Dal Giappone un'idea contro l'inflazione

Dal Giappone un'idea contro l'inflazione COME RIDURRE I DEBITI DELLE IMPRESE Dal Giappone un'idea contro l'inflazione ] governi degli Anni Cinquanta, in particolare quello americano del presidente Hoover, avevano tentato di combattere la crisi seguendo i principi dettati dal buon senso popolare: uno Stato deve essere Restilo come un bilancio familiare, e non deve spendere più di quanto incassa. La sinistra si limitava a riecheggiare le profezie marxiste e annunciava la fine imminente del capitalismo. E il mondo occidentale si è impantanato nella crisi economica. Ora ci stiamo avviando verso una situazione analoga. Le politiche d'ispirazione keynesiana hanno portato i Paesi occidentali ad un'espansione senza precedenti; ma queste politiche sono ormai inapplicabili per i crescenti vincoli esterni derivanti dalla crisi petrolifera del 1973. Di fronte a questa evidenza i governi occidentali uno dopo l'altro tornano alle politiche economiche che hanno portato alla crisi degli Anni Trenta, e che da quell'epoca sembrano definitivamente condannate, . Il ragionamento sotteso oggi in queste politiche a prima vista sembra logico: i successivi aumenti di prezzo del petrolio ci costringono ad aumentare continuamente le spese per l'importazione. Per finanziare questi costi, bisogna esportare sempre di più, e di conseguenza espandere ulteriormente l'industria. Aspettando il successo di. questa espansione, lo stretto legame esistente fra la crescita economica e le importazioni di petrolio ci costringe a frenare la prima per limitare le seconde, donde la politica d'austerità e la volontà di ridurre a qualsiasi prezzo il deficit di bilancio. Purtroppo il successo di una simile politica dipende da variabili esterne che sfuggono al nostro controllo: ogni volta che un Paese riesce, a prezzo di duri sacrifici, a ristabilire l'equilibrio coni l'estero, un nuovo choc petrolifero provoca la ripresa del deficit commerciale. Inoltre, nel momento in cui la maggior parte delle nazioni ha una crescita rallentata, addirittura una recessione, è per lo meno problematico ottenere uno sviluppo rapido e duraturo delle esportazioni. In tutti i Paesi nei quali si segue questa politica la situazione si aggrava, la disoccupazione aumenta, l'inflazione rimane, l'equilibrio con l'estero è compromesso. Il petrolio Occorre dunque decidere una nuova politica economica. I Paesi europei dovrebbero accordarsi e lanciare un piano comunitario di grande respiro per aumentare la loro autonomia nel più breve tempo possibile. L'espansione industriale dovrebbe avere come obiettivo non una maggior specializzazione, ma uno sviluppo'dell'Europa più autocentrato. Quest'orientamento non porterebbe ad una forma di autarchia, ma ad un tipo di sviluppo che privilegi la domanda interna. In un primo tempo, questa strategia dovrebbe attaccare la radice del male che oggi paralizza i Paesi europei: la .dipendenza energetica. I programmi per lo sviluppo di nuove fonti di energia, o per economizzare energia, sarebbero notevolmente rafforzati e diversificati, per evitare che si formino strozzature tecniche. Le nuove possibilità offerte dal Sistema monetario europeo potrebbero essere estese per finanziare questo piano nel quadro di una vera politica economica e monetaria specificamente comunitaria. Il Consiglio europeo che si è svolto a Brema nel luglio del 1978^ ha stabilito che due anni dòpo l'entrata in vigore dello Sme potrebbero essere creati «scudi» Écu non soltanto come contropartita di depositi in oro e valuta al Pondo europeo di cooperazione monetaria, ma anche in cambio di monete dei Paesi membri. Purtroppo questa riforma è stata ritardata: ma quando sarà entrata in vigore, il Pecom disporrà di riserve monetarie sempre più consistenti, che potrà utilizzare per finanziare le operazioni destinate ad accrescere l'autonomia dei Paesi membri. Nel caso in cui un governo volesse adottare una