Se l'uomo è in carcere

Se l'uomo è in carcere IL SUO ULTIMO ARTICOLO INVIATO A «LA STAMPA» Se l'uomo è in carcere Penso che invece di parlare a Tasi ricorrenti del ripristino della pena di morte — superata oggi nella coscienza dei più — sarebbe il caso di occuparsi un po' delle evasioni, delle latitanze che durano quanto la vita del condannato; ed in genere del problema delle carceri; giacché che la società abbia il dovere di difendersi, e che il carcere sia ancora un deterrente che trattiene dal commettere molti reati, mi pare rimanga Fermo nella opinione comune. Non so se vi siano dati sulle evasioni nei vari Paesi, ma temerei che l'Italia, senza distinzione tra regioni, abbia qui un primato. E credo che in astratto, cioè non tenendo conto delle reali possibilità economiche del Paese, molto potrebbe farsL * * Anzitutto sarei per una netta separazione tra sottoposti a giudizio e giudicati, e vorrei che soprattutto tra i primi vi fosse anche una divisione radicale, senza rapporti tra gli uni e gli altri, secondo il reato contestato. E solo il luogo ove sono tenuti i sottoposti a giudizio, alla dipendenza del ministero della Giustizia; gli altri a quello dell'Interno; che credo abbia funzionari con una più larga visione di tutta la struttura sociale, ed attraverso le questure ed i carabinieri più idonei a giudicare della pericolosità ed a fiutare l'evasione che si sta preparando. Poi vorrei che i quotidiani dessero maggior risalto alle evasioni, che a mio avviso screditano lo Stato assai più delle imprese terroristiche; di queste non sono responsabili che gli esecutori ed in piccola parte tutto il popolo, che. terrorizzato, non dà alcun aiuto alle forze dell'ordine ed ai giudici per il riconoscimento di quanti ha pur visto in volto operare; mentre le evasioni denotano un organo dello Stato che si rivela in un suo lato imperfetto; ed alcune impressionano non meno degli atti terroristici (a Roma l'evasione del giovane di ricca famiglia condannato a trent'anni di reclusione per l'omicidio di una ragazza nella sua villa al Circeo ha destato indignazione, tanto più che i nove decimi di quanti leggono i giornali sono convinti che l'evasione sia costata qualche centinaio di milioni, che l'evaso sia fuori d'Europa, e non sia privo di soccorsi adeguati da parte dei prossimi). Ed a proposito dei condannati che evadono sarebbe ancora da richiedere la separazione completa, in località diverse, tra i condannati per reati di sangue e quelli per delitti in cui il sangue non è stato versato, furti o truffe od in genere altri reati: ascrivendo però alla prima categoria gli autori di sequestri di persone a scopo di riscatto. In questo Paese ideale, che avesse mezzi economici quanti ne occorrono per una buona organizzazione carceraria, si dovrebbe proporsi che le carceri non avessero solo una funzione deterrente, ma anche una educativa, di riscatto del condannato; onde considero altamente benemerite tutte quelle istituzioni che aiutano chi ha scontato la pena a trovare una occupazione, e cercano di convincere l'opinione pubblica a fare credito di un po' di fiducia pure a chi non abbia la fedina penale immacolata: mescolandoli ad altri lavoratori, senza che questi debbano sapere di avere a compagno di lavoro chi ha scontato una pena. Ho sempre ammirato l'opera di una congregazione femminile francese, che operava anche nel Lazio, in un campo non remoto, quello della prostituzione. La donna che voleva sottrarsi a quel triste mestiere rivolgendosi alla Congregazione era subito inviata ad una sede molto lontana e rivestita dell'abito di novizia; solo la superiora sapeva chi fosse quella novizia (libera sempre di deporre l'abito e tornare a battere il marciapiede), non già le altre compagne di noviziato; e solo la superiora la teneva d'occhio, anche nei suoi discorsi e nel suo esprimersi, con estrema discrezione, non già le compagne di noviziato; trascorso il periodo di noviziato, la donna aveva la scelta di entrare nella Congregazione assumendo