Il flagello degli inventori di Nico Orengo

Il flagello degli inventori Il flagello degli inventori Caro professore, Dio è una telescrivente IL primo ad arrivare nel mio ufficio è stato un giovanotto dall'aria decisa accompagnato da un signore di messa età, forse lo zio. Sensa preamboli mi annunciò che aveva progettato un'astronave di nuovo tipo usando i concetti della relatività generale di Einstein. Dimostrai un certo scetticismo, per buona educazione mi rassegnai ad ascoltare. Fui premiato. Il giovanotto tirò fuori un meraviglioso disegno multicolore rappresentante un'immensa ruota con scanalature radiali in cui correvano delle palline. Una volta messa in moto la folla di palline in entrata ed uscita secondo schemi complicatissimi doveva esercitare delle reazioni sbilanciate sulla ruota. Questa si sarebbe dovuta innalzare maestosamente e solcare gli spazi infiniti senza avere bisogno di combustibile. Il moto perpetuo dunque. Ma ahimè, il giovanotto si era scordato delle forze di Coriolis, e il decollo doveva essere rimandato per motivi tecnici. Con una certa cautela espressi le mie preoccupazioni. S'infuriò: lei mi prende per fesso. Cercai di spiegargli che, se avesse avuto ragione, lo avrei dovuto considerare un genio eccelso; mi lasciasse almeno delle opzioni intermedie. Se ne andò imbronciato portandosi via il disegno. Peccato, avrebbe ravvivato le pareti del mio ufficio e costituito cerne dicono gli americani un ottimo *conversatìon piece». Al giovanotto sono seguiti vari esemplari' di quelli che, sempre in America, vengono chiamati «crackpots», pignatte rotte (non conosco un termine italiano adeguato). All'Institute for Advance Study di Princeton, dove lavorò Einstein, i crackpots sono un fenomeno endemico ed esistono precauzioni elaborate per impedire a questa gente di disturbare il lavoro altrui. Uno di questi entusiasti, una strana mistura di seria cultura scientifica fanatico fondamentalismo biblico, riuscì a passare inosservato attraverso le linee e ad arrivare al mio ufficio. Secondo lui tutto il mondo altro non è che lo stampato di una telescrivente cosmica operata dal primo Dio, Diol. Gli chiesi di spiegarmi chi era Dio2. Ovvio, anche Diol era lo stampato di una telescrivente operata da Dio2. Con un geniale processo recursivo si giungeva a una serie infinita di Diofnì, capitanata da Dio-infinito, il motore primo. Le fluttuazioni quantistiche altro non erano che gli errori di scrittura di Diol. Riuscii a sganciarmi a fatica. Ultimamente alcune mie apparizioni televisive hanno richiamato su di mei crackpots locali. Ormai li riconosco come tali sema bisogno che aprano bocca. Loro caratteristica è la mancanza di senso dell'umorismo, il dogmatismo assoluto, l'esistenza di paurosi vuoti di cultura scientifica. Risulta infine la sperimentata impossibilità di condurre un qualsiasi dialogo con questi emarginati. Hanno alcuni bersagli fissi, quasi tutti mostrano un'irriducibile animosità verso Einstein. Per lo più si tratta di autodidatti, dotati di una certa intelligenza allo stato brado, privi di quella disciplina che è necessaria per produrre risultati di rilievo. Continuamente respinti dalla scienza ufficiale vagano da un istituto di ricerca all'altro riuscendo solamente a far perdere tempo agli altri ed a se stessi. Ed ai docenti universitari altro non resta che far capire loro con le buone maniere che la loro presenza non è gradita. In realtà occorrerebbe dare a questa gente, prima ancora di un aiuto.scienti fico e tecnico, la corretta prospettiva di come operano gli istituti di ricerca. Primo requisito di un ricercatore è una seria professionalità, quando siamo fortunati a questa si aggiunge una dose ampia d'inventiva e di immaginazione. Rarissimamente si giunge al genio. La maggioranza dei problemi discussi nelle nostre aule ha come scopo la formazione professionale, non si chiede allo studente di cimentarsi subito in una ardua teoria unificata oppure di rivoluzionare la fisica. Per prima cosa deve imparare a