Premio Pulitzer, brutta avventura di Furio Colombo

Premio Pulitzer, brutta avventura ANCORA POLEMICHE IN AMERICA PER IL «DOPPIO SCANDALO» Premio Pulitzer, brutta avventura Non è bastato che il riconoscimento andasse, per il giornalismo, a un «reportage» toccante ma del tutto inventato - Per la letteratura hanno premiato un morto: un insegnante che si era ucciso perché nessuno voleva il suo romanzo - Pochi comprano il libro fatto stampare dalla madre - Editori e critici non cambiano idea - «E' stato un premio della bontà» NEW YORK — «Il dodici aprile del 1981 resterà uno strano giorno nelle lettere americane. E' il giorno in cui il Premio Pulitzer per il giornalismo è stato assegnato a un articolo inventato, e il Premio Pulitzer per la letteratura ha portato alla celebrità un autore defunto per un libro mai pubblicato»; così il critico Alfred Kasin commenta il doppio «scandaloprovocato dalla scelta della giuria dell'ultimo Pulitzer. «Mi domando se una situazione cosi incredibile non debba consigliare di abbandonare l'idea di premio in questo periodo storico, continua Kasin. Infatti premiare vuol dire concordare in molti su qualcosa che ha valore per molti. E' ancora possibile?». Sema dubbio il «caso Pulitzer» scoppiato in America con la selezione del 12 aprile continua ad avere risonanze che vanno molto al di là del mondo giornalistico o di quello letterario circondando di incertezze e di dubbi il più prestigioso riconoscimento che chi scrive può ottenere in America. La storia infelice del premio giornalistico è nota. E' stato premiato un articolo («Il mondo di Jimmy-I sulla storia inesistente di un personaggio inesistente, nella sicurezza di laureare un nuovo grande talento nel mondo dell'informazione. Dice Diane Johnson, professore di letteratura all'Università di California: «Premiare come capolavoro di documento e di verità una storia inventata è forse il segno di una crisi delle informazioni piuttosto che di una dei valori letterari. L'articolo di Janet Cooke. pubblicato sul Washington Post, che ha commosso migliaia di lettori (era la storia di un bambino drogato) e che ha mobilitato persino la polizia alla ricerca del piccolo e inesistente personaggio, è stata creduta perché era ben scritta. Questo fatto lascerà d'ora in poi due cicatrici nel mestiere del giornalismo. Il timore che tutto ciò che è bello sia anche falso. E forse il desiderio di scrivere male in coloro che vorranno apparire autentici». La qualità letteraria che è stata concordemente riconosciuta al falso di Janet Cooke pone infatti un problema curioso. Alcuni, come il poeta Lincoln Kirstein, credono di esprimerlo cosi: «Nel mondo dell'informazione insieme ottusa e precisa della televisione — dove tutto si autentica da solo, attraverso la voce e l'immagine — resta un grande desiderio di tutto il resto, di ciò che non si può dire in poche parole, mostrare in poche immagini ed esaurire in due o tre battute. Resta l'ambiguità della vita, resta l'incertezza che si portano addosso anche i fatti più certi, resta l'insicurezza sul valore di questi fatti». E aggiunge: «Non c'è niente di più disorientante delle notizie assolutamente sicure, il cui vero senso il più delle vol¬ te ci sfugge. Quello di Janet Cooke — presentare come vera una storia inventata — è certamente un grave errore personale e professionale. Ma da critico vorrei pensare che c'è una morale in questa vicenda, una morale che va al di là delle brutte avventure del Pulitzer. Forse l'immaginazione, la fiction — dopo tanta diffidenza per la letteratura, dopo tanta esaltazione degli strumenti di comunicazione — è a volte la sola strada per dire qualcosa che conta e che resta. Forse la morale è un ritorno a quello strano tipo dì verità che è contenuto nell'invenzione e che accompagna e protegge l'umanità dai tempi di Omero». Se Kirstein ha ragione, diventa anche più sconcertante e più grai'e l'altra avventura del Pulitzer: l'assegnazione del premio al romanzo di un morto. Il romanzo. A confede racy of dunces (si può forse tradurre: Una combriccola di sciocchi) è stato assegnato a John Kennedy Toole, già insegnante di letteratura alla Columbia University, che undici anni fa — a trentadue anni — si è ucciso perché tutte le case editrici avevano rifiutato il suo libro in America. Si deve all'ostinazione della madre, a un piccolo lascito, alla decisione postuma di una modesta editrice universitaria (la Louisiana University Press) se il libro esiste. Tra coloro che hanno rifiutato il libro di Kennedy Toole vi sono i nomi celebri dell'editoria americana. Robert Gottlieb, che allora era alla «Simon and Schuster- e adesso dirige la «Knopf-, Jason Epstein, lo «zar- della «Randon House-, Robert Giroux e Roger Strauss, che controllano i destini aziendali ed editoriali di «Farrar and Strauss-, Michael Korda, il figlio del celebre produttore, l'autore di best sellers. il personaggio mondano che dirige adesso «Simon and Schuster-. Tutti concordano nel dire seccamente, senza mostrare ombra di incertezza o rimorso: «Il libro di Kennedy Toole non valeva niente». Più cavallerescamente Robert Silvers. /'editor della prestigiosa New York Review of Books riconosce al giovane suicida «il talento' di avere humour, uno humour nella classica vena del Sud». Silt>ers tuttavia ricorda appena il manoscritto e non gli sembra di avere ragioni per contraddire l'opinione de//'establishment editoriale americano. Eppure si tratta dello stesso establishment che ha ricoperto di milioni di dollari Judith Krantz per quel suo Princess Daisy che resterà più a lungo nei libri contabili e nel Guinness book of records (per il maggiore incasso di un libro dopo la Bibbia) che nella storia della letteratura. Sono le stesse persone che stanno anticipando due milioni di dollari a Mario Puzo per un libro sul bandito Giuliano, due milioni versati alla presentazione dell'idea f.