il suo nuovo nome di religiosa, o di chiedere di esser.e aiutata a rientrare nel mondo come onesta lavoratrice, secondo le sue capacità intellettuali ed il suo grado d'istruzione. * * Nel sistema carcerario e ove lo Stato avesse i mezzi, occorrerebbero piccoli riformatori e piccole carceri, di una trentina di persone, e direttori e custodi che fossero veri maestri: e sempre un lavoro retribuito. Per ie carceri, poi, che questa retribuzione potesse essere inviata alle famiglie, ponendo interamente a carico dello Stato il mantenimento del detenuto; giacché trattasi non di punire, ma di difendere la società. Ed altresì tener presente che vi sono i delinquenti recuperabili ed i non recuperabili. Ma anche per i non recuperabili un sistema umano; trovare il punto di equilibrio tra il carcere di un tempo, con il detenuto incatenato al muro o con ai piedi la pesante palla di piombo, ed il carcere luogo spesso meno misero di quello che è l'ambiente normale del condannato. Sicché il mandante di un delitto, l'organizzatore di una evasione, non sia tratto a procurarsi una piccola condanna, per poter dimostrare in modo certo ch'egli in quel giorno era in luogo sicuro. Non credo impossibile rendere estremamente difficili le evasioni; pur tra i prigionieri di guerra quelle riuscite furono ovunque pochissime, e nella realtà come nel romanzo (da Casanova al Conte di Monte- cristo) furono sempre circostanze eccezionali che le resero possibili. Non ho mai letto di fughe dai campi di lavoro sovietici. Dunque in ogni caso piccole prigioni, con una trentina di detenuti, direttori e custodi che sentano il loro compito come una missione: in ogni caso una difesa dell'organismo sociale, per i recuperabili il risuscitare la coscienza di un uomo. Non mi sembra inumano quel che si operava in certi campi di prigionia di guerra (non negl'italiani): un largo spazio libero per giocare, fare dello sport, un po' di giardino, ma, oltre, il reticolato percorso da una corrente elettrica, magari non mortale, ma che toccata dà un allarme; e garitte di sentinelle che dominino tutta la rete (o la palizzata, se si ricorre a questa, non usando la recinzione col filo spinato). E per questa sorveglianza puramente esterna, senza contatto con i detenuti, non vedrei pregiudiziali ad usare l'esercito: nell'art. 52 della Costituzione non vedo affatto perché le parole «la difesa della Patria» debbano solo interpretarsi come difesa in caso di una guerra, e non già come difesa da ogni elemento sovvertitore, che scalzi la fiducia dei cittadini. So bene che tutto questo è un quadro non realizzabile, attesi i mezzi economici di cui dispone lo Stato; ma ritengo che sia una mèta che occorre fare presente ai cittadini, per tentare almeno di realizzarne qualche parte. Cosi il passaggio dei luoghi ove si sconta la pena alle dipendenze del ministero dell'Interno, che permetterebbe anche ai direttori di carceri un più ampio respiro nella carriera, fino al grado di direttore generale; il giudice di sorveglianza è sostanzialmente un corpo estraneo, né si vede cosa possa operare, specie sul terreno del rendere difficili o pressoché impossibili le evasioni. Ma ciò che più conta è imprimere nella coscienza dei cittadini che quello di agente di custodia è un compito onorevole (ricordate il vecchio Schiller da Le mie prigioni, già valoroso soldato?) di difesa della collettività. Siccome non pare possibile usarli solo nelle regioni di provenienza, non soltanto dare loro alloggio e mensa, ma alzarne sensibilmente le retribuzioni e per quanto i mezzi consentano accrescerne il numero, onde render possibili brevi licenze: autorizzarli a perquisizioni dei detenuti per accertarsi che non posseggano armi, ed addestrarli a non lasciarsi disarmare o prendere come ostaggi con la facilità che sembra ci sia. e richiedere loro, anche questo è necessario, lo stesso coraggio che almeno un tempo si esigeva dal soldato. A.C. Jemolo

Persone citate: Casanova, Schiller

Luoghi citati: Europa, Italia, Lazio, Roma