Dietro Terrore di Giolitti

Dietro Terrore di Giolitti QUANDO ERAVAMO «LA PIÙ' PICCOLA DELLE GRANDI POTENZE» Dietro Terrore di Giolitti Uno storico australiano giudica, forse troppo severamente, la diplomazia italiana prima del 1914 - È ricorso ai nostri archivi, nei quali però restano da fare molte «scoperte» Il problema se l'Italia debba considerarsi o meno una grande potenza non è certo nuovo. Lo ha evocato recentemente, su La Stampa, Arrigo Levi in un editoriale del 19 marzo. Oggi, evidentemente, i termini non sono più quelli di un secolo fa. Oggi esistono due superpotenze e il problema semmai si è spostato sui limiti delle loro rispettive autonomie e autarchie. Ma nell'età dell'imperialismo, che va all'incirca dalla seconda metà del secolo scorso alla seconda guerra mondiale, i sentimenti erano ben diversi, la rete delle alleanze e delle controalleanze ben più spessa e complicata. Qual era in questo quadro la posizione dell'Italia? Lo ripropone uno storico australiano, R. J. Bosworth. dopo una vasta indagine storiografica ed archivistica, in un'opera dedicata ad un riesame della politica estera italiana prima della guerra del 1914. Il titolo è significativo: Italy. The least of the Great Powers (Cambridge University Press). L'Italia, dunque, era si allora una grande potenza. Ma era la più piccola di esse, la meno provveduta dalla natura in termini politico-militari: assenza di una solida e armonica tradizione unitaria, mancanza di materie prime, di risorse finanziarie e di una grande industria da utilizzare a fini bellici, ecc. Può darsi che la politica estera italiana, e in particolare quella condotta da Prinetti e da San Giuliano, non abbia tenuto conto di questi fattori di fondo, che condizionavano grandemente la sua libertà di azione. Non ne tenne conto neppure Giolitti che. dopo molte riluttanze, si decise a quella guerra di Libia, che ebbe sulla situazione internazionale, da tempo in difficile equilibrio, un effetto destabilizzante analogo a quello che avrà, un quarto di secolo dopo, la guerra d'Etiopia. Il Bosworth è critico dell'azione diplomatica italiana in tutto quest'arco di tempo. A dir il vero lo erano già stati Salvemini e Salvatorelli, con qualche giustificata eccezione. Ma lo studioso australiano lo è in modo forse eccessivamente severo. E se fa piacere individuare in lui uno che non si è limitato, come è stato fatto di recente da altri studiosi stranieri, a sposare una tesi e a sostenerla sino in fondo a costo di forzare certe situazioni, ma ha scavato per conto suo. con competenza e serietà, pure certe sue conclusioni lasciano perplessi. Egli non sembra tenere in sufficiente conto che cosa abbia significato per l'Italia essere appunto la più piccola e la più debole delle grandi potenze. Essere, cioè, l'oggetto di un'incessante lotta sia sul piano diplomatico che su quello militare. E' sempre contro l'anello più debole, contro il cosiddetto «ventre molle» di uno schieramento che si esercita la pressione avversaria. Chi non ricorda la guerra tariffaria e finanziaria mossa a più riprese dalla Francia contro l'Italia allo scopo di staccarla dalla Triplice? E la fortificazione di Biserta? E le erosioni dell'/iinterland tripolitano? L'ambiguità ch'egli depreca nell'azione diplomatica italiana derivava certamente dalla tradizone savoiarda e dal voler perseguire il mito della grande potenza: ma anche dalla stessa ambiguità geografica del nostro Paese, legato al Nord da una politica continentale e centro-europea, al Sud dalla direttrice mediterranea. Quello che merita di essere rilevato nell'opera del Bosworth è il tentativo, anche se appena abbozzato, di condurre l'indagine direttamente sulle fonti archivistiche italiane. Queste, com'è noto, sono state aperte agli studiosi, in pratica, solo dopo gli Anni Cinquanta, cioè ieri. Fino allora la politica estera italiana è stata ricostruita, prevalentemente, sulle fonti tedesche, francesi e inglesi, vaie a dire sulla «valutazione» che quei diplomatici, quei governanti hanno dato dell'azione dell'Italia: il che. evidentemente, è un'altra cosa. E' venuto quindi il momento di condurre una revisione a fondo delle posizioni storiografiche raggiunte senza tener conto delle fonti italiane. L'opera del Bosworth. pur essendo un contributo apprezzabile, indica che siamo appena agli inizi di una lunga via. Enrico Serra

Luoghi citati: Etiopia, Francia, Italia, Libia