tra i leader dell'Armata Rossa durante la guerra civile. Segretario dei Soviet.dì Pietrogrado dopo la rivoluzione di febbraio, aveva accolto Lenin In arrivo da Zurigo con gli altri reduci dall'esilio. E, vent'annl dopo, sarebbe stato fucilato alla Lubianka. Ma il giovane Trifonov, cresciuto In altri tempi, non sapeva quasi nulla di tutto questo. «Avevo undici anni quando una notte giunsero degli uomini In divisa da militari e nella dacia dove lanciavamo gli aquiloni arrestarono mio padre e lo portarono via. lo e mia sorella dormivamo, nostro padre non volle svegliarci. E cosi non ci dicemmo addio. Era la notte fra il 22 e il 23 giugno 1937», scrive nella premessa al libro. «Passarono molti anni prima che capissi veramente chi era mio padre e che cosa aveva fatto durante la rivoluzione, e passarono molti anni ancora prima che potessi parlare di questo ad alta voce». Il libre nasce dalla scoperta di un fascio di carte rinvenute in un baule: telegrammi, verbali, giornali, volantini, lettere del periodo rivoluzionario, che nemmeno la mano di Stalin aveva potuto sopprimere. Ordinando quei documenti, lo scrittore si accorse che si ricreava la vita di un uomo: una biografia singolare, alla quale il figlio partecipa con una commozione tanto più profonda quanto più dissimulata. Ne pubblichiamo in anteprima l'ultimo, drammatico capitolo. NEL giugno 1921 V. Trifonov si congedò. Visse ancora diciassette anni, e furono anni ài lavoro; di questi anni si potrebbe ugualmente scrivere a lungo, in dettaglio, come ho scritto della prigionia e della rivoluzione. Ma ora desidero far punto. Non sto scrivendo il libro di una vita, ma quello di un destino. Non solo di mio padre, ma di molti, dei molti ai quali non ho potuto accennare. Erano in tanti a conoscere mio padre, ad aver lavorato con lui, uguali a lui. Comunque, di cosa si occupò mio padre dopo il 1321? C'era allora la crisi energetica. Il combattente di un passato recente fu mandato sul fronte energetico: fu vicedirettore del Comitato energetico e presidente del sindacato dei lavoratori del petrolio. Poi il Collegio miliatere del tribunale supremo, di cui fu presidente dal 1923 al 1924, la missione militare in Cina, l'attività diplomatica in Finlandia; poi il Comitato Centrale... Lavorando in questa organissasione, dirigendo questa attività apparentemente civile, ma in effetti estremamente difficile e diplomatica, mio padre scrisse, poco prima della sua morte, il libro di teoria militare Profili della guerra futura. Egli per tutta la vita si interessò ai problemi militari come anche, del resto, a quelli economico-agricoli: fu uno degli organizzatori dell'Accademia agricola «Lenin». Nel libro Profili della guerra futura, dove V. Trifonov trattò problemi militari, per esempio della nota dottrina del generale Douhet e della necessità di trasferire le industrie negli Vrali e in Siberia, c'è il chiaro presentimento dell'inevitabile scontro con il fascismo. Tutto il tono del libro è severo e preoccupato. Questo, tra l'altro, lo distingueva dai tanti libri cìie erano apparsi in quel tempo, libri e film che addormentavano il popolo, colmandolo di lodi, sensa capire la minaccia incombente. Fanno male oggi tante parole, tutte confermate dalla storia. Per esempio le considerazioni sul fattore di pericolosità e sulla colpevole negligenza di coloro che non erano pienamente consapevoli di cosa significasse avere a che fare col fascismo /.../. Purtroppo il libro Profili di guerra futura non vide la luce. All'inizio del 1937, dopo averlo ultimato, mio padre mandò il manoscritto ad alcuni membri del Politburo — a Stalin, Molotov, Vorosilov, Ordzonikidze. Sergo mori d'improvviso, nel febbraio del 1937. Oggi si sa che si uccise, ma allora erano in pochi a saperlo. Mi ricordo come mi spaventò l'improvviso, insolito turbamento di mio padre il giorno in cui seppe della morte di Sergo. Per lui non era solo un dolore, ma anche un terribile avvertimento. Dai rimanenti membri del Politburo mio padre si aspettava una risposta. Non rispose Molotov, che aveva conosciuto mio padre fin dai tempi di Pitér prima della rivoluzione. Non rispose Vorosilov, che aveva conosciuto mio padre sul fronte meridionale. Non rispose Stalin. Il loro silenzio era la risposta. Questa «risposta» non tardò molto ad arrivare: lo vennero a prendere degli uomini in uniforme, nottetempo, alla pineta di Serebrjan. Mio padre aveva allora 49 anni. Ma il fuoco crepita, divampa e rischiara i nostri volti, e rischiarerà i volti dei nostri figli e di coloro che verranno dopo di essi. Ecco cosa sono venuto a sapere qualche tempo dopo aver scritto la frase sul fuoco. Ma non ho dubbi nemmeno adesso: il fuoco rischiarerà l'umanità ancora a lungo. Mi ha rintracciato una persona che ha trascorso alcune settimane con mio padre in una cella della Lubjanka nell'autunno del 1937. Questa persona — lo chiameremo Usakov (lui stesso ha suggerito questo cognome, quasi temesse ancora