Il tecnocrate dimezzato di Bernardo Valli

Il tecnocrate dimezzato LE «TESTE D'UOVO» SCELTE DA MITTERRAND Il tecnocrate dimezzato PARIGI — Il giscardismo è finito k.o., al tappeto, anche per eccesso di tecnocrazia. Quella che doveva essere una medicina per combattere, arginare un'antica malattia, ereditata dalla IH e dalla IV Repubblica, l'eccesso di politica (la politique poli tic tenne), si è rivelata una pozione tossica, se non proprio letale. Capita quando si sbaglia il dosaggio di un vaccino. Si uccide il paziente invece di immunizzarlo. Giscard è rimasto vittima della moda tecnocratica: fissava obiettivi, sul tipo «orizzonte 2000», e poi avanzava per schemi, senza tener conto degli umori del Paese. Era un presidente superdotato, che conosceva (e conosce) i tassi d'inflazione di mezzo mondo a memoria na che ignorava (e ignora . ora) il prezzo del biglietto d nettò, che non ha mai preso in vita sua e che milioni di francesi prendono ogni giorno. Si è accorto del rigetto nei confronti della sua persona, del suo stile presidenziale, quando era ormai troppo tardi. Aveva perduto i contatti con la Francia reale, che forse non ha mai avuto. Giscard ricorda adesso un personaggio di Italo Calvino: il cavaliere inesistente, combattente indomito, che sotto l'armatura non aveva nulla. C'era il vuoto. Spogliato dell'efficace linguaggio tecnocratico, di cui si rivestiva, Giscard si è volatilizzato. E' svaporato. Non è rimasta traccia di lui. Vedremo se questa impietosa impressione reggerà nel futuro. Il mitterrandismo commetterà molti errori, non quello giscardiano. I tassi d'inflazione e quelli di sconto non sono una specialità del nuovo presidente socialista. In compenso ha un grande fiuto politico. Mitterrand ama gli aggettivi, come Giscard amava le cifre. Sa usare le virgole, come il suo predecessore usava le statistiche. E' un uomo che viene da lontano, dai meandri della IV Repubblica, che era ricca di avvocati e povera di tecnocrati, che ha lasciato un ricordo sgradevole ai francesi, per la sua instabilità cronica e la sua inconcludenza. Ma nei ventitré anni di V Repubblica passati all'opposizione, combattendo De Gaulle e i gollisti e condannando le nuove istituzioni («un colpo di Stato permanente»), Mitterrand ha subito quel che nel linguaggio psicoanalitico viene chiamato transfert: su di lui, medico curante dei difetti della V Repubblica, si sono trasferite molte caratteristiche, molti comportamenti del paziente che si proponeva e si propone di guarire. Insomma, dopo De Gaulle, Mitterrand è il più «golliano» dei presidenti francesi. Lo è nei due sensi, positivo e negativo. Il nuovo presidente non è quel che si chiama uno «spirito liberale». E' autoritario e astuto. Senza un po' di dispotismo e molta scaltrezza non avrebbe rifondato il partito socialista a 55 anni, dopo essersi convertito al socialismo da poco più di un lustro, quando sfiorava il mezzo secolo di età. Non avrebbe superato le numerose sconfitte subite senza la tenacia di chi è convinto di avere un posto nella storia di Francia, un po' come De Gaulle, ma a sinistra, senza essere accompagnato da un'ambizione invulnerabile anche per quel che riguarda il socialismo internazionale. Adesso, diventando infine capo dello Stato, e il primo uomo di sinistra a governare la Francia dopo 23 anni d'incontrastato dominio della destra, in Mitterrand probabilmente prevale la generosità strategica. Ma non ha certo rinunciato a quella abilità tattica che gli ha valso l'appellativo di «fiorentino», per i francesi ingiustamente sinonimo di machiavellico. A differenza di quel che accade in Italia, in Francia ci sono ancora uomini politici che hanno il senso della storia e della nazione. Mitterrand non si rivolgerà mai al suo Paese chiamandolo «madame la France», come è accaduto a Giscard cercando di imitare goffamente De Gaulle. Ma «sente» la Francia, anche se non quella di Giovanna d'Arco. Gli uomini del nuovo presidente aiutano a capire cosa sarà il regime mitterrandjiano. Il vecchio e il nuovo si confondono nél'establishment di sinistra che in questi giorni sostituisce quello di destra. La componente vecchia, anzi arcaica, è rappresentata da personaggi come Gaston Defferre, il sindaco di Marsiglia, ed ora anche ministro dell'Interno, fedele al partito socialista da mezzo secolo, nel bene e nel male, alla tradizione della Resistenza come ai suoi aspetti clientelari, che marcarono la IV Repubblica. Ma al vecchio filone della sinistra francese appartiene pure Claude Cheysson, nuovo ministro degli Esteri, un diplomatico coraggioso che iniziò la sua carriera politica con Pierre Mendès France. La componente «mendesista» è una delle più interessanti del mitterrandismo che si installa al potere. Mendès France fu presidente del Consiglio tra il '54 e il '55 per poco più di sette mesi: ma quel breve periodo di governo è rimasto come un modello della recente storia politica francese per il rigore e l'efficienza con cui il Paese fu guidato in un periodo agitato, tra la sconfitta di Diem Bien Phu e la rivolta nelle colonie nordafricane, tra crisi economica ed instabilità parlamentare. De