Cento capolavori salvati a Padova

Cento capolavori salvati a Padova ESPOSTI CON LE «CARTELLE CLINICHE» DEGLI INTERVENTI ESEGUITI Cento capolavori salvati a Padova II primo e più importante è il convento degli Eremitani, che ospita la mostra: semidistrutto dai bombardamenti, ricostruito, diventerà un museo - Un,«Ultima cena» di Paolo Veronese e «Le lavandaie» di Pietro Longhi PADOVA — Nella primavera del '44. più o meno di questi giorni, una serie di bombardamenti pestò paurosamente il cuore di Padova. Pare che fosse un trattamento speciale, al fosforo, adatto alle vecchie case; le bombe regolarmente a grappoli. Tra le centinaia di costruzioni in fiamme, la chiesa degli Eremitani semidistrutta, gli affreschi del Mantegna in polvere, il convento ridotto a qualche tratto di muro. A pochi passi, per miracolo, si salvò la Cappella degli Scrovegni con le storie di Giotto; ma le distruzioni del complesso degli Eremitani rimasero tra le più gravi di tutta la guerra, nell'intero patrimonio artistico italiano. Negli Anni Cinquanta, la vecchia chiesa fu poco per volta, con enorme pazienza, restaurata; sui muri dell'abside tornarono ad apparire, qua e là. le grandiose immagini del Mantegna: incredibilmente ricomposte dai più minuti frammenti, da quella polvere grigia che ricordiamo. Si sta ora ultimando, dopo anni di duro lavoro, la ricostruzione del Convento. Il grande restauro chiude defi¬ nitivamente il difficile periodo degli interventi postbellici a Padova: la ricostruzione darà presto una nuova sede al Museo Civico, la cui pinacoteca — ora presso la Scuola del Santo — è tra le più ricche d'Italia. E' questo il primo significato della rassegna «Cento opere restaurate», allestita fino al 15 giugno nelle sale rinnovate del convento: la prima e la più importante delle «cento opere» è l'edificio stesso. La ferma eleganza del chiostro settentrionale ha pochi paragoni, per gli splendidi ritmi degli archi ritrovati. Nel corpo sud, il fianco della chiesa domina il cortile, contrastando robustamente perfino con le potenti strutture metalliche rimaste in opera. Pitture, sculture Tra le pitture e sculture restaurate e ora esposte, spiccano un'Ultima Cena di Paolo Veronese, con le grandi figure in moto nella più sorprendente compattezza; un tipico Longhi («Le lavandaie»): un quieto e luminoso Piazzetta; quattro delicati Diziani («Le stagioni»): tre forti tele di Pietro Muttoni; una stupen- da Madonna lignea di Lazzaro Bastiani; un paesaggio di Giuseppe Zais da porre tra i suoi esiti migliori: due di quelle «Bambocciate» seicentesche che non finiscono di stupirci; un grandioso Paris Bordone, con la chiesa del Santo in paradiso; diversi Zelotti, tra cui uno almeno di rara intensità: due splendide sculture in legno («Le Marie piangenti») di Andrea Briosce Mancano le tele annunciate di Tintoretto e del Ricci, che ci auguriamo di poter vedere presto: in trasferta temporanea, ci si dice, in Germania. Tra le altre opere, cinque importanti disegni dello Jappelli, antiche piante di Padova, manoscritti. Corredi tombali, bronzetti, terrecotte. mosaici restaurati estendono il campo della rassegna. Ogni opera esposta è accompagnata da una precisa documentazione fotografica prima e dopo l'intervento, con varie riprese di dettaglio; e da una vera e propria «cartella clinica» con le diagnosi fatte e gli interventi adottati. Ogni intervento svela cosi la sua storia: siamo messi di fronte ai problemi, alle difficoltà, ai successi e talvolta anche agli insuccessi della lunga via del restauro. Per molti dei profani, questa si rivela — con nostra sorpresa — la parte più affascinante della Mostra: un intero mondo, fino a ieri per iniziati, si schiude all'orizzonte: con esempi che si chiamano Longhi e Veronese. C'è di più: la mostra ci prende per mano e ci insegna qualcosa, finalmente, delle tecniche di base del restauro: impariamo da varie schede analitiche, accanto all'esaltante applicazione ad ogni opera, che cosa sono il «bolo» e il «fissaggio», le differenze tra velature e scodellature. come si affrontano le «crachetures» e come l'umidità possa essere più deleteria delle bombe. Cominciamo insomma a inquadrare il campo della difficile arte, subendone il fascino: un'arte che affronta con pochi mezzi pazienti, sui tessuti più belli e vulnerabili dell'umano, le forze distruttrici della storia. E subito vorremmo saperne, per riportare un sentimento comune tra i visitatori, anche di più: una volta messi su questa strada non ci si ferma, è come attivare una febbre. Al punto che già ci si aspetterebbe, dopo le prime «cartelle cliniche», qualche maggiore estensione del commento, un'ulteriore precisazione delle alternative, i termini d'un possibile dibattito cui partecipare. Se si aggiunge che è una strada che porta a conoscere meglio non solo gli interventi ma le stesse opere dell'arte e il lavoro dell'ar..sta. non c'è che da esser grati a chi ha innescato questa «febbre» da cui non guariremo tanto presto. Accanto a Giotto A questo punto occorrerebbe ricordare i nomi di chi ha lavorato con intelligenza e passione su una traccia così poco battuta. L'elenco non è breve; diremo solo che sotto la direzione del prof. Giovanni Gorini hanno partecipato agli interventi di restauro i più qualificati laboratori d'Italia: gli studi delle Soprintendenze veneta e fiorentina, botteghe padovane e piemontesi, antichi conventi e nuove officine. Esprimirmo una speranza: che nel nuovo museo si apra una sezione permanente dedicata ai restauri e alle loro tecniche. Il dibattito spontaneo, iniziato da questa rassegna, mostra che la direzione oggi affrontata è quella giusta, che c'è un largo humus pronto a ricevere. La futura sezione restauri, se possiamo chiamarla cosi, non potrà tralasciare l'opera di ricostruzione dell'edificio, come si è venuta attuando nel tempo, tra ricerche difficili e opinioni diverse. Il nuovo Museo è accanto all'Arena romana, tra il Mantegna degli Eremitani e il Giotto degli Scrovegni: il centro di Padova sta per avere un gioiello in più, frutto d'un lungo lavoro umano che va documentato in ogni sua fase, almeno come un quadro. Non solo per noi. che abbiamo visto distruggere, e poi lentamente rinascere, chiesa, affreschi, convento: ma per quanti, beati loro, la primavera del '44 non è che una data: un riferimento ad altre epoche, una cifra sulla Paolo Barbaro

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