qualcosa, benclié sia stato riabilitato e la pensione che riceve, l'appartamento alla Jugozapadnaja; dovrebbero tranquillissarlo, ma vent'anni di prigione hanno lasciato il segno, nel suo sangue scorre una mortale diffidenza) — quest'uomo venne posto nella sua stessa cella, quando mio padre era lì ormai da tempo; si trovava infatti nella Lubjanka da due mesi e mezzo. La branda di mio padre era vicina alla finestra. L'altra branda vicino alla finestra era di Artamonov, vicecomandante della Direzione suprema dell'artiglieria. Era figlio di un generale dello zar, un uomo di notevole statura, bello, intelligente, dalla parola raffinata. Lui e mio padre discutevano continuamente di problemi di balistica e a queste discussioni prendeva parte anche un professore di meccanica dell'Istituto moscovita dell'acciaio, che si chiedeva sempre e con meraviglia: «Perché mi hanno preso? Io non sono un politico». Mio padre raccontava molte cose sui cosacchi, sulle distese delle campagne sul Don, sulle capacità belliche dei cosacchi; ritornava con la memoria agli anni dell'infanzia, ma non accennava mai alla guerra civile. Non raccontava nulla di sé e dei suoi problemi. Niente della famiglia. Dava l'impressione d'un uomo forte e volitivo, ma estremamente riserva to. Era vestito con semplicità, quasi come un operaio. Magro, pelle scura, appena curvo, somigliava — cosi sembrava a Usakov — al lampista di Anna Karenina. E anche all'operaio di una poesia di Gumilèv. Questa descrizione mi colpì: nella mia memoria mio padre era rimasto diverso da come ne parlava Usakov. Io lo ricordo robusto, con bicipiti possenti, die egli aveva sviluppato con esercizi mattutini con gli estensori e ì pesi, ricordo la sua testa rotonda, forte, calva, le forti dita, i denti robusti e i baffi sopra il labbro energico e sottile. E improvvisamente, magro? nero? Era calvo, dunque vuol dire che s'era oscurato in volto. Aveva capito mio padre di essere ormai condannato? Difficile dirlo; Usakov ricorda le parole che pronunciava più spesso: «Quello che è stato è sta- ■ to, e quello che non è stato non è stato». Mio padre diceva anclie: «Ci hanno presi, tutti, o con la paura o con le percosse...». Una volta Usakov chiese a mio padre: «Come andrà a finire?». «Il destino di Stalin è come quello di Paolo I. Entreranno nella sua stanza due robuste guardie e lo strangoleranno». Allora, evidentemente, erano in molti a sperarlo; in Rus: però, le due guardie non si trovarono. Un giorno portarono in cella Martinovic, direttore di i delle organiszazioni del Commissariato dell'industria, ex mandante di divisione ed eroe della guerra civile. Lo salu rono calo/osamente. A rtamonov lo aveva conosciuto sul la ro, mio padre lo ricorda per gli anni trascorsi insieme al S Martinovic fu riportato via quasi subito e quando ritor dopo una settimana, dovettero tagliargli gli stivali: era Tir, sto sempre in piedi. Delle torture preferivano non park Tra i compagni di cella c'era, naturalmente, un giuda; c'era anche, e non poteva non esserci, una speranza quasi : stica, che non si poteva esprimere a parole, la speranza . quel terrìbile momento si sarebbe improvvisamente disso die era meglio perciò non parlarne. Ma le vere torture i percosse cominciarono in ottobre, quando Stalin firmò la i colare sull'impiego dei metodi di intimidazione fisica. Stc voleva che tutto finisse al più presto. «Vostropadre doveva essere eliminato» disse Usakov. «I< c'era alternativa». Mi disse che tutti nella cella stimavi mio padre, erano rispettosi della sua passata esperienze prigioniero: dietro le sbarre s'era trovato già trenta prima. Al giovane Usakov mio padre sembrava vecchio. Egli at buiva una grande importanza alle aringhe; diceva: «E' V mento più importante, in prigionr; sono proteine vive!», co cos'era importante e necessario, al termine di una viti passione e di sovrumana tensione: mio padre si moveva se affrettarsi, i suoi movimenti erano misurati (gli avevano i tato via gli occhiali, come a tutti coloro che ne avevano b gno; e mio padre, che era fortemente miope, non voleva ci piere gesti sbagliati); in genere dava l'impressione che fi pienamente padrone di sé e tranquillo. Penso che ciò sigi: casse soltanto una cosa: capiva quello che sarebbe accad e quello che li aspettava, tutti. Usakov fu ben presto trasf to in un'altra prigione. A mio padre rimaneva da vivere ar ro messo anno: il 15 marzo 1938, un anno dopo il processo, era durato quindici minuti, fu fucilato nella stessa prigiòj Ancora dai racconti di mio padre; nel marzo del 1 quando il governo si trasferi da Pietrogrado a Mosca, padre, con altri due, passeggiava per Mosca. Dovevano tre re un edificio adatto alla sede della Ceka; scelsero uh edif sulla Malaja Lubjanka... „ ., _ Jurij Trifori (per gentile concessione della casa editrice Mur, Jurij Trifonov al convegno sii Tolstoj tenutosi l'anno scorso a Venez

Luoghi citati: Cina, Finlandia, Italia, Mosca, Pietrogrado, Siberia, Zurigo