La storia del terrorismo padovano nella requisitoria sull'Autonomia di Giuliano Marchesini

La storia del terrorismo padovano nella requisitoria sull'Autonomia Il capo della Procura parla dell'inchiesta di Calogero La storia del terrorismo padovano nella requisitoria sull'Autonomia Vi sarebbero da trenta a quaranta richieste di rinvio a giudizio per banda armata «Certe ideologie hanno prodotto una strategia e perfino un apparato militare» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PADOVA — Il pubblico ministero Pietro Calogero avrebbe chiesto il rinvio a giudizio di un centinaio di autonomi. E' la prima indiscrezione sulla requisitoria che il sostituto procuratore della Repubblica ha depositato l'altro ieri presso l'ufficio istruzione del tribunale. C'era molta attesa, naturalmente, per questo atto con cui Calogero ha concluso la sua inchiesta. Aspettavano in tanti ieri mattina, negli ambienti giudiziari, per raccogliere qualche frammento di notizia su quanto il pubblico ministero padovano ha scritto in questa requisitoria, che pare si componga di oltre 1400 pagine. Ma il riserbo sui contenuti del documento è stato rigoroso, e Pietro Calogero non è comparso a palazzo di giustizia. L'unica informazione, sul numero approssimativo degli accusati, è venuta per vie traverse. Il capo della Procura della Repubblica. Aldo Fais. dice che non ha ancora preso visione del voluminoso documento. «Aspetto Calogero, ne parlerò con lui nei dettagli». Fais rievoca brevemente i passaggi di questa intricata inchiesta sull'Autonomia padovana, che prese le mosse il 7 aprile del '79. E dichiara che quello di Pietro Calogero è stato «l'impegno di un magistrato democratico, sensibile alle esigenze di una popolazione tormentata da anni dal terrorismo». «Questa requisitoria — aggiunge il procuratore della Repubblica — ha anche per me un valore storico: riassume le vicende dell'eversione padovana attraverso gli elementi che il pubblico ministero è andato raccogliendo». Fais ripete che in questo momento «non si può soffermarsi su qualche particolare del procedimento». Delle linee generali dell'indagine condotta da Pietro Calogero, comunque, si parla un poco. Chiediamo al capo della Procura di Padova se l'accusa ritenga validi tutti gli elementi raccolti in un'inchiesta che s'è protratta per oltre due anni. «E' difficile — dice Aldo Fais — dare una risposta. Ci sono elementi che in sé non possono avere un serio significato, ma che acquistano un senso se fanno parte di un quadro». Il procuratore accenna a quelle «prove documentali» che Calogero sostiene di avere radunato? «Certo, mi riferisco proprio a quelle. Sappiamo tutti che, a questo proposito, vi sono state polemiche: qualcuno ha parlato di caccia alle streghe. E' chiaro che a nessuno viene impedito di esprimere liberamente le proprie idee, ma quando si sente che un certo programma trova in un'organizzazione qualcuna delle finalità prospettate, allora queste idee cominciano a essere considerate prove. Sono ideologie che, secondo noi, hanno prodotto una strategia, perfino un apparato militare». Con queste dichiarazioni. Aldo Fais tocca uno dei punti più «roventi» dell'indagine sull'Autonomia padovana: come si sa, il movimento delKultrasinistra ha reagito duramente a questa teoria del pubblico ministero, affermando che s'è trattato di un processo con cui si andava «criminalizzando» l'Autonomia operaia. Nei momenti di maggiore tensione. Calogero precisò che questa inchiesta non si Basava soltanto su una raccolta di documenti, ma anche su testimonianze. Ora domandiamo ad Aldo Fais se, in chiusura, il materiale documentale abbia la prevalenza su quello testimoniale. «In questa ricostruzione — risponde il capo delia Procura — si mette tutto insieme. Non si può fare una graduazione dei valori». Nella requisitoria, come abbiamo riferito, Pietro Calogero deve avere ribadito la sua tesi sull'Autonomia operaia, attribuendo al movimento dell'ultrasinistra padovano l'organizzazione di «strutture clandestine» con intenti sovversivi. Pare che siano tra le 30 e le 40 le richieste di rinvio a giudizio per banda armata. Probabilmente, il pubblico ministero ha modificato il suo giudizio soltanto nei confronti di una trentina di imputati, per i quali si ritiene abbia proposto il proscioglimento. Lungo la storia tormentata dell'inchiesta sull'Autonomia, sono passati anche la tragedia di Lorenzo Bortoli, che si tolse la vita nel carcere di Verona, e il dramma di Myriam Corte Mignone, che si uccise gettandosi da un balcone di un albergo a Pieve di Cadore poco tempo dopo aver accusato alcuni ex-compagni durante un processo per «fatti specifici». Il clima, su questa aggrovigliata istruttoria, è rimasto pesante. Mentre la magistratura romana si sta occupando del caso che riguarda Toni Negri e altri esponenti del movimento, un centinaio di autonomi coinvolti in questa parte «padovana» dell'Indagine attende le decisioni del giudice istruttore Giovanni Palombarini: dieci degli imputati sono in carcere. Forse il processo si aprirà all'inizio del prossimo anno. «Se non ci saranno altre impugnazioni». dice il giudice istruttore. Giuliano Marchesini

Luoghi citati: Padova, Pieve Di Cadore, Verona