Rauschenberg non convince più?
Rauschenberg non convince più? DOPO IL SUCCESSO DI PALI', DELUSIONE ALLA TATE GALLERY Rauschenberg non convince più? Settantasei «pezzi», dal 1940 ad oggi, esposti in uno dei più prestigiosi musei del mondo - Per la prima volta le sale sono semivuote, i giovani appaiono apertamente scettici LONDRA — Mentre a Parigi il centro Pompidou (il Beaubourg) dedica una mostra a 173 fotografie scattate da Robert Rauschenberg dal '49 ad oggi, qui a Londra la Tate Gallery apre una retrospettiva dello stesso autore, cominciando dalla stessa data. Settantasei «pezzi» (difatti come definire altrimenti alcuni degli oggetti di Rauschenberg?). tra i più famosi, cominciando da «Figura femminile», la stampa azzurra della moglie «schiacciata» su un foglio, e finendo con «Revenue» (1980) plexiglass, pannelli di legno, collage, trasferelli. La maggioranza delle opere esposte proviene da musei, dalla collezione dell'autore e da quelle dei suoi più fedeli galleristi, Leo Castelli e i Sonnabend di New York. E, come è solito fare. Robert Rauschenberg è venuto a Londra per allestire la pro¬ pria mostra (che chiuderà il 24 di giugno); supervisore attentissimo, la seggiola dipinta deve stare davanti alla telacollage; la scatola, l'aquila impagliata, lo specchietto, devono essere messi in una certa posizione in «Canyon 1959» per non parlare di «Santa Agnese» (1973), due seggiole con della tela drappeggiata sopra e due bottiglie di vetro ai lati. Ci sono anche dei teatrini-oggetto usati per balletti composti da John Cage, rimessi assieme con cura nelle belle sale della Tate da questo personaggio, uomo dal bel viso ovale e dagli occhi un po' severi. Robert Rauschenberg è forse il pittore (?) più famoso, quello che ha avuto più successo, della nostra generazione. Eppure le sue composizioni, le sue opere, sono fatte con l'intento di scandalizzarci; la rottura, il buttar via ogni no- zione precedente, fa parte del bagaglio visivo di questo signore. L'«oggetto trovato», cose scovate a vanvera e possibilmente da pattumiere o bidoni di spazzatura, è un'idea sua, quando riproposto fuori dal suo contesto come «bello» o come oggetto da guardare. E la cosa strana che risulta da questa mostra è che molte composizioni di Rauschenberg, anche se fatte con pezzacci di roba, spec-chietti, stampine, portano uno stigma inconfondibile, che alcune sue cose sono ormai «classiche» e che in fondo le meno interessanti sono quelle più visive, dove c'è la ricerca del bello, dove in Rauschenberg si ritrova Mondrian e ancor più Schwitters. Il «Letto», una tela del '55 sulla quale è appiccicato un letto, con tanto di guanciale, lenzuolo e copertina, e con aggiunte di colori ad olio spatolati a capriccio, che a suo tempo ci fece tanto arrabbiare, dopo anni sembra bello, e pieno di significati, di torbide e sordide metropoli, di contesti letterari. Altri oggetti, perù, non riescono nel loro intento: come prender sul serio la bagnarola •vecchia con acqua dentro, legata al soffitto da una corda e sovrastata da un «baldacchino» fatto di legni e ferraglia? («Sor Aqua», 1973). E c'è anche il trittico «White painting» 1951, che tanto scandalo fece alla Biennale di Venezia: tre tele, perfettamente bianche e perfettamente uguali l'una all'altra, appese runa vicino all'altra. Le quali sono spiegate da Rauschenberg con un linguaggio francamente fastidioso: -la libertà dell'assenza, la pienezza plastica del nulla, il punto nel quale il circolo inizia e finisce'. Ma se il «nulla» è cosi plastico, perché non creare il«niente» ed esporlo e fare come i vestiti nuovi dell'Imperatore? Rauschenberg. spiega il catalogo, è amico e creatore parallelo del compositore americano John Cage e le tre tele bianche sono da capire nello stesso modo della sinfonia 4'33" (1952) di Cage durante la quale il pubblico «ascolta» il silenzio che dura 4 minuti e trentatré secondi, interrotto dal rumore del piano che viene aperto e chiuso dal •solista». Nel terzo movimento i mormorii del pubblico, le timide note di protesta, i colpi di tosse, sono la musica. Nel 1961, quando usavano queste cose e quando la borghesia era ancora sufficientemente intimidita per non aver capito troppe cose nel passato da non protestare, Gabor Cossa. un famoso antiquario di Cambridge, organizzò un concerto. Affittò l'Albert Hall, la più grande sala da concerti di Londra (6000 posti) e lui, che non aveva mai studiato una nota, si mise al piano. Silenzi lunghissimi, qualche «tin-tin» suonato con il mignolo e. alla fine, applausi fragorosi e anche critiche su giornali di autori che non avevano capito lo scherzo di Cossa. Anche Rauschenberg a volte è spiritoso: il suo papiro in vetrina («Automobile Tire Print», 1951) dà eleganza all'impronta di una ruota di automobile che assume una «scrittura» riconoscibile. In questi ultimi anni Rauschenberg usa sempre di più immagini tratte da giornali trasferite sulla carta (o sulla tela o sul pannello) con solventi; il collage rimane per le stoffe, i pezzi di legno, di ferro e gli specchi. Ma forse la vera novità da registrare sta nel fatto che questa retrospettiva, in un museo famoso come la Tate, è semivuota. Mentre quella di Dall faceva accorrere i giovani e anche Gainsborough non se la cavava male. Robert Rauschenberg, una volta la «stella», sembra essere stato abbandonato, almeno in In ghilterra. E quei giovani che camminano per le sale semi deserte (anche in un sabato pomeriggio!) guardano la ruota d'automobile che parte da una tela a collages («Kog Heaven», 19/8) e dicono -Questa non la bevo!». Forse sono più sicuri nella critica, forse non capiscono niente, forse • Hog Heaven» apparirà come un «classico», cosi come la bagnarola, quando li avremo as sorbiti. O forse, se Rauschen berg fa lo spiritoso a nostre spese, ci sentiremo irritati, come lui vuole. L'unica cosa da rilevare è che tanto nello stile ponderoso del catalogo, quanto nelle sue stesse parole, lo scherzo non appare, anzi, tutti si prendono immensamente sul serio. Gaia Servadio
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