<non una pagina è stata scritta», precisano i suoi agenti) dopo avergliene pagati più di quattro per Fools die e la ristampa delle opere precedenti. Puzo non è un cattivo scrittore, naturalmente, e ha un successo immenso. Ma siamo nella letteratura o nell'artigianato, nel pre-impacco di lusso o nella buona produzione narrativa? «La nostra editoria è come Città del Messico. Più si gonfia più rischia di esplodere», osserva con distacco mondano e un po' di paura Gore Vida/, uno dei pochi che abbiano raggiunto la vetta dei grandi guadagni attraverso un percorso di rigorosa legittimità letteraria. Dunque sono questi gli editori che si confrontano con l'autore mai nato (e anzi morto per delusione e per rabbia) John Kennedy Toole. autore di un libro che nella giungla editoriale d'America non ha mai insto la luce. Si deve pensare male del giudizio dei critici delle case editrici, del testo di Kennedy Toole, o del comportamento della giuria del Premio Pulitzer? Si tratta di un rigoroso riconoscimento postumo o — come ha osservato con sarcasmo qualcuno alla Crown Publishers (specialisti in best sellers e paperbacksj — di «un premio della bontà»? John Hollander, letterato di Yale, è poco persuaso dei giudizi catastrofici sulle case editrici: «E' vero, c'è la corsa al kolossal, imposto dalle condizioni sempre più difficili del mercato. Ma continuano ad essere pubblicati testi seri che vendono poco e danno ai loro editori quasi solo buon nome e prestigio. Può anche darsi che nel futuro ci sia un rischio di gigantismo. A danno degli autori giovani e degli scrittori più rigorosi. Finora però chi ha avuto la forza e il talento per nascere, è nato. Non mi sentirei di dire che viviamo in una terra di libri non pubblicati e di autori mancati». // giudizio allora si sposta fatalmente sul libro di John Kennedy Toole. Osservano con tristezza alla Louisiana Unwersity Press: «C'è qualcosa di sfortunato in questo libro. Neppure il Pulitzer fa tirare le vendite». A confederacy of dunces anche adesso non si vede nelle vetrine delle librerie americane e la maggior parte dei commessi stentano a riconoscere il titolo o a identificarlo subito quando viene richiesto. «E' un buon libro nella tradizione culturale del Sud. Che vuol dire colto, delicato, carico di simboli e di immagini», dice Irving Lazar. forse uno dei più celebri agenti letterari d'America. «Ma non ha lo spendore di Altre voci, altre stanze del giovane Capote, la sorpresa totale dei Blues del giovane Tennessee Williams, la grandiosità morbosa di Faulkner, la magia grottesca di Carson Me Cullers». Nella storia del Pulitzer una volta sola il premio è stato dato post mortem a A death in the family, autore s > James Agee. Ma Agee era già noto, era già un personaggio della vita letteraria americana anche se la celebrità presso il grande pubblico gli è arrivata tardi, quando non era più in vita, un fatto del resto tutt'altro che insolito nel destino di artisti e scrittori. Il caso di Kennedy Toole però è il più radicale e l'unico del genere. La giuria del Pulitzer premia il lavoro mai nato di un autore che ha voluto morire cori il suo libro. La forza e il prestigio del premio non sono riusciti a restituirgli la vita. Gli editori non si pentono. I critici non si svegliano. Il pubblico, distratto anche dall'altro caso Pulitzer (il premio all'articolo falso), sembra non aviere notato l'evento. «Confermo il mio giudizio e il mio dubbio, conclude Alfred Kazin. Un premio rappresenta un consenso. Questo consenso deve avere una base, un mondo di riferimenti comuni, di idee condivise, di ideali partecipati da un gruppo abbastanza ampio. Un premio, a suo modo, ha un valore politico, come un programma elettorale o una dichiarazione ideologica. Se il consenso è frantumato, gli ideali divisi, l'orientamento incerto, la ricerca di cose' nuove imprecisa, le opinioni dominate dal prestigio della vendita più che da quello del critico, non vedo chi possa avere l'autorità di dare un premio a qualcuno e in nome di quali ragioni». Sono in molti a riconoscere a questa sfortunata stagione del Pulitzer almeno un pregio. Con le parole di Diane Johnson si può dire che «è stata accesa all'improvviso la luce nel salotto semibuio dove tutti ci eravamo abituati a stare seduti senza accorgerci che la giornata ormai era finita. Adesso, almeno, abbiamo il senso del tempo e possiamo prepararci all'avventura di ciò che ancora non conosciamo. Per la letteratura, come per tutto il resto, domani è certo una giornata diversa». Furio Colombo

Luoghi citati: America, Città Del Messico, Louisiana, New York