simile politica, ma non riuscisse a trovare il consenso dei partner, potrebbe benissimo applicarla da solo. Il finanziamento del piano di rilancio incentrato sulla rapida riduzione della dipendenza energetica avverrebbe però attraverso un grande disavanzo di bilancio. Per evitare la conseguente eccessiva creazione di moneta, dovrebbero essere limitate altre forme di creazione monetaria, ad esempio imponendo alle banche commerciali l'aumento progressivo dei tassi delle riserve obbligatorie. Contemporaneamente, entrerebbe in funzione il controllo del mercato delle eurodivise. La creazione di moneta diverrebbe a-Hora più selettiva, privilegiando l'espansióne scella. Contrariamente a quanto si possa pensare a prima vista, questa politica non sarebbe inflazionistica, ma avrebbe, anzi, un effetto antinflazionistico tutt'altro che trascurabile. Questo perché finché le imprese saranno indebitate ai livelli di oggi, avranno sempre interesse all'inflazione. Nel sistema proposto, invece, l'indebitamento delle imprese con il settore bancario sarebbe in parte sostituito da commesse fatte dallo Stato (o dalla Comunità europea) nel quadro delle operazioni di espansione. Vi sarebbe dunque una diminuzione del debito delle imprese, le quali perderebbero l'interesse all'inflazione. Infine, occorre sottolinea' re che un rilancio economico orientato' in questo senso è l'unico prevedibile che non comporti un durevole passivo con l'estero. Ai contrario, estirperebbe gradualmente le radici stesse del deficit. Infatti, mentre l'attuale indebitamento con l'estero finanzia il consumo di energia importata e non risolve il problema, il nuovo indebitamento che potrebbe risultare in un primo tempo dall'aumento degli investimenti energetici servirebbe a finanziare un programma di riduzione definitiva della nostra dipendenza energetica, e quindi delle importazioni. Come il New Deal degli Anni Trenta, una simile politica può choccare i pensatori ortodossi, i quali però sono invitati a meditare sull'evidente fallimento delle politiche adottate sino ad oggi, e sul' successo del Giappone, la cui politica economica ha molti punti in comune con quella proposta'. Da oltre un secolo infatti il Giappone cerca sistematica¬ mente di aumentare la sua autonomia malgrado la povertà di materie prime, poco favorevole al raggiungimento di questo obiettivo. Presentato sempre come «campione» delle esportazioni, il Giappone tuttavia non esporta alcun prodotto che non abbia preventivamente lanciato per soddisfare la domanda interna e non abbia sperimentato sul suo mercato, poiché la conquista del mercato interno non è in antitesi con l'espansione degli scambi con l'estero. Anzi, ne è una delle condizioni principali. E' illusorio pensare che un imprenditore incapace di soddisfare la domanda interna possa imporsi su mercati lontani. La terza via Anche la politica congiunturale è estremamente interessante. Il Giappone è il Paese industrializzato più colpito dalla crisi petrolifera, ma ha svolto una sistematica politica di deficit di bilancio (32,9 per cento delle spese nel bilancio generale del 1977, 31,3 per cento nel 1978, 35,4 per cento nel 1979) mentre l'indebitamento delle imprese diminuiva notevolmente, passando dall'I 1,3 per cento del prodotto nazionale lordo nel 1974 al 3,8 per cento nel 1979. Con questa politica si sono ottenuti risultati considerevoli: forte crescita (6 per cento nel 1978, 5,9 per cento nel '79, 5,5 per cento nell'80), disoccupazione a livelli del 2,1 per cento nel '79 e inflazione, lo stesso anno, soltanto del 3,6 per cento. Fra il riflusso liberale caro alla signora Thatcher e a Reagan e .quello marxista c'è pertanto una terza via, sulla quale la Comunità Europea deve avviarsi per superare la crisi. André Grjebine Professore incaricato di Scienze economiche all'Istituto di Studi Politici di Parigi

Persone citate: André, Brema, Hoover, Reagan, Thatcher

Luoghi citati: Europa, Giappone, Parigi