Cioran e il peggio di Franco Lucentini

Cioran e il peggio L'AGENDA DI F. & L. Cioran e il peggio «Si è ostili verso coloro che sono ossessionati dal peggio anche nel momento in cui si riconosce la giustezza delle loro apprensioni e dei loro avvertimenti. Si è molto più indulgenti verso colui che si è sbagliato, perché si crede che il suo errore sia stato il frutto dell'entusiasmo e della generosità, mentre l'altro, prigioniero della propria lucidità, non sarebbe che un vile, incapace di accettare il rischio di un'illusione». A chi si riferisce una massima come questa? Forse al musone che rifiuta un invito a pranzo perché prevede di annoiarsi mortalmente? All'ansioso che si astiene dalla gita domenicale per timore della' pioggia, del traffico, dei ladri? O forse si tratta di un «peggio» meno spicciolo, quello di chi per esempio rinuncia al matrimonio perché ne paventa i molteplici legami, l'ineluttabile spirale di attrito e logoramento; o di chi evita di mettere al mondo dei figli, causa sicura di tormentose trepidazioni e responsabilità? O ancora, di chi, assistendo da una finestra alla presa della Bastiglia, già si figurava il Terrore, la ghigliottina, e vent'anni di guerre napoleoniche; di chi, leggendo il Capitale, già distingueva sotto la barba umanitaria di Marx i baffi omicidi di Stalin? Ognuno di noi conosce persone così; ognuno di noi è in parte così. Ma l'autore della massima ha ragione: siamo ostili al sentimento del peggio in tutte le sue gradazioni. Lo combattiamo in noi e fuori di noi. Cerchiamo di screditarlo, di renderlo ridicolo, di esorcizzarlo, per la semplice ragione che la nostra civiltà, dalle piccole cose alle grandi, poggia interamente sulla fede nel meglio. Il pannolino che aderisce meglio al sederino. Il pneumatico che morde meglio l'asfalto. La grande scoperta che ci guarirà dal cancro. La grande riforma che ci solleverà dall'indigenza. La grande rivoluzione che ci farà tutti uguali e felici. La vera, schiacciante, capillare egemonia culturale sotto cui viviamo da decenni, da secoli, non è né marxista né borghese: è l'egemonia dell'ottimismo, ora cauto e ragionevole, ora dirompente, euforico, ora scientifico, religioso, sessuale, ora consumisdco, libertario, autoritario. Vi soccombe la massaia che acquista un nuovo detersivo come il terrorista che uccide il magistrato; l'ingegnere nucleare come l'ecologista arrabbiato. In apparenza dissimili, anzi incompatibili, questi personaggi sono in realtà accomunati da una stessa reazione di rigetto verso chiunque li possa far dubitare del loro ruolo. Guai a colui che accende le luci in teatro nel bel mezzo della recita, rivelando per un attimo cartapeste e parrucche, barche su ruote e finestre sul nulla. I duellanti smettono di battersi, e si rivoltano contro il guasta-1 feste, il piagnone, il bilioso, l'uccello di malaugurio. Se si tratta di un poeta, di un filosofo, di un pensatore, verrà prontamente liquidato come nevrotico, maniaco depressivo, egoista, reazionario, disfattista, asociale. E' un ostracismo profilattico e ormai inconscio. Se proprio non si può fare a meno di mettere Leopardi nell'antologia, gli si pianti attorno una solida barriera di filo spinato: era gobbo, cagionevole di salute, non amato dalle donne, sua madre era una tiranna, aveva studiato troppo da bambino. Mentre lui se ne stava lì a ingollare tristemente i suoi sorbetti (una mania, un vizio), altri (menomale) pensavano all'unità d'Italia, al crescere dei commerci internazionali, alla vaporiera. Ragazzi, ammirate le sue liriche, ma non fatevi impressionare dalla sua visione della vita, era un poverino, un infelice, un «caso particolare» da compiangere. Alla lista non lunga di questi temibili «casi particolari» da mettere in quarantena, viene ora ad aggiungersi un nome che i lettori di questo giornale già conoscono attraverso