controllare se stesso e con se stesso i complessi metodi di ricerca della scienza contemporanea. Questa professionalità manca in modo assoluto nei crackpots. Il cimentarsi con i buchi neri senza sapere nulla sull'evoluzione stellare è privo di senso. Discutere sul 'big bang» senza avere in mente la struttura delle galassie, le reazioni termonucleari, lo spettro del corpo nero di Planck e cosi via significa condannarsi alla superficialità. Il crackpot raramente ha il senso della misura. L'esordio è standard: le chiedo poco tempo, due minuti per spiegare che Einstein aveva torto. Il colloquio poi si prolunga per ore per il docente già oberato da carichi didattici ed amministrativi. Non mancano le imperiose telefonate a casa in cui si richiede un colloquio della massima importanza. Il rifiuto provoca recriminazioni; voi fisici mi trattate come avete già trattato Galileo. In realtà il fenomeno, acuitosi negli ultimi tempi, origina da un rinnovato e positivo interesse per la cultura scientifica frammista all'eterno dilettantismo delle folle. Non è solamente un fenomeno italiano. Inoltre esso indica le carenze del nostro sistema educativo e sociale fin dai primi anni di scuola. Molte persone che possiedono a volte talento e qualità notevoli vengono rovinate da un 'educazione inefficiente. E' quindi inutile chiederci di mantenere il dialogo con questi emarginati, per loro è troppo tardi, per noi stessi rappresentano solamente un pesante carico addizionale che si aggiunge a quello già gravoso dell'insegnamento. Ma ho anche un'altra ragione per evitare i contatti con i crackpots. In questi giorni ho fatto una scoperta musicale di straordinaria importanza. Ritengo infatti di avere superato definitivamente la dodecafonia abolendo il la bemolle. Non amo quindi essere disturbato dal telefono mentre provo al pianoforte la partitura della mia prima opera «La donna della domenica». Appena l'avrò completata andrò a far visita a Pollini, sono sicuro che sentite le prime battute, si renderà conto dell'importanza della mia scoperta. Non andrò invece da Karajan, è chiaro che non ha mai capito niente di musica. Tullio Regge fiori". Il fatto è che sono' blues urbani, poesie scritte per essere musicate sui ritmi di un blues moderno, un genere di musica con sfumature di toni che ha la mia generazione, quella chiamata "i reduci del '68", che però non sono tristi oggi come non eran torvi nel '68, né floreali nel 77». — Ma la scelta del blues cosa significa? -I blues hanno un ritmo lento, avvolgente, tengono uniti, creano le condizioni per stare insieme. Non succedeva cosi anche per i Neri d'America? Ma non è tristezza o vittimismo. La mia generazione sente il bisogno di guardarsi intorno e sentire solidarietà. E' un momento di riflessione e il nostro atteggiamento è realista, consapevole che la storta di tutti si è riempita di sofferenze. Nel '68 la consapevolezza era per un cambiamento, per una cultura diversa: una lotta che valeva la pena di fare anche se eravamo certi che non si sarebbe visto subito l'Eden». — Scrittori e disegnatori di satira come possono uscire da quella spettacolarità e da quel divismo che oggi hanno raggiunto? -Il tempo farà giustizia. Intanto c'è chi ci prova, chi prova altre formule che mantengano inalterata la forza dei contenuti. Oggi io provo con la poesia, ma vorrei altre strade per non diventare solo spettacolo. Quando sento verso di me l'ostracismo della televisione o del cinema, sento che esiste ancora la possibilità di conservare una propria diversità». — E' con la poesia che oggi Benni rinnova la propria satira... -Adesso si. Se mi chiedono un intervento io mando una poesia. Piace ai compagni, è una cosa breve, la leggono e ci pensano su». — Funzionerà anche con gli uomini politici? • E' difficile prendere per il culo chi non ha più dignità. Se ne fregano. Però se li chiudi in una poesia che è una forma più nobile e poi li stronchi, può essere che...». Nico Orengo

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