Europa da ridere col telefono bianco di Stefano Reggiani

Europa da ridere col telefono bianco RAPALLO: LA COMMEDIA CINEMATOGRAFICA DEGLI ANNI TRENTA Europa da ridere col telefono bianco Quadriglie d'amore, champagne, collegiali, vecchi cinismi e buoni sentimenti: sì può caricare una scelta evasiva col peso della storia? - La linea parigina e la linea di Budapest - La Valli degli esordi e i film italiani DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE RAPALLO — Si può ancora litigare sui telefoni bianchi? Uscire dalla sala di proiezione con l'aria preoccupata o con quel sorriso complice che i vecchi meccanismi della futilità incoraggiano senza rimorsi? Si può caricare la commedia degli Anni Trenta col peso della storia che le ribolliva intorno? Fuori dell'auditorium delle Clarisse, dove s'è conclusa la rassegna-seminario sull'«Europa dei telefoni bianchi», dopo una settimana di sacrifici e di abbandoni, il volto di Alida Valli ride dai manifesti, la Valli prima maniera, che aveva qualche impuntatura straniera nella recitazione e qualche lampo di freddo negli occhi. Ride da sola, la Valli, ma idealmente le stanno intorno Carla Del Poggio. Irasema Dilian, Assia Noris, Gaby Morlay, Zarah Leander, Marianne Hoppe, Klari Tolnay. Rini Otte, Adina Mandlova, Danielle Darrieux. Diana Churchill, Helena Grossowna, perfino una principiante Ingrid Bergman e una finlandese, Tuulikki Paananen. La controversia tra studiosi sui telefoni bianchi è aggravata dalla natura europea del fenomeno. Chi sta centellinando alla tv, nel revival proposto dalla rete 1, alcune opere -rare e meno rare» della commedia italiana sotto il fascismo, e anche chi (tra gli autori) sta contribuendo a un ritorno dei telefoni bianchi (anzi, adesso, grigi) nella produzione italiana, sa finalmente, se per sciovinismo non l'aveva sospettato, che il fenomeno era europeo, con imprestiti, scambi, rifacimenti di soggetti. L'intemazionale dei telefoni bianchi, piena di vigore nella seconda metà degli Anni Trenta, fu certo lacerata da diversità e da tensioni. La commedia mondana francese non era la commedia ungherese, né i telefoni bianchi dell'Asse squillavano come gli apparecchi inglesi o scandinavi. Nella sua relazione al convegno che ha accompagnato le proiezioni Ernesto G. Laura (coordinatore della manifestazione con Cincotti. Ivald.i. Bernardini e Redi) ha cercato di spartire le due anime dei telefoni bianchi, quella d'ascendenza francese, erede stancamente cinica del teatro borghese, e quella della linea Vienna-Budapest, votata di preferenza al trionfo dei sentimenti. In effetti, la commedia evasiva italiana dal '35 al '40 sembra strettamente legata al sentimentalismo, ultima raffica mitteleuropea; ma sembra altrettanto consapevole di rappresentare tra champagne, belle donne e seduttori non sempre in abito da sera una proposta autentica di divertimento piccolo borghese, accolta dal fascismo per inconsapevole contiguità culturale, non per proposito. Nella sala del convegno, tra i migliori storici del nostro cinema, s'è discusso con sottigliezza. Si sa che la commedia è in se stessa un puro meccanismo di situazioni e di dialoghi, è un orologio: ma come si fa a non domandarle che ora segna e per chi? Così il contrasto ideate, rinnovatosi a Rapallo, è tra chi esamina la confezione di un genere (e. per esempio. Camerini, De Sica, Ophtlls, si rivelano subito autori) e chi ne soffre ancora le implicazioni. Si discute: il piacere dei telefoni bianchi è una vocazione reazionaria. No, l'evasione della commedia fu una risposta ridanciana, sfottitoria alla retorica delle nazioni imperanti. Magari, metà e metà; la commedia era in certe situazioni, in Italia, in Germania, l'unico gioco possibile; in altre l'unico gioco ritenuto divertente. In apertura di catalogo il curatore Cincotti ha messo la frase del manifesto ideologico firmato da Mario Mattoli: «Non vi è niente di più ignobile di un telefono nero». L'altra sera in tv si è visto il primo film di Mattoli (Tempo massimo) con i telefoni ancora neri, ma è il pensiero che conta. I telespettatori vedranno presto un'opera più coerente. Mille lire al mese, oggetto a Rapallo di approfonditi esami. Il film con la Alida Valli degli esordi e la mano dell'arrangiatore cosmopolita Max Neufeld ha fatto ridere lo scelto pubblico in un turbine di sciocchezze e di leggerezze ambientate in Ungheria. Allora, nel '39. i critici se ne vergognavano, adesso ne vale ancora la pena? I telespettatori giudicheranno da sé. Forse da Rapallo pretendono esempi europei, qualche chicca, un assaggio. Per esempio, Sacha Guitry, torrenziale citatore di se stesso, che inscatola nel cinema le sue commedie prima che appassiscano, in un giro vorticoso di telefonate e di prime colazioni, come in Quadriglia (1938). Guitry sta a tavola come se presiedesse un consiglio di amministrazione. La sua filosofia è: «Ho un'amante e le sono fedele. Dovrei sposarla, per poterla tradire». Per esempio, la classe di collegiali polacche (potevano mancare?) del Melodia dimenticata (1938) di Konrad Tom e Jan Fethke. Bellissime donne, eccellenti canterine salvano con una canzone, eseguita su un albero, la formula dimenticata di una scoperta eccezionale: un sapone che rimbalza come una palla e ha gusto di cioccolata. La figlia del saponiere sposerà il professóre di musica. Per esempio, l'olandese Commedia dei soldi di Max OphUls (1936) che non è poi un telefono tanto bianco con quella ballata pedagogica e un poco straniata sui denari perduti, rubati, trovati, millantati, pericolosi. Non per niente i fidanzati delle commedie si sposano spesso poveri e i soldi sono lasciati come una colpa ai vecchi. Rapallo, nella discussione e nelle proiezioni, ha fatto un inchino agli autori non effimeri, sperando che ci sia qualcosa da imparare per i cattivi epigoni. Camerini ha avuto con Batticuore e il fuori quota L'ultima avventura del '32 una piccola celebrazione, Mario Soldati, che sta da queste parti, è stato invitato a condividere l'interesse per la sua Dora Nelson del '39, con Assia Noris in una duplice parte, capricciosa principessa slaiw e modesta sartina. P. S. Per conto nostro i veri modelli di telefoni bianchi, evasivi e imperiosi, leziosi e invadenti erano i «film Luce» nella loro parte mondana e culturale. Rapallo ne ha presentato una piccola scelta, j Chi dimentica quel premio | Viareggio col ministro Alfieri ! che fa il discorsetto ai letterati e gli invitati che danzano e bevono champagne? E quella mostra di Venezia con Goebbels tra gli ospiti e il conte Volpi che assicurava: qui pensiamo solo all'arte? Ma, a quel punto, erano finiti, con tutte le distrazioni, gli Anni Trenta. Stefano Reggiani