un ritratto-intervista che Guido Ceronetti gli dedicò lo scorso anno. Si tratta di E. M. Cioran, rumeno settantenne che vive a Parigi e scrive in francese, di cui lo stesso Ceronetti presenta il primo libro (Squartamento, ed. Adelphi) tradotto in Italia. E' una raccolta di aforismi, pensieri, considerazioni sulla vita, sulla storia, annotazioni autobiografiche, lampeggianti anatemi, tremiti e sfoghi individuali, che per la loro forma impeccabile, levigata, fanno subito pensare ai grandi moralisti francesi e a Marco Aurelio, di cui Cioran è del resto dichiarato ammiratore. Solo che dietro a Cioran non c'è una società ben strutturata, una religione, una cultura sicura di sé, una corte con le sue regole, le sue tradizioni, la sua forza; egli è un esule, uno sradicato, un solitario che ha imparato a servirsi magistralmente di una lingua non sua, della lingua più elegante e stilizzata d'Occidente, per gridare enormità nel deserto. ¥ * «Non appena si esce per strada, alla vista della gente, sterminio è la prima parola che viene in mente». «Tutti questi passanti fanno pensare a gorilla deboli e stanchi, e che ne avrebbero abbastanza di imitare l'uomo». «La prova che l'uomo esecra l'uomo? Basta trovarsi in mezzo a una folla per sentirsi subito solidali con tutti i pianeti morti». «Poiché quell'amica incontrata durante una passeggiata, s'ingegnava di convincermi che il "Divino" era presente in tutte le creature senza eccezione, le obiettai: "Anche in questa qui? " indicando una passante d'aspetto intollerabilmente volgare. Lei non seppe cosa rispondere...». Sono parole che non vogliamo sentire, sono i veri tabù del nostro tempo. Chi è questo eccentrico, questo pazzoide che si atteggia a Diogene nella botte? Come può sperare di vendere delle proposizioni di scuola cinica nel nostro illuminato XX secolo? Ma Cioran insiste, forte appunto del suo anacronismo, della sua condizione di predicatore a priori inascoltato, sommerso in partenza da voci, clamori, fanfare, sermoni, sferragliamenti di ben altra portata. «Chiunque parla il linguaggio dell'utopia mi è più estraneo di un rettile di un'altra èra». «Beati tutti coloro che, nati prima della Scienza, avevano il privilegio di morire alla loro prima malattia». «La speranza è la forma normale del delirio». «Tutti s'ingannano, tutti vivono nell'illusione. Si può ammettere tutt'al più una scala delle finzioni, una gerarchia delle irrealtà...». «Se le onde si mettessero a riflettere, crederebbero di avanzare, di avere uno scopo, di progredire, di lavorare per il bene del Mare, e finirebbero coll'elaborare una filosofia sciocca quanto il loro zelo». Non è che idee simili non circolino fra noi, perlomeno da qualche anno a questa parte. Il disastro della Storia, il crollo delle ideologie, la crisi della scienza, la follia dello sviluppo a ogni costo, sono tutti problemi che rimbalzano quotidianamente dai giornali ai teleschermi. Ma sempre tra parentesi «responsabili», tra virgolette attenuanti, consolatorie, nel quadro di, in vista del, sul piano della. Cioran non sta al gioco, rifiuta il civile dibattito, la tavola rotonda pensierosa, il mento tenuto gravemente nella mano. E' un estremista autentico, un esageratore totale, un vero scorticato. L'argomento principe contro questi rarissimi squartatori è: ma tu in cambio cosa ci proponi? E' un argomento capzioso, giacché la strada di un Cioran non è percorribile se non da lui, e lo sterminato gregge seguirà sempre pastori più entusiasti, rincorrerà sempre miraggi più generosi, fino all'abisso del peggio. Egli è il primo a soffrirne, ma non può fare altro che segnalarne la vicinanza vertiginosa roteando il suo lucido fioretto francese, che in una certa luce, da un certo angolo, balena come l'immensa spada dell'Ecclesiaste. Carlo Frutterò Franco Lucentini

Luoghi citati: Italia, Parigi