Zecchin, un ritorno a Bisanzio

Zecchin, un ritorno a Bisanzio VENEZIA NON E' SOLTANTO LA MOSTRA DI PICASSO Zecchin, un ritorno a Bisanzio A Ca' Pesaro - Nell'Ala Napoleonica un'ampia esposizione del friulano Pizzinato VENEZIA — Venezia «pubblica», attraverso la presenza e la parola del sindaco Rigo, ha ampiamente lodato e reso omaggio alla trionfale e onerosa iniziativa «privata» della mostra di Picassso in Palazzo Grassi. Si è però evidentemente preoccupata di accogliere il prevedibile incremento di afflusso amatoriale con proprie iniziative, riferite alla propria specifica contemporaneità; una contemporaneità più travagliata e complessa che quella di altri centri italiani, sempre tesa fra poli alternativi, la sontuosità cromatica e simbolica e artigianale di tradizione locale e il privilegio assoluto della finestra sul mondo rappresentata dalla Biennale. E quando nel primo '900 la finestra era un'impannata appena socchiusa, c'era sempre Ca" Pesaro; cosi come quarantanni dopo all'autarchia fascista si contrapponeva il «Cavallino» di Cardazzo, con i suoi legami con le correnti alternative di Milano e di Roma. Un discorso di tal genere si dipana, fra l'inizio e la metà del nostro secolo, nelle due mostre pubbliche dedicate a Vittorio Zecchin (Ca' Pesaro, fino al 21 giugno, a cura di Guido Perocco. da anni riscopritore e cultore del più raffinato fra i modernisti-simbolisti in Laguna) e ad Armando Pizzinato (Ala napoleonica, fino al 17 maggio, a cura di Giovanni Carandente, lo stesso ordinatore della mostra di Picasso). Il muranese Zecchin (1878-1947) naviga su una corrente simbolica, preziosissima e decadente, che collega, attraverso Venezia (una Venezia di «dogaresse»-pavoni. compagne di giochi di D'Annunzio e Fortuny) una mitica Bisanzio con le ben precise realtà contemporanee della Vienna di «Ver Sacrum». di Klimt, di Kolo Moser. e di 11 fino alle fanciulle-fiori olandesi dell'oriundo giavanese Toorop: una bussola un poco impazzita fra Oriente e Occidente. Profumi e incensi che fecero girare tanto o poco la testa del giovane Casorati. del fiorentino Galileo Chini, il quale ne seguì la traccia fino a Bangkok per diventare poi il primo scenografo della «Turandoti di Puccini. Zecchin. per suo conto, non aveva bisogno di viaggi, se non nel mito e nell'immaginario: Oriente. Mitteleuropa. Europa nordica gli approdavano in casa, nel tempo senza tempo di Venezia, nella geografia universale della Laguna. D'altra parte, la sua fantasia si concretava su un terreno assai solido di tradizione e di materia. Accanto all'«olio e oro su tela» delle principesse e dei guerrieri bizantino-assiri che rendevano omaggio a Salomone e alla Regina di Saba nell'albergo Terminus (il sogno e la favola per i turisti internazionali: pannelli oggi suddivisi fra Ca' Pesaro e collezioni private, e rivelati per la prima volta dalla mostra del Liberty a Milano nel 1972). risplendono per varietà i vetri di Murano, le vetrate in collaborazione con Teodoro Wolf Ferrari, fratello del compositore, gli arazzi in lana e seta, i pizzi. Zecchin fa in tempo, nel primo dopoguerra, ad attingere al «déco». collaborando con i nuovi maestri del vetro. Venini. Cappellin. Barovier. Seguso: espone alle Biennali di Monza. all'Expo parigina del '25. in qualche caso rivaleggia ancora con Herté. ma se le sue forme mitiche potevano coincidere prima del conflitto mondiale con il tempo storico (e sia pure quello supremamente artificiale dei carnevali veneziani egemonizzati dalla Marchesa Casati), tale legame si allenta dopo il conflitto fino a scomparire, cosi come si allenta la forma, e perde in preziosità e «agudeza», si affievolisce nella ripetitività. Quando Zecchin è ancora in piena attività, un giovane friulano del 1910 come Pizzinato, che sente fin dal principio e continuerà a sentire fino ad oggi la necessità, l'urgenza del tempo storico (di tempo in tempo in presa diretta o per sintesi metaforiche, sempre in forma drammatica), negli Ar.ni 30 deve andare a cercare il senso, la forma, il colore di tale tempo fuori di Venezia, a Milano, dove espone al Milione nel 1933, poi presso gli «espressionisti» romani, Mafai. Cagli, Guttuso. Tornato a Venezia nel 1939, con tali esperienze può affiancare la nuova generazione, di Vedova, Afro. Turcato, dei Basaldella, con le cupe violenze cromatiche, che rivisitano una Mitteleuropa tedesca diversa e contrapposta a quella decadentistica di Klimt e di Zecchin. e con le gabbie di segni e di tracciati che coniugano riproduzioni di Picasso e singolari ricordi del Futurismo originario. Dopo la diretta esperienza partigiana (un primo capolavoro. Partigiano torturato, è firmato e datato «43»), nell'ambito del «Nuovo Fronte delle Arti» è particolarmente stretto il sodalizio con Vedova, sancito dal primo e secondo premio a quel Premio Torino del 1947 che diede un salutale scossone alla cultura artistica torinese. E' un momento fondamentale per la definitiva «forma» di Pizzinato. caratterizzata da una forte, talora violenta espressività di aspre, elementari strutture di segni e piani cromatici, sempre alludenti, direttamente o simbolicamente, a! lavoro, alle lotte sociali, ad un esplicito impegno politico. Da allora ad oggi, anche Pizzinato rivisita la tradizione del contemporaneo, ma le sue scelte di fondo non vogliono né possono mutare: la sua «natura» è quella, sconvolta e rivoluzionaria, del «Cavaliere Azzurro» e del primo espressionismo: la sua araldica e i suoi emblemi, la freccia rossa, la falce e martello, rievocano l'internazionalità «sovversiva» del cubofuturismo. Marco Rosei Vittorio Zecchin - La regina di Saba in trono (particolare)