«L'università scopre i lunari»
«L'università scopre i lunari» Folklore «L'università scopre i lunari» BARI — Per la letteratura popolare, il passaggio dalla gerla del libraio ambulante alle aule dell'università è stato, dopo secoli di ostracismo e di incomprensione, troppo rapido e incontrollato. Ora che le preclusioni preconcette sono definitivamente cadute, si comincia a temere che al pregiudizio aristocratico se ne sostituisca un altro di segno opposto e ci si accorge die la stessa nozione di popolarità che dovrebbe sostenerlo è ancora così imprecisa e sfumata da coprire realtà differenti e talvolta contraddittorie. E'popolare soltanto quella produzione, anonima ed orale come le canzonette, le filastrocche e i proverbi, che le classi culturalmente subalterne hanno nei secoli elaborato e consumato? Oppure lo è quella che già comporta un rudimentale passaggio alla scrittura (lunari, almanacchi) o quella che impone un adeguamento ai canoni di una particolare estetica (favole, racconti, romanzi della Bibliothéque bleue) o addirittura quella che nel popolo lià solo itn soggetto e un destinatario privilegiati? E.uila volta censita questa sua folta articolazione, quali sono gli strumenti critici più adatti per analizzarla? Quale il rilievo storiografico che le va attribuito rispetto alle altre espressioni, più nobili e ormai consacrate, dell'attività letteraria? E se, una volta varcati ì confini del folklore, si dovesse parlare di letteratura senza altri aggettivi, rinunciando ad attribuire ad un suo particolare statu¬ to una popolarità che si registra probabilmente solo a livello delle sue fruizioni? Su questi problemi si sono interrogati in questi giorni a Bari i francesisti italiani in un convegno che, oltre a una sistemazione teoretica, ha tentato un'analisi nel vivo di testi che, dal Medioevo all'Ottocento dei Verne e dei Sue, si collocano in quella zona franca della cultura in cui l'oralità cede il posto alla scrittura, ma ancora la impregna dei suoi connotati originari. Ma la Francia, ha notato finemente Giovanni Dotoli, come luogo d'emergènza della letteratura popolare «non è che una provincia del mondo eurasiatico», e l'apertura interdisciplinare di queste ricerche si è avvertita tanto nelle riflessioni di un italianista come Giuseppe Petronio che hanno aperto i lavori quanto nei suggestivi confronti che Vito Carofiglio ha condotto tra l'accezione barese e quella lorenese della leggenda di San Nicola. . Da tempo a Bari un gruppo di francesisti, pur nella vivace autonomia degli indirizzi e delle metodologie, lavora attorno ai temi e alle forme della cosiddetta para- ' letteratura, e in questo convegno si è avvertito, più che il piacere di comunicare i risultati già confortanti delle ricerche, il bisogno di disèutere è affermare ì princìpi di un recupero critico tanto urgente quanto problematico. Semplici è gustosi come sono, i frutti della letteratura popolare sembrano, còme le pere del Bonhomme Misere, capaci di intrappolare chiunque cerchi di impossessarsene. Nel celebre romanzo, il contadino, .dal nome anche troppo trasparente clie .l$:possèd&a"cò'hieìsUti unica riccliéz- §j sa otteneva quale riscattodei treladroni" così catturati' la pròpria sopravvivenza«tant que le monde sera monde»: gli studiosi che dì farse, favole e almanacchi stanno facendo ghiottamente bottino, si augurano soltanto che la definitiva consacrazione della letteratura popolare non richieda un loro analogo, imbarazzante sacrificio. g.b.
Persone citate: Bonhomme, Giovanni Dotoli, Giuseppe Petronio, Verne, Vito Carofiglio
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