Il Papa che viene da lontano di Ezio MauroLivio Zanotti

Il Papa che viene da lontano Il Papa che viene da lontano Il 17 ottobre di due anni fa Karol Wojtyla fu eletto successore di Pietro - In breve s'impone con una guida ferma: i giovani lo acclamano ovunque - Ai popoli del Terzo Mondo: «O si fanno riforme sociali o vinceranno le forze della violenza» - Ai romani dice: «Scusatemi se viaggio, ma il Papa è il Papa di tutti» ROMA — Venne avanti sulla loggia dietro una croce, e si fermò davanti allo stendardo viola appeso sul balcone di Piazza San Pietro nella sera di un lunedi di metà ottobre. Il nome straniero, sconosciuto quasi a tutti, era stato pronunciato poco prima dal cardinale Pericle Pelici, per annunciare il 264° successore di Pietro. Dalla loggia, si trovò davanti una piazza disorientata, stupit-, colta impreparata dalla sorpresa del Conclave; e ora attenta, curiosa, per quella figura nuova e lontana, che si muoveva sul balcone. Sono passati due anni e mezzo dal 17 ottobre 1978 e si va adesso a ricercare nei primi gesti, nelle parole e nei pensieri di Karol Wojtyla, eletto Papa dall'ottavo Conclave di questo secolo, i segni di un pontificato, ma più ancora di uno stile di governo, di un'azione pastorale, di un'iniziativa da protagonista che dovevano trasformarlo, al di là del ruolo istituzionale, in personaggio di assoluto rilievo sulla scena mondiale, concentrando su di lui attenzioni e sentimenti, per giungere all'emozione distorta di chi ha cercato di trasformare un Papa in vittima. L'avvio del pontificato è un atto pubblico, consumato davanti alla folla, in una coreografia spettacolare come quella di Piazza San Pietro al momento della conclusione del Conclave. Un appuntamento tradizionale e rituale, mai però come questa volta indicativo dell'impronta che prenderà il Vaticano sotto la guida di Papa Wojtyla, con un continuo contatto con le folle di Paesi diversi, con i popoli di ogni continente. Per ora, l'uomo che ha indossato da pochi attimi gli abiti papali, sembra schiacciato, in qualche misura, dal peso della nuova e inattesa responsabilità che gli è stata affidata dal Conclave. Ma trova subito il modo di entrare in contatto con la folla, presentando se stesso. -Mi hanno chiamato da un Paese lontano*, sono le prime parole in italiano di un Papa straniero, eletto più di quattro secoli dopo la nomina dell'olandese Adriano Florensz, che nel 1522 prese il nome di Adriano VI. Una scelta, quella dei centodieci cardinali riuniti per nominare il successore di Albino Luciani, che appare subito di enorme rilievo storico, religioso e soprattutto politico. E' diventato Papa il vescovo di un Paese a regime comunista, anche se l'ateismo di Stato in Polonia si confronta da tre decenni con la fede secolare dell'ottanta per cento della popolazione. Le prime biografie sono scarne, essenziali, la ricostruzione e l'identificazione dell'uomo-Wojtyla avverranno man mano, mentre crescerà l'impatto del personaggio Giovanni Paolo II. Si sa, in quelle prime ore, che il padre era sottufficiale di carriera. Che lui stesso, Karol Wojtyla, fu operaio per un anno in una fabbrica di prodotti chimici a Cracovia, che divenne prete a 26 anni, e a 38. nel 1958, fu no- minato vescovo, ausiliare dell'arcivescovo di Cracovia. Paolo VI lo nominò quindi cardinale tre anni dopo, nel Concistoro del 26 giugno 1976. La sua definizione pastorale è ancora sommaria e incerta e. per conoscere le posizioni del nuovo Papa, si riscoprono le posizioni dell'arcivescovo di Cracovia, nei giorni del Concilio. Si sa che si oppose alle pressanti richieste di 450 padri conciliari conservatori per una condanna drastica del materialismo ateo. Si conoscono i suoi interventi a favore della collegialità episcopale, a sostegno dell'effettiva partecipazione dei vescovi in¬ sieme con il Papa al governo della Chiesa universale, esaltando la funzione di ogni singola Chiesa locale. E, inoltre, l'insistenza per un ritorno