Per Calogero il terrorismo rosso «ha prevalente matrice borghese» di Giuliano Marchesini

Per Calogero il terrorismo rosso «ha prevalente matrice borghese» L'inchiesta del magistrato coinvolge Negri e Piperno nel caso Moro Per Calogero il terrorismo rosso «ha prevalente matrice borghese» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PADOVA — Con una conclusione a sorpresa, il sostituto procuratore della Repubblica Pietro Calogero rilancia Toni Negri nel caso Moro, nonostante il professore sia stato prosciolto dalla magistratura romana dall'accusa di partecipazione al sequestro e all'assassinio del presidente democristiano. Il pubblico ministero padovano insiste insomma sul suo «teorema», rifacendosi alle origini dell'inchiesta «7 aprile» e coinvolgendo il leader dell'Autonomia organizzata in presunti collegamenti con le Brigate rosse. L'ultima delle 1455 pagine che compongono la requisitoria di Calogero, depositata presso la cancelleria dell'ufficio istruzione, oltrepassa i confini dell'indagine sugli episodi terroristici del Veneto e invade un vasto territorio in cui il giudice di Padova vede schierata l'Autonomia. E con Toni Negri sono messi in fila altri esponenti di rilievo del movimento dell'ultrasinistra, nell'attribuzione di pesanti responsabilità. Nell'estendere le sue accuse. Calogero parte da drammatiche vicende torinesi. Il pubblico ministero chiede la trasmissione di copia della requisitoria al procuratore della Repubblica di Torino «per le valutazioni di sua competenza sulle risultanze emerse a carico di Negri, Piperno e altri per il sequestro di Bruno Labate e gli atti di terrorismo avvenuti presso gli stabilimenti Fiat di Torino nell'autunno-inverno 1972-73; e sulle risultarne emerse a carico dello stesso Negri, di Vesce, di Tomrnei e di A. Bellavita per il sequestro di Ettore Amerio aiwenuto a Torino il 10 dicembre 1973». Subito dopo Calogero manifesta l'intento di risospingere Toni Negri dentro il caso Moro: propone che la sua requisitoria venga trasmessa al procuratore della Repubblica di Roma «per le valutazioni di sua competenza sulle risultanze emerse a carico di Negri per i fatti di via Fani; e sulle risultanze emerse a carico dell'avv. Edoardo Di Giovanni in riferimento ad ipotesi di banda armata». Il pubblico ministero padovano vuole infine che le sue 1455 pagine giungano alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Moro e sul terrorismo «per le valutazioni di competenza in ordine alle risultanze emerse a carico di Negri, Piperno e altri per i fatti di via Fani e in riferimento ad attività contro la sicurezza dello Stato». Queste le somme tirate da Calogero dopo un'inchiesta lunghissima. aggrovigliata, tormentata. Per quanto riguarda la parte «padovana» dell'indagine, sono diciotto le richieste di rinvio a giudizio per «costituzione di banda armata». Quel che a Pietro Calogero preme sostenere in questa requisitoria fiume, al di là delle accuse per le incursioni terroristiche che sono state compiute nel Veneto, è una sorta di alleanza tra i vertici dell'Autonomia organizzata e le Brigate rosse. Nel suo «volume giudiziario... il magistrato di Padova mostra l'intento di cogliere la nascita del'partito armato, di descrivere strategie e sviluppi del terrorismo dal 1971 in avanti. Secondo Pietro Calogero, ci sarebbe stata anche una sorta di «supervisione» delle operazioni. Il giudice padovano parla di una struttura composita «costituita da coloro che dirigevano unitariamente le due organizzazioni verso la guerra civile» e dice che questo supervertice aveva una sigla: Mrpo (Movimento di resistenza proletaria offensiva). Il concetto di conduzione, sostiene ancora Calogero, si rifà ad «un organismo rivoluzionario che è la struttura di vertice con funzione di direzione strategica, finanziamento, copertura, informazione, fiancheggiamento delle principali forze eversive, quali Autonomia, Prima linea e Brigate rosse». Il pubblico ministero intravede, in questo panorama, diverse connivenze: «Tale ricchezza, esperien- za, teoria e pratica evocano la complicità, il sostegno, la copertura di autorevoli e influenti personaggi graintanti nel mondo della cultura, dell'economia e della finanza, della politica interna e internazionale e forse anche in settori non secondari dell'apparato statale». Il magistrato di Padova é dell'avviso che il terrorismo rosso sia fenomeno con prevalente matrice borghese e intellettuale». «Non sono contingenti situazioni di crisi e di emarginazione — aggiunge — a generare le proposte e le scelte terroristiche, ma l'elaborazione ad opera di intellettuali borghesi e l'accettazione che parte da settori garantiti della borghesia, di teorie che sono in gran parte svincolate dai bisogni reali della classe operaia». Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Padova, Roma, Torino, Veneto