I vent'anni di Amnesty di Ferdinando Vegas
I vent'anni di Amnesty OSSERVATORIO I vent'anni di Amnesty Amnesty International, giunta ai vent'anni, può indubbiamente guardare con grande soddisfazione al cammino compiuto dalle sue modeste origini. Quella che oggi è un'organizzazione di rilevanza mondiale, con oltre duecentocinquantamila tra membri e sostenitori attivi, è sorta infatti nella maniera più semplice, tipicamente inglese, per l'iniziativa di un singolo individuo: l'avvocato Peter Benenson, il quale, subito dopo avere scritto — appunto nel maggio 1961 — un articolo sul settimanale The Observer, passò dalla denunzia verbale all'attività pratica, fondando a questo scopo Amnesty International. L'articolo cominciava con una constatazione agghiacciante nella sua evidenza: «Aprite il vostro quotidiano ogni giorno della settimana e vi trovate un rapporto da qualche parte del mondo su qualcuno che viene imprigionato, torturato o giustiziato perché le sue opinioni o la sua religione risultano inaccettabili al suo governo». Lo scopo assegnato ad Amnesty era quindi di impegnarsi concretamente, in nome dell'umanità, contro questo ritorno alla barbarie: non, però, scatenando battaglie pubbliche di portata generale, che si sarebbero risolte in mera eccitazione, quasi sicuramente senza ottenere i risultati sperati, ma seguendo un metodo molto più efficace, che è caratteristico di Amnesty. E' il metodo del caso per caso, dettato anche dalla necessità, dato che Amnesty può intervenire solo in un numero ristretto di situazioni. Anzitutto vengono inviate missioni di inchiesta nei Paesi dove avvengono violazioni patenti dei diritti fondamentali; il loro compito, assai difficile per la natura dei regimi in causa, consiste nell'appurare la verità circa imprigionamenti e torture, intervistare se possibile i prigionieri, assistere ai processi. Indi, sulla base dei rapporti ricevuti, entrano in azione i vari gruppi di Amnesty (alcune migliaia), ognuno dei quali «adotta» tre «prigionieri di coscienza», come vengono chiamati coloro che sono detenuti per le loro idee o convinzioni o per l'origine etnica, la religione, il linguaggio, senza avere usato e nemmeno approvato la violenza, insomma innocenti dT~qualsiasi comportamento che si possa qualificare reato. Il numero di tre prigionieri adottati da ciascun gruppo risponde al criterio di assoluta imparzialità, al di fuori di ogni orientamento politico, ideologico o religioso, con il quale Amnesty intende procedere: un prigioniero, infatti, è scelto nei Paesi comunisti, un altro in quelli sotto dittature di destra e il terzo in un Paese non allineato. Circa la metà dei prigionieri aiutati dal 1961 sono stati rilasciati, restando così dimostrato quanto sia efficace il metodo peculiare seguito da Amnesty per rivendicare i diritti umani. Con l'assegnazione del premio Nobel per la pace per il 1977, che Amnesty aveva organizzato come l'«Anno del prigioniero di coscienza», l'opera di Amnesty ha avuto infine un riconoscimento solenne. Ma i prigionieri, i torturati sono ancora troppi, in troppi Paesi. Gli Anni 80 si profilano no. meno duri: Amnesty continua l'impegno e invita a unirsi alla sua opera di civiltà. Ferdinando Vegas
Persone citate: Peter Benenson
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