La sua fede nell'uomo aiuta a combattere il demone dell'immobilismo di Mario Gozzini
La sua fede nell'uomo aiuta a combattere il demone dell'immobilismo La sua fede nell'uomo aiuta a combattere il demone dell'immobilismo PER la mia generazione le prime letture di Teilhard, su ciclostilati diffusi come «samizdat» (ancora nel 1963 Vigorelli poteva intitolare il suo libro «Il gesuita proibito»;, rappresentarono una scoperta straordinaria. Gli entusiasmi e le speranze della vigilia conciliare trovarono poi nei volumi postumi delle «Editions du Seuil., e nella fioritura imponente di studi, un alimento essenziale. San Paolo del ventesimo secolo. Galileo dell'evoluzione, evangelizzatore delle «Nuove Indie, (cioè del mondo costruito dal progresso scientifico e tecnologico «come se Dio non fosse.): erano queste le espressioni allora correnti. E qualche ateo professo diceva: «Se il cristianesimo è questo, io mi sento cristiano». Fi a il nucleo costante del pensiero teilhardiano il suo «grido. — e l'ispirazione del messaggio conclusila del Vaticano II, affidato alla «Gaudium et Spes., la convergenza è palese, e ormai indiscussa. Scienza e fede, compiti storici e dimensione religiosa, unificazione socio-politica dell'umanità e adorazione personale di Dio: si tratta di contrapposizioni soltanto apparenti, dovute soprattutto alle «carenze, della fede come è stata presentata e vissuta dai cristiani. Il dualismo di ascendenza platonica — la salvezza riguarda l'anima, non il corpo, la persona singola, non la storia né il cosmo — aveva a lungo costretto entro limiti deformanti l'annuncio biblico. Proprio dalla sua esperienza di scienziato autorevole in mezzo a colleghi che non riuscivano più a capire la sua fede e il suo sacerdozio. Teilhard aveva tratto la spinta irresistibile a «vedere, quanto l'unità di anima e di corpo, di spirito e di materia fosse invece molto più in armonia con quell'annuncio. Oggi, nei documenti del magistero ecclesiastico si legge che tra la Chiesa e la storia ci sono un 'intima solidarietà e una mutua relazione, che il dominio dell'uomo sull'universo risponde al disegno di Dio, che questo disegno è sempre più grande di qualsiasi sistemazione anche teologica, che le liberazioni da tutte le forme di ingiustizia, di oppressione, di sfruttamento sono parte integrante della predicazione cristiana. Si dovrebbe dire dunque che Teilhard è stato ascoltato; e la sua doppia fedeltà, alla Chiesa, nonostante respingesse il suo grido, e alla coscienza, che tenacemente gli suggeriva di continuare a «gridare., rappresenta sempre una lezione esemplare (attualissima, tra l'altro, in questa vigilia referendaria sulla legge 194). Ma allora il centenario della nascita è solo un'occasione celebrativa? Credenti e non credenti, disponibili al dubbio e alla ricerca, hanno regolato definitivamente i conti con lui? Non so quanto mi faccia velo l'antico amore, ma l'impressione, certo bisognosa di verifica, è che il gesuita oggi abbastanza emarginato dal dibattito culturale abbia ancora molto da dire. Alla Chiesa, anzitutto: quando vi riemergono intimismi spiritualistici di vecchio stampo, o quando è assalita dalla tentazione ritornante dell'autosufficienza, come se il mondo e la storia nulla potessero in¬ segnarle, coinè se l'ateismo avesse radici soltanto al di fuori di lei e il monopolio delle verità anche storiche le appartenesse per diritto divino. Per i cattolici di Comunione e Liberazione, o dell'Opus Dei. aprire, o riaprire, il discorso con Teilhard potrebbe essere un esercizio salutare. Ma penso anche ai grandi problemi che gravano sul futuro del mondo, la pace, le risorse che si esauriscono, l'energia, il rapporto Nord-Sud, la fame, l'urgenza di rapporti economici radicalmente nuovi. La fede teilhardiana nell'uomo, fondata sull'evoluzione biologica come condizione necessaria — ma non mai sufficiente — della crescita in coscienza responsabile dell'esito dell'evoluzione medesima, può fornire una ricchezza preziosa in un tempo coJ! povero di speranza, cosi tentato dal riflusso nel privato, così incline al pessimismo più o meno apocalittico. La «grande opzione, fra stabilità e movimento, il «demone dell'immobilismo, contrapposto alla ricerca e alla maturazione silenziosa di una umanità nuova «risoluta ad attingere l'estremo vertice delle sue possibilità e del suo destino.: una sinistra veramente rinnovata potrebbe forse trovare ancora, soprattutto negli scritti de «L'avvenire dell'uomo». non certo programmi definiti e pronti per l'uso, ma una temperatura morale, una tensione finalizzata, un intreccio di realismo e utopia, che potrebbero risultare fecondi. «Una febbre di crescenza agita l'uomo: in apparenza, sete di benessere: in realtà, sete di più essere...». Parole belle quanto risapute e vaghe? Può darsi; ciò non toglie, però, che centrino il bersaglio, se la generale debolezza politica, a Oriente come a Occidente, dipende proprio dalla lettura complessivamente alquanto riduttiva che si tende a dare della sete e della febbre dell 'uono. Mario Gozzini L'uomo di Pechino
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