Il Libano si aggrappa alla pace saudita nell'incubo di un intervento israeliano di Igor Man

Il Libano si aggrappa alla pace saudita nell'incubo di un intervento israeliano Il premier è ottimista, ma la gente fugge dalla valle della Bekaa Il Libano si aggrappa alla pace saudita nell'incubo di un intervento israeliano DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE BEIRUT — Circola intorno ad ogni cosa un'aria strana. Al prudente ottimismo del primo ministro libanese. Wazzan, fa riscontro l'ostentata pazienza di Begin. Il primo dichiara che. alla fine, il piano saudita, sia pure con qualche aggiustamento, finirà con l'imporsi. Perché, stima il primo ministro. l'America non ha nessun interesse che scoppi una guerra «che costringerebbe anche i Paesi arabi più vicini a Washington ad impiegare l'arma del petrolio». Il piano saudita ha il solo difetto di una applicazione lenta, per tappe. Esso prevede l'ingresso della Fad a Zahle (iernotte e nuovamente oggi bombardata e con asprezza), il ritiro dei falangisti dalla città, il controllo da parte della Fad della strada Beirut-Damasco, l'armata libanese sulle cime del monte Sannin al posto dei reparti siriani. Infine, una volta raggiunta «l'intesa nazionale» in Libano, quel governo chiederà ai siriani di ritirare i missili dalla Bekaa. Ora ci si chiede se un simile piano può essere digerito da Tel Aviv. E' vero che Begin ostenta pazienza e gesti pseudo distensivi, come l'offerta a Sarkis di trattare una pace separata (non è la prima volta e non sarà l'ultima che Begin avanza una simile proposta e. cosi, anche oggi, i libanesi l'hanno definita una provocazione), ma qui tutti ricordano come alla vigilia della guerra dei sei giorni Dayan abilmente ostentasse calma. Su cosa si basa il prudente ottimismo del primo ministro Wazzan? «Non tanto su quello che potrà essere l'esito dello missione Habib. quanto sulla volontà nostra di trovare ogni strada, con l'aiuto degli altri Paesi arabi, per scongiurare l'irreparabile, per giungere ad un dignitoso compromesso». Ottimista al 70 per cento un altro personaggio che conta: Abu Ayad. numero due di Al Fatah. Secondo lui. gli Usa hanno interesse a scongiurare una guerra tra Siria e Israele «per non rafforzare troppo la posizione di Damasco nel mondo arabo, per sal¬ vare quel che rimane di Camp David». Inoltre la guerra «aumenterebbe le possibilità, di una vittoria elettorale di Begin, mentre l'America gli preferisce il più duttile Peres». Se Israele sarà costretto a subire il compromesso Saudita — conclude Abu Ayad — accettando il fatto compiuto nella Bekaa. potrebbe rifarsi lanciando potenti attacchi in settori limitati del Sud Libano, a Saida e nella stessa Beirut: «Secondo me un'invasione del Sud Libano è da escludere, però gli israeliani potrebbero organizzare una serie di attentati contro i leaders palestinesi, come fecero nel 1973 a Beirut». Ma lo scenario che sin qui abbiamo visto per l'uomo della strada pecca proprio di ottimismo. Se la missione Habib fallisse, dopo una settimana o due dalla sua partenza, i libanesi si attendono tre «ipotesi drammatiche». Prima: una operazione israeliana limitata a distruggere i missili Sam nella Bekaa. Seconda: una doppia operazione aerea per colpire i missili, i campi palestinesi di Sabra-Chatila. a Beirut, il castello di Beaufort, nel Sud. in vista della sua occupazione. Terza e ultima: un attacco in grande stile, aria-terra, nella Bekaa, nel Sud e contro i missili in territorio siriano, proprio al confine col Libano. In ogni caso, a pagare il prezzo più alto, come sempre, sarebbe il Libano. Nella Bekaa la popolazione fugge dalle località prossime ai possibili obiettivi. Nel Sud, dove non c'è possibilità di rifugiarsi altrove, la gente attende che il destino si compia: impotente, angosciata e forse rassegnata. E tutti, proprio tutti, sono convinti che «la guerra prossima ventura» potrà essere se non evitata allontanata nel tempo solo a due condizioni: che gli Stati Uniti riescano a frenare Begin; che l'Arabia Saudita riesca a smorzare l'intransigenza di Assad. Anche ieri sera Phantom israeliani hanno sorvolato a bassa quota Beirut. Igor Man