al rigore teologico e disciplinare. Pochi tratti approssimativi, che letti oggi, a distanza di due anni e mezzo segnati dall'iniziativa di questo pontefice, mantengono tuttavia un loro carattere distintivo. In più, è utile oggi recuperare quello che fu lo spirito di quell'elezione clamorosa da parte del conclave, la 'piattaforma* su cui si raccolsero 1 consensi per il cardinale polacco che sarebbe divenuto Giovanni Paolo II, e si formarono le ba¬ si del suo pontificato: là scelta di Karol Wojtyla, al di là degli equilibri interni del conclave, e delle sue contrapposizioni, voleva significare da parte dei centodieci cardinali una testimonianza di rinnovamento interno ed esterno alla Chiesa, per proseguire e sviluppare le aperture conciliari, e soprattutto per proseguire quel dialogo con il mondo contemporaneo nella cui direzione il Vaticano si era già messo in cammino. E cosi, con questo significato, l'elezione di Papa Wojtyla fu letta dal mondo. Dal trono di Pietro, Papa Giovanni Paolo II imprime a e e e i a a — subito un vigoroso dinamismo all'azione della Chiesa di Roma. La sua attività pastorale rompe apertamente con la problematicità di Paolo VI, con la sua introversione, frutto d'una cultura moderna, fatta di rigore e di riflessione. Ai dubbi che segnavano la vita di Papa Montini come una sofferenza quotidiana. Papa Wojtyla sostituisce un impeto che lo spinge alla comunicazione immediata, al proselitismo. Il rinnovamento del protocollo è solo il segno formale di una rivoluzione più profonda che Giovanni Paolo porta nella Chiesa di Pietro. Egli interviene anche nella gestione del piccolo Stato, mette mano alla sua amministrazione, chiede di essere informato di tutto, critica la burocrazia vaticana. Il suo stile disorienta un poco i vecchi prelati abituati a tempi più lenti e verifiche meno impegnative. C'è anche qualche moto di protesta tra di essi, appena velato dall'ossequio alla suprema magistratura della Chiesa. Ma Wojtyla non se ne cura più dello stretto necessario: adeguare gli strumenti amministrativi alla sua concezione pastorale rappresenta per lui un compito assoluto. Uno storico della Chiesa, Giuseppe Alberigo, osserva che «t rapporti di Wojtyla con la curia appaiono enigmatici*. Papa non diplomatico, né politico in senso formale, egli riesce tuttavia a presentarsi come la 'ragion di Stato* al servizio della Chiesa. Il suo viaggio in Polonia, con l'implicito quand'anche involontario carattere di sfida al regime comunista di Varsavia, ne costituisce un'inequivocabile conferma. Papa Wojtyla, in un mondo sconcertato, si impone forse al di là delle sue stesse intenzioni come una guida. Con questo nome lo acclamano i giovani degli Stati Uniti, da Washington a Woodstock. Ma altrettanto gli accade a Brazaville, ad Abidjan, tra i miseri della negritudine cattolica. Le crìtiche che egli rivolge al dio-denaro esaltano la spiritualità dei popoli del Terzo Mondo. «O si fanno riforme sociali o vinceranno le forze della violenza*, dichiara a Bahia San Salvador e il governo di Brasilia ne rimane allarmato. Anche in Asia suscita preoccupazione tra le autorità alle quali rivolge pressanti inviti a tenere conto dei bisogni di coloro i quali meno hanno e più bisognano. 'Scusatemi se viaggio troppo, ma il Papa è il Papa di tutti*, dice ai romani al ritorno da uno dei suoi frequenti viaggi. La sua instancabile attività sconcerta e a volte preoccupa i laici che vi vedono una vocazione all'interventismo. Suscita polemiche rumorose la sua presa di posizione contro la legittimità dell'aborto. Ma, fermo nella visione del proprio pontificato, Wojtyla non desiste. Riprendendo il pensiero di Paolo VI in una domenica del marzo scorso afferma che il demonio esiste, ha un suo regno e un suo programma. Ad esso si contrap-. pone Iddio. Ezio Mauro Livio Zanotti Citta del Vaticano. Una tipica espressione di Giovanni Paolo II, in piazza San Pietro durante l'udienza generale del mercoledì