I dagherrotipi del Faraone di Angelo Dragone

I dagherrotipi del Faraone A TORINO UNA MOSTRA FOTOGRAFICA SULL'ANTICO EGITTO I dagherrotipi del Faraone Un centinaio di immagini, ciascuna documento di un'epoca ormai scomparsa TORINO — Quando, nel 1798, Napoleone deviò improvvisamente con la sua spedizione sull'Egitto, richiamando l'attenzione del mondo intero sulla plurimillenaria terra dei Faraoni, della quale sembrava essersi quasi perso il ricordo, il paese che si ripresentava alla mente e nei sogni degli europei stava per scomparire. Di li a poco, infatti, sulla scia di quell'avventura militare, iniziava un Irreversibile processo di ammodernamento di cui il taglio dell'istmo di Suez, portato a compimento da F.M. de Lesseps tra il 1859 e il '69, non era stato che la manifestazione più vistosa: pochi decenni, ancora, e quelle contrade, strappate alla loro remota immobilità, si sarebbero rivelate irriconoscibili. Flaubert Si può quindi comprendere l'enorme interesse suscitato nei mesi scorsi in Francia da una mostra itinerante su •Flaubert e i primi fotografi dell'Egitto» ai quali, in quell'epoca cruciale, s'era dovuta la riscoperta di un paese, pronto a toccar la fantasia con i suoi monumenti più singolari, dalle sfingi alle piramidi. Flaubert vi era stato nel 1850 con l'amico fotografo Maxime Du Camp (entrambi rappresentati nella mostra). Come pochi altri pionieri della camera oscura, essi erano riusciti a fissare le ultime immagini di una realtà altrimenti destinata a scomparire, a causa da un lato, come si diceva, del rapido aggiornamento tecnologico, dall'altro per l'appassionato, ma rapinoso, interesse presto diffusosi per le antichità egizie che avrebbe portato alla formazione delle più importanti raccolte archeologiche europee. Tra queste anche quella del Drovetti che doveva costituire il primo nucleo del Museo egizio di Torino, noto nello stesso campo scientifico come la «massima delle collezioni di antichità faraoniche in Italia e fuori d'Egitto». L'iniziativa dell'assessorato comunale per la Cultura e della Soprintendenza alle antichità egittologiche che, in collaborazione col Centro culturale franco-italiano, e con l'appoggio degli Amici del Museo e della Società Kodak, sono riusciti addirittura a mettere Insieme una intera edizione italiana della straordinaria esposizione flaubertiano-fotografica, riveste quindi un suo particolare rilievo per Torino dove la mostra, allestita nel Foyer del Piccolo Regio rimarrà aperta sino a tutto maggio, per muovere poi verso altre tappe. Delle 84 fotografie esposte circa i due terzi sono state fornite dalla Kodak, ma il rimanente viene dai cospicui fondi di stampe d'epoca (soprattutto del Beato e del Bonfils) raccolte dallo Schiaparelli e passate al Museo Egizio torinese di cui, per la prima volta, è stata presentata cosi una parte, sia pur piccola. Il filtro organizzativo della Soprintendenza è valso anche a caratterizzare la rassegna italiana, dandole una più marcata impronta archeologica. Non che vi si mettano i fotografi in secondo piano, ma sulla loro attività, illustrata anche nel catalogo (che riproduce ogni pezzo esposto) sia dalle schede e dai testi curati dall'egittologo Alessandro Roccati, sia dalla nota storica di Angelo Schwarz, si è posto un chiaro accento documentario che rende ogni loro opera doppiamente preziosa. In queste vedute si puntava in verità sull'elemento esotico, interpretato nelle sue più vive suggestioni romantiche. La mostra mette invece molto bene in evidenza come esse ritraessero ancora i paesaggi dell'antichità, quasi magicamente conservatisi sino allora. L'istantanea Le immagini si riferiscono alle principali mete fin da allora offerte ai viaggiatori: Menti, con le piramidi di cui è costellata la riva sinistra del Nilo, tra Saqqara e Oiza; Tebe, mitica pitta dalle cento porte, con i santuari di pietra che nel secolo scorso erano ancora da scavare e restaurare; l'isola di File e i templi tolemaici che quasi prodigiosamente sono stati di recente trasferiti in posizioni più elevate per sottrarli alle acque che, con la creazione d'una nuova diga, avrebbero cancellato l'Intera Nubia; Abu Simbel e 11 leggendario suo tempio di Ramesse II scavato nel profondo della roccia anch'esso salvato allo stesso modo dalla minacciata sommersione. Proprio di qui, il 27 marzo 1850. Du Camp e Flaubert avevano iniziato la loro campagna fotografica. Ma lungo questi itinerari, attraverso la mostra è possibile ripercorrere in buona parte anche la strada fatta dalla fotografia: dai primi dagherrotipi usati da Horace Vernet e dai «calotypi» di FoxTalbot ai processi al collodio, prima «umido» poi «secco», cui, dopo il 1870 segui l'impiego delle gelatine al bromuro. Tramontava cosi l'epoca dei pittori, e delle ricognizioni con matite e pennelli, mentre i maestri dell'obiettivo avevano ancora bisogno di un'intera imbarcazione per muoversi con le loro delicate e costose ma ingombranti attrezzature che, come accadde a Gerard de Nerval, potevano anche accrescere le spese di viaggio per eccedenza di bagaglio nel passaggio per Malta. L'istantanea era ancora un miraggio, ma ci si sarebbe arrivati, soprattutto con l'avvento d'una più spinta meccanizzazione che non avrebbe però mai esautorato l'operatore e il suo occhio. Angelo Dragone