Nel giardino di Bosch si nasconde la delizia dell'eros

Nel giardino di Bosch si nasconde la delizia dell'eros L'interpretazione del critico Fraenger Nel giardino di Bosch si nasconde la delizia dell'eros CHE cosa vorrà mai significare quel corteo di ignudi che si muove tra una disordinata fioritura vegetal-minerale, mimando dolcezze carnali? L'innocenza, la lussuria, il sonno delle anime offuscate dal peccato? Le pantere, i liocorni, i grifoni, i cammelli che accompagnano la cavalcata sono simboli di altrettanti peccati? E la famosa bolla trasparente che racchiude delicatamente una coppia sta a indicare adulterio, o è la camera nuziale per l'unione alchemica dei principi maschili e femminili, come le cucurbitacee, i coralli, le uova? Crittografia figurativa, l'opera di Bosch rimane uno dei più poderosi enigmi che la cultura d'Occidente abbia prodotto: capace di suscitare le interpretazioni più disparate, di accoglierle e di irriderle tutte, per tornare ad offrirsi beffardamente nella sua prodigiosa ricchezza semantica. Pochi, tutto sommato, i tentativi di una interpretazione globale, perché «leggere» Bosch presuppone una cultura enciclopedica, nutrita di filosofia, alchimia, mistica medioevale, tradizioni popolari, avvezza a praticare Platone e gli gnostici, Pico della Mirandola e Scoto Eriugena... Là dove hanno fallito i solitari, potrebbe forse riuscire una squadra ideale di grandi spiriti: la Yates, Gombrich, Duby, Seznec, Baiti usaitis e, se fossero vivi, Panofsky, Huizinga, Focillon, Jung... E' solo verso la fine dell'Ottocento che Bosch esce da un letargo critico di quasi trecento anni, e torna a stimolare spiegazioni a largo raggio. Tra gli interpreti più temerari è il bavarese Wilhelm Fraenger (1890-1964), che in piena guerra si cimenta col Giardino delle delizie conservato al Prado. E' una singolare figura di storico dell'arte, erudito e divulgatore Insieme, mezzo filosofo e mezzo folclorista, perseguitato dal nazismo, poi passato nella Repubblica democratica tedesca, dove si guadagnò la feluca di accademica. Nel volume che Gianni Collu ha ora egregiamente tradotto per Guanda, Fraenger avanza un'ipotesi da fantacritica: il trittico, sostiene, fu commissionato a Bosch da una setta del Libero Spirito, fiorita nel '400 in tutta Europa, e dedita al culto di Adamo, l'Uomo Originale assunto a simbolo di rinnovamento interiore. Era l'utopia di una rigenerazione spirituale che gli officianti celebravano in completa nudità nella segretezza di caverne e catacombe: ciò che attirò loro facili accuse di deboscia e deviazioni orgiastiche. Sarebbero dunque stati gli adamiti, cultori di un Eros sublimato e platonizzante, a chiedere a Bosch una sorta di abbecedario figurato ad uso degli adepti. Per Fraenger il Giardino esalta la riscoperta del corpo, già sacrificato dalla fredda ascesi cattolica, e con esso l'equilibrio tra natura e sapienza, che annuncia il Rinascimento. Quello che si celebra tra i frutti-madre, gli alberi della vita, i filamenti e le corolle della pala centrale sarebbero i misteri gaudiosi di' una fecondità senza macchia. Le studioso ritiene addirittura di ravvisare il committente, il Gran Maestro della setta, nel bruno volto meridionale dell'uomo che, unico vestito tra gli ignudi, spunta da sotto una teca di cristallo in compagnia di una Nuova Eva. Ma è plausibile un'autodenuncia così rischiosa in tempi quotidianamente illuminati dai roghi dell'Inquisizione? In mancanza di prove documentarie, Fraenger ha modo di sfoggiare un'eloquenza erudita e avvocatesca, che ha il suo fascino, in «processi» indiziari come questo. Se è bravo a ricostruire il clima filosofico e culturale del tempo, a inseguire le possibili fonti dell'artista, va un po' troppo in là quando sostiene che il vero autore dell'opera è il Gran Maestro, e riduce così il pittore a semplice esecutore di progetti altrui. Dimenticando che tutto l'armamentario concettuale di questo mondo non basta a suscitare un millesimo della potenza visionaria e iperrealistica delle immagini di Bosch. Ha ragione Caillois quando scrive che il mondo di Bosch è sistematico, e davanti ai suoi quadri non si prova quell'impressione di stravaganza che pure sarebbe legittima. I simboli di Bosch, il «messaggio» che li comprende tutti sono oscuri per noi, ma per i contemporanei del maestro? Non risulta che egli abbia patito incomprensioni, accuse di fumisteria, o contestazioni da parte della committenza. La simbologia alchimistica, cristiana, orfica, la simbologia popolaresca e quella dei tarocchi, erano un linguaggio se non corrente, certo accessibile ai committenti di Bosch, e ai cosiddetti fruitori delle sue opere. Cinquantanni dopo la sua morte, Guicciardini lo ricordava come «inventore nobilissimo, maraviglioso di cose fantastiche e bizzarre». E lo spagnolo padre Siguenqa, che Fraenger accusa di aver dato il via alle interpretazioni riduttive del maestro, agli inizi del '600 era pur capace di una sottigliezza critica degna di Freud: «La differenza tra i lavori di quest'uomo e quelli degli altri consiste nel fatto che gli altri cercano di dipingere gli uomini come appaiono di fuori, mentre lui ha il coraggio di dipingerli quali sono dentro, nell'interno». Fraenger (colpa o dolo?) non la cita nemmeno. Di fatto, lo studioso ha trasferito di peso nell'interpretazione del Giardino un'esperienza personale. Si racconta che ad Heidelberg, dove insegnava negli Anni 20. aveva costituito un circolo magico, una setta-cenacolo di allievi dediti al rinnovamento dell'Arte, che pendevano dalle sue labbra come da quelle di un profeta. Non c'è dubbio: gli allievi sono gli uJ amiti che Bosch avrebbe rappresentato intenti a celebrare le mistiche nozze di Eros e Sophia, e lui, Fraenger, sapiente e ispirato, il vero Gran Maestro di tutta la faccenda. Ernesto Ferrerò Wilhelm Fraenger. Il regno milionario di Hleronymus Bosch, Guanda, 230 pagine. 13 000 lire. Particolare dal «Giardino delle delizie» di H. Bosch

Luoghi citati: Europa, Heidelberg