Un terrorista di Azione Rivoluzionaria riconosciuto in aula: «Fu lui a sparare» di Clemente Granata

Un terrorista di Azione Rivoluzionaria riconosciuto in aula: «Fu lui a sparare» I sanguinosi attentati del 1977 a Torino, Ciriè, Pisa e Milano Un terrorista di Azione Rivoluzionaria riconosciuto in aula: «Fu lui a sparare» È il sociologo Vito Messana, che ha già ricusato il presidente della Corte - Controversa l'identificazione dell'uomo che ferì a rivoltellate il direttore delle carceri pisane DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — La breve, intensa stagione del sangue e del tritolo della banda armata «Azione Rivoluzionaria» è stata rievocata ieri mattina in Corte d'Assise: ferimento del medico delle carceri di Pisa, Alberto Mammoli; ferimento del giornalista dell'«Unità» Nino Ferrerò; bomba alla «Stampa» in via Marenco. a Torino; bomba all'Ipca di Ciriè; bomba alle carceri di Firenze. E con la stagione dei delitti sono stati rievocati i rapporti ora sfumati ora certi tra i personaggi che compaiono alla sbarra e l'ideologo del gruppo eversivo sempre oscillante tra proclamazioni di fede marxista e proclamazioni di fede anarchica, quel professor Gianfranco Faina, genovese, morto in carcere per tumore l'inverno scorso. Già gli imputati o sono riusciti a defilarsi momentaneamente dalla scena processuale, come il sociologo Vito Messana, che ha ricusato il presidente Cusumano o hanno rifiutato di prendere parte attiva al dibattimento adottando la tattica del «processo di rottura», come il delinquente comune Angelo Monaco, che continua a collezionare accuse di oltraggio e querele per diffamazione o hanno respinto ogni accusa come Roberto Gemignani, Sandro Meloni e Silvana Fava, che deve rispondere di detenzione d'esplosivo. Ma Nino Ferrerò, deponendo ieri mattina, ha riconosciuto senza ombra di dubbio in Messana il suo feritore e il medico di Pisa, Mammoli, ha affermato che probabilmente fu Meloni a scaricargli addos so un caricatore di pistola (occorre però ricordare subito che un altro teste ha fornito un alibi all'imputato, alibi che sarà valutato dalla Corte). Ascoltiamo Nino Ferrerò e riviviamo con lui l'agguato di cui fu vittima a Torino nel settembre '77. «Avevo lavorato al mio giornale fino all'una di notte e rincasavo — ha detto il giornalista costituitosi parte civile con il patrocìnio dell'avvocato Graziano Masselli — mi ero occupato deil'attentato dinamitardo a "La Stampa"avvenuto la sera prima e firmato da "Azione Rivoluzionaria" e mai più avrei immaginato che anch 'io dopo, brevissimo tempo, avrei incontrato sulla mia strada esponenti di quel gruppo». «Quella sera, dunque — ha ricordato Ferrerò — sfarò parcheggiando la "500" vicino a casa quando vidi due indivi¬ dui venirmi incontro. Aprirono la porta dell'auto, domandarono se ero Ferrerò e mi spararono alle gambe con le pistole. Fuggirono. Poco dopo, con una telefonata all'Ansa, "Azione Rivoluzionaria" firmava l'attentato. Io rimasi sei mesi all'ospedale, per altri dodici mesi fui costretto a camminare con le stampelle, l'anno scorso subii un nuovo intervento chirurgico». Presidente: «Riconosce tra gli imputati i suoi feritori?». Ferrerò: «Riconobbi Messana, durante un confronto. Non ho dubbi; fu uno dei due aggressori. Sul secondo ho delle perplessità: potrebbe essere stato Salvatore Cinieri, che poi fu ucciso alle "Nuove" durante un regolamento di conti; potrebbe essere stato Meloni. Forse più Cinieri che Meloni, ma non posso fornire elementi sicuri». Il dottor Alberto Mammoli, ferito a Pisa davanti alla sua abitazione il 30 marzo 1977, ha riconosciuto Meloni «al 50 per cento», ma un caposezione dell'Alfa Romeo di Arese ha affermato che il giorno dell'aggressione l'imputato lavorò in fabbrica dalle 6.39 alle 15: impossibile dunque che quella stessa mattina tendesse l'agguato a Pisa. Meloni innocente, dunque? Forse dell'attentato, ma sui suoi legami col gruppo eversivo alcuni testi hanno fornito notizie che appaiono precise. Sono le amiche del «Jef» come si faceva chiamare Gianfranco Faina. Hanno testimoniato che questi era in rapporto sia con Meloni, sia con Monaco e che Meloni e Monaco si conoscevano, fatto che invece i due hanno sempre negato. E' una precisazione che pare avvalorare, in aggiunta ad altri elementi probatori, l'accusa di banda armata nei loro confronti. Il processo proseguirà venerdì 22 maggio. Clemente Granata