C'è un fantasma in laboratorio è il vecchio Lamarck

C'è un fantasma in laboratorio è il vecchio Lamarck Ereditarietà e caratteri acquisiti C'è un fantasma in laboratorio è il vecchio Lamarck CON l'assai giudizioso titolo « Troppo presto per una riabilitazione di Lamarck», il prestigioso settimanale scientifico Nature presenta e commenta un esperimento piuttosto curioso, se non rivoluzionario, descritto in dettaglio nello stesso numero della rivista da R. M. Gorczynski e E. J. Steele, due immunologi e «trapiantologia dell'Ontario. Il fantasma del cavaliere di Lamarck, sostenitore della ben nota teoria dell'ereditarietà dei caratteri acquisiti, aleggia da qualche mese nei vetrati laboratori di biologia. Questo esperimento di Steele e Gorczynski, successivo a un primo articolo apparso circa un anno fa, tenderebbe a dimostrare che è possibile infrangere la cosiddetta barriera di Weissmann tra germe e soma, cioè a far penetrare nei geni, stabilmente, certe modificazioni somatiche acquisite dall'organismo in seguito a esposizione a fattori dell'ambiente. La cosa ha suscitato scalpore, tanto che il New York Times e altri quotidiani hanno parlato di questi esperimenti «lamarckiani». Le teorie del celebre naturalista francese devono forse essere ripescate dalle muffite soffitte, rispolverate e messe in bella mostra sulla Quinta Strada? Nature afferma che è «troppo presto», e Nature è una pubblicazione autorevole. Nella scienza moderna si è, o almeno si professa di essere, tolleranti e liberali, aperti alle nuove teorie e alle spiegazioni alternative; non esistono tribunali di inquisizione, non esistono eresie e roghi. Eppure, in biologia, l'idea lamarckiana che possano trasmettersi geneticamente dei caratteri acquisiti è quanto di più simile all'eresia si possa oggi trovare. Il foglio di via, anzi, l'intimazione di sfratto, dalla casa delle scienze fu consegnata a Lamarck non tanto da Darwin in persona, il quale cercò di conciliare le sue teorie «selettive» con le teorie «istruttive» di Lamarck, ma piuttosto e congiuntamente dai neodarwinisti, da August Weissmann (il quale stabili la barriera tra linee somatiche e linee germinali) e dai genetisti moderni, specie se molecolari. Esistono oggi pesanti e convergenti argomenti di ordine paleontologico, evoluzionistico, biochimico e genetico, suffragati da innumerevoli esperimenti, per escludere ogni forma di ereditarietà dei caratteri acquisiti. Nella scienza, come dicevamo, non vi sono inquisizioni, vi è però una ben precisa concezione di cosa è ragionevole e un senso spiccato del buon gusto intellettuale. Riproporre il lamarckismo è decisamente irragionevole e di pessimo gusto. Questo non impedisce che si avanzino veementi difese delle idee di Lamarck e si denunci il «dogmatismo» della dottrina neo-darwinista e mendeliana dominante. Ci provò Lyssenko, forte della polizia di Stalin, ci ha provato Arthur Koestler, forte del suo straordinario talento di scrittore e di polemista, ci ha provato, ma sottovoce, Jean Piaget, forte del suo grande prestigio di psicologo. Ci riprovano, sporadicamente, ma insistentemente, certi biologi marginali e qualche filosofo smarrito. Sino ad oggi, comunque, queste «riabilitazioni» dell'ereditabilità dei caratteri acquisiti hanno sbattuto contro il «no pasaran» fermamente ripetuto da tutti i biologi degni di questo nome. Steele e Gorczynski, degnissimi biologi, annunciano di aver constatato, attraverso ben due generazioni successive di topi, la trasmissione ereditaria della tolleranza immunitaria a antigeni particolari, legati alla ricettività ai trapianti. Solo i babbi e le mamme (o, per le seconde generazioni, i nonni e le nonne) dei topi geneticamente «tolleranti» erano stati esposti all'antigene. Gli antenati non erano immuno-tolleranti alla nascita, ma lo sono diventati dopo opportuni trattamenti a base di trapianti. E fin qui niente di straordinario. Quello che è, invece, straordinario è il fatto che questa tolleranza acquisita si sia trasmessa ai discendenti, secondo il classico meccanismo della genetica mendeliana. Un congruo numero di topi figli e nipoti, nati da incroci interni al ceppo «sensibilizzato», sono tolleranti verso quegli antigeni ai quali erano stati esposti solo i genitori o i nonni. I biologi dell'Ontario non pretendono in alcun modo di aver sconfessato la genetica e il neo-darwinismo (ci vorrebbe una ben più formidabile «copertura» sperimentale e teorica), si limitano a scrivere, testualmente, che il loro esperimento «costituisce una sfida alla dottrina di Weissmann e ci sembra esigere una spiegazione diversa da quelle offerte dalla genetica neo-darwinista convenzionale». L'articolo di Steele e Gorczynski non nomina nemmeno Lamarck. Il caso di ereditarietà osservato viene da loro definito «una situazione anomala» («anomalus pattern»). L'anno scorso, sempre su Nature, R. B. Taylor propose una spiegazione più «convenzionale» dei primi esperimenti di Steele e Gorczynski: i topi avrebbero ereditato non il gene responsabile della tolleranza immunitaria, ma un gene responsabile della produzione dell'antigene,. cioè della sostanza contro la quale si esercita la reattività naturale dell'apparato immunitario. II prudente editoriale di Nature sottolinea l'esiguità dei dati riportati e fa notare come l'ereditarietà si distribuisca asimmetricamente tra topi maschi e topi femmine e come, inoltre, essa si attenui tra la prima e la seconda generazione. Il carattere non sembra quindi ereditabile nel senso forte, mendeliano, né sembra veramente «stabilizzato» per via genetica. Altri meccanismi e altri modi di trasmissione sono suggeriti. Il caso, certo, resta per ora aperto. E' da attendersi più un allargamento della teoria convenzionale che una sua mitica sconfessione. Per ora Lamarck continua a non passare. Si riempiranno le lacune e si terrà il buon vecchio gruviera di Mendel-Darwin. Fu lo stesso con gli esperimenti del recente Premio Nobel Howard Temin, il quale scopri un tipo di enzimi sino ad allora insospettati (denominati in gergo «trascrittasi inverse») e al quale si vollero, per cosi dire, mettere in bocca ipotesi di carattere lamarckiano. La scienza, dunque, è conservatrice? Teme l'innovazione? Non vuole riconoscere i propri errori? Infierisce contro il povero Jean-Baptiste de Lamarck rifiutandogli ogni riabilitazione? Chi sostiene questo e vorrebbe veder aperte porte e finestre a ogni «apertura» nuova, ad ogni spiffero di teorie alternative, dovrebbe essere pronto, per elementare coerenza, a cacciare di casa e diseredare su due piedi il più affettuoso e bravo dei suoi figliuoli, per adottare il primo simpatico bellimbusto capitatogli ospite per cena. Massimo Piattelli Palmarini Moholy-Nagy: «Composizione» (1921)