Barnard: sono contrario a chi prolunga ingiustamente la vita

Barnard: sono contrario a chi prolunga ingiustamente la vita Il famoso cardiologo ha scritto un libro sull'eutanasia Barnard: sono contrario a chi prolunga ingiustamente la vita PARIGI — Un libro del celebre cardiologo sudafricano Christian Barnard, appena uscito in Francia da Belfond sotto il titolo . Scegliere la propria vita, scegliere la propria morte* (nell'originale inglese: -Good life, good death») alimenta il dibattito sull'eutanasia, rilanciato da una quindicina d'anni dagli spettacolari progressi tecnologici in materia di prolungamento artificiale della vita. Quest'evoluzione tecnica può condurre ad abusi scandalosi (si pensi ai casi di Franco o del maresciallo Tito, la cui agonia fu prolungata varie settimane per poter risolvere lo spinoso problema della loro successione) e il professor Barnard la riprova. Essendo figlio di un missionario protestante, Barnard è stato condizionato da un'educazione religiosa, per quanto sia poi diventato agnostico, e deplora il fatto che nelle società moderne la morte sia occultata negli ospedali, monopolizzata dai medici e dalle pompe funebri, e l'a- gonizzante sia privato del conforto e della dignità che la presenza dei familiari e i riti gli assicuravano un tempo. Etimologicamente eutanasia significa «buona morte.. Il dovere ben compreso del medico è di alleviare le condizioni del trapasso, non di prolungare segni vitali, come la respirazione o il battito del cuore, in un organismo che ha perso la qualità di 'persona umana», cioè la coscienza e l'esperienza sensibile della vita, dice Barnard. Il chirurgo sudafricano s'indigna per l'ipocrisia di una società, che esalta la guerra ed è pronta a sacrificarvi i suoi figli migliori, e poi condanna l'eutanasia. A questo punto si pone la classica distinzione fra eutanasia «passiva» — che comporta il semplice rifiuto di applicare una terapia destinata a protrarre artificialmente l'esistenza di un individuo ormai condannato — e «attiva» che suppone invece un intervento diretto per porre termine alle sue sofferenze. Il cardiologo dichiara di aver spesso ricorso, nei trentacinque anni della sua esperienza clinica, all'eutanasia passiva, in particolare per la propria madre, e dice di aver concluso un patto con un fratello, lui pure chirurgo, in virtù del quale, se uno dei due dovesse trovarsi in agonia, afflitto da dolori insopportabili, l'altro lo aiuterà a suicidarsi o gli somministrerà direttamente un farmaco mortale. -Finora non ho mai praticato l'eutanasia attiva, perché nel mio Paese essa è considerata come un omicidio e passibile della pena di morte», afferma Barnard, pur sostenendo che. se la distinzione sussiste sul piano giuridico, su quello etico non ha ragione d'essere. Tutte le grandi religioni e in particolare la cattolica (per la quale ci si può riferire alle prese di posizione di Pio XII nel 1957, confermate l'anno scorso da una dichiarazione della Congregazione romana per la dottrina della fede) hanno ormai ammesso il ricorso all'eutanasia passiva, addossandone la responsabilità ai medici: le resistenze vengono semmai dalle autorità sanitarie. Per quanto riguarda invece l'eutanasia attiva, molti si riferiscono ancora, per combatterla, al famoso «giuramento di Ippocrate». in cui è detto che il medico non somministrerà un farmaco mortale, né prenderà l'iniziativa di consigliarlo. Secondo Barnard. si tratta di un testo apocrifo, di «una regola mitologica, impregnata di ideali giudeo-cristiani»: del resto molte facoltà di medicina hanno ormai rinunciato ad imporre ai laureandi tale giuramento. Nell'antichità l'eutanasia era una pratica corrente. Platone dice ne -La Repubblica- che lo Stato deve -lasciar morire i cittadini che non sono sani di corpo- ; gli spartani sopprimevano i neonati anormali: i germani seppellivano vivi i malati cronici; i bretoni accoppavano con un «martello benedetto» gli incurabili: gli indù li gettavano nel Gange: i romani onoravano i suicidi. Nel Cinquecento, nella sua celebre .Utopia-, il cancelliere Tommaso Moro, futuro martire e santo, impone ai preti e ai magistrati di spingere i malati incurabili a porre fine a «una vita pestilenziale e dolorosa», mentre nel secolo successivo un altro cancelliere bri¬ tannico, Francis Bacon, delega ai medici la responsabilità di procurare «una morte placida e facile». La stessa idea ricorre in varie utopie ottocentesche. Negli ultimi decenni molti Paesi hanno allentato le norme repressive riguardanti l'eutanasia attiva e il suicida non è più oggetto di anatema: in particolare è caduto in disuso il divieto di seppellirlo in terra consacrata. Perché l'eutanasia attiva possa essere legalizzata, occorre ovviamente prevedere una serie di controlli suscettibili di prevenire possibili abusi (la decisione non spetterà a un solo medico, ma a un'equipe, la famiglia dovrà essere consultata), ma già l'autore intravede nelle mutazioni intervenute sul piano etico e legale alcuni sintomi incoraggianti: -La società, dice, sta per compiere un passo da gigante verso una migliore comprensione della dignità della morte e del modo in cui questa dignità può incarnarsi, ivi compreso, se necessarie, attraverso l'eutanasia e il suicidio-. Il suicidio — secondo Barnard — rappresenta un diritto inalienabile dell'individuo. Questa trasformazione delle mentalità è stata illustrata nel settembre scorso in un convegno promosso da una associazione inglese per l'eutanasia volontaria detta «Exit», che ha riunito ad Oxford duecento delegati rappresentativi di una quindicina di Paesi. Elena Guicciardi Barnard in un disegno di Alessandro BifTignandi

Luoghi citati: Francia, Oxford, Parigi