Gaulle avrebbe voluto volentieri Mendès France al suo fianco; Giscard e Barre hanno sempre rimpianto di non averlo dalla loro parte. Mitterrand, che non gli è sempre stato amico, gli ha dedicato il solo abbraccio pubblico, il giorno dell'insediamento all'Eliseo. Il «segreto Mendès» è di aver conciliato rigore tecnocratico e onestà politica. Una formula ammirata ma che ha retto soltanto per pochi mesi. Tutti la vorrebbero adottare e l'additano come un esempio, ma la dimenticano presto. Sul piano tecnocratico i socialisti possono allineare un numero di lauree e di diplomi da far invidia ai giscardiani. E questo è l'aspetto nuovo della sinistra francese, che Mitterrand ha portato al potere. Michel Rocard è stato a lungo l'antagonista del leader socialista all'interno del partito, e gli uomini della sua corrente non hanno mai accettato di essere definiti mitterrandiani. Sono e restano rocardiani, che significa animatori di un «socialismo moderno», molto lontani da ogni affiliazione marxista ai loro occhi arcaica, e riluttanti ad ogni compromissione codificata con i comunisti. Ma oggi che Mitterrand è fuori dalla mischia, collocato nell'olimpo presidenziale, Rocard e i suoi possono essere elencati tra gli uomini del presidente, costituiscono il nucleo tecnocratico. Come Giscard, Michel Rocard è un prodotto dell'Ena (la scuola nazionale dell'amministrazione), nata nel '45, per un riflesso tipico della società politica francese ad ogni sconvolgimento nazionale o sconfitta. Dopo la Comune di Parigi e la disfatta inflitta dai prussiani, nel 1871 nacque la scuola libera di scienze politiche, sotto la spinta di Renan, il quale per «riformare intellettualmente e moralmente» il Paese, chiese che la direzione dello Stato venisse assunta dall'aristocrazia di nascita e del pensiero. Nel '45, con lo stesso spirito De Gaulle cercò di rigenerare il gruppo dirigente creando l'Ena, una «grande scuola» postuniversitaria in cui formare gli alti funzionari, che in Francia si trasformano spesso in quadri politici. Ma come nel secolo scorso la III Repubblica aveva poi rifiutato per la scuoia di scienze politiche l'ispira-, zione aristocratica della riforma di Renan, così negli Anni 50 e 60 nelle aule dell'Ena si sono addestrati all'arte di amministrare la cosa pubblica giovani con idee diverse da quelle auspicate da De Gaulle. Il socialista riformatore Rocard, ad esempio, che parteciperà poi al maggio '68, ed anche il socialista marxista Jean-Pierre Chevènement. Ora li ritroviamo insieme ministri di Mitterrand. Gli «enarchi» seguono corsi in cui la retorica francese (discettazioni sulla possibilità di conciliare libertà ed eguaglianza, espansione e stabilità, autorità e libertà) si alterna a concreti programmi desunti in parte dalle business scbooU americane e integrati da dodici mesi di apprendistato in una prefettura di provincia. L'enarca socialista Rocard è capace di sedurre un'assemblea di operatori economici, rinchiusi in un albergo di lusso per un seminario di studi, parlando di crescita e produttività, e in egual misura affascinare un'assemblea di giovani della periferia parlando dell'autogestione. Chevènement, il più giacobino dei dirigenti socialisti, parla di marxismo con un linguaggio da enarca, che è come un codice tra ex allievi. Sono uomini che hanno fequentato i dicasteri economici e finanziari, che conoscono i labirinti dell'amministrazione, che scoprono poche facce nuove nell'anticamera dei loro uffici ministeriali. Come consigliere Mitterrand ha scelto l'enarca più singolare, il più umanista: Jac¬ ques Attali. Faccia e occhiali rotondi, sempre sorridente, frizzante, quel giovane (non ancora quarantenne) collezionista di lauree e cattedre universitarie, e al tempo stesso salottiero, buono sciatore ed esperto di danze moderne, saltate. Oltre ai libri di economia ha scritto Bruits (Rumori), in cui tratta di musica con la scioltezza di uno specialista e la razionalità di un cervello elettronico. Per ora Attali resta tra le quinte, sembra che non ami il potere ufficiale, l'attività politica classica. Uno dei suoi compiti è quello di parlare di economia con Mitterrand, si dice di «impartire lezioni» al segretario del partito socialista ora diventato presidente della Repubblica, che non sopporterebbe un professore noioso, lui che alle cifre preferisce la prosa. L'eclettismo poetico di Attali addolcisce gli spigoli di una materia indigesta. Tra gli uomini del presidente non si può trascurare infine Régis Debray, professore anche lui, ma celebre soprattutto per i libri sulla guerriglia e per l'esperienza latino-americana, sulla scia di Fidel Castro e di Che Guevara. Ma sono passati anni dai tempi della prigione in Bolivia, e Debray è rinsavito. Gli sono rimasti slanci generosi che certamente piacciono a Mitterrand. Il nuovo presidente ha dunque i suoi tecnocrati, ne ha in abbondanza, ma ha messo al loro fianco politici dal pelo bianco e uomini che potremmo definire romantici. Non commetterà dunque gli eccessi di Giscard. Ed è troppo presto per dire in quali inciamperà. Bernardo Valli

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