Devi bruciarti vivo per salvare il dissenso polacco
Devi bruciarti vivo per salvare il dissenso polacco Konwicki: drammatico apologo Devi bruciarti vivo per salvare il dissenso polacco ESCE in questi giorni in Italia, con drammatica attualità, il più recente romanzo di Tadeusz Konivicki: «Piccola apocalisse». La sua lettura dovrebbe essere d'obbligo per chiunque oggi voglia vedere nella Polonia qualcosa di più di un luogo simbolico, un punto cardinale della strategia ideologica e politica. «Piccola apocalisse» (edito da Feltrinelli. 252 pagine. 8000 lire), nonostante l'erosiva carica grottesca e visionaria che ne sottei de la scrittura e nonostante (come avverte nella «NotaPietro Marchesani, autore dell'eccellente traduzione) sia tutto tranne che un pamphlet politico, un libro-nero sui mali della Polonia, può essere letto anche come una fedele cronaca di una condizione storico-morale il cui degrado Ita ormai superato il livello di guardia del possibile, del verosimile. E' il socialismo reale, qui. che rivela il suo non così segreto volto «irreale»: paradossale e onirico (da incubo), scomposto e deforme. Il curriculum di Konwicki. certamente uno dei massimi scrittori polacchi contemporanei, ripete con sorprendente esattezza quello di alcuni tra i maggiori esponenti del dissenso dell'Est europeo: guerra partigiana contro i tedeschi (ma anche — particolare storico tutto polacco — contro i soinetici, nelle file dell'Armia Krajowa): adesione al partito comunista nel dopoguerra: debutto con un romanzo socio-realista, premio letterario di Stato: e, dopo il «disgelo», una progressiva presa di distanza dal regime, dalla sua ideologia e dalle sue istituzioni, culminata nel 1977. anno in cui apparve «Il complesso polacco». Con questo libro. Konwicki abbandonai^ l'ufficialità per quello che è stato giustamente definito il «se¬ condo circuito letterario» della cultura polacca e che (sia per le sue dimensioni, sia per la stessa tolleranza che. almeno finora, le autorità hanno avuto nei suoi confronti) non può l'enire paragonato al ben più limitato e conculcato «samizdat» sovietico. «Piccola apocalisse» descrive una giornata di uno scrittore della Polonia d'oggi, per molti versi alter ego dell'autore: al mattino, gli fanno visita alcuni suoi amici, colleghi di dissenso e disgusto, proponendogli di bruciarsi vivo, la sera stessa, davanti alla sede del Partito: un gesto che dovrà scuotere la coscienza polacca e del mondo intero. L'uomo, già roso dalla abulia e da pensieri di morte, eseguirà puntualmente il copione assegnatogli, dopo lunghi pellegrinaggi per una Varsavia in cui i festeggiamenti e l'esultanza artificiale per un ennesimo congresso di apparateiki-marionette (nonché per la strabiliante novità del giorno: la Polonia è stata scelta come «prima candidata all'annessione all'Urss») non hanno cancellato i segni di uno «stalinismo decadente, polonizzato e cencioso»: una Varsavia grigia, poliziesca e disperata. Il protagonista consuma l'autosacrificio. ma il ba¬ gliore del falò che illumina una serata qualunque della capitale polacca (la sera di un giorno così qualunque che il calendario segna stagioni e anni sempre diversi) è illusione da piccola fiammiferaia in confronto con le apocalittiche faville delia profezia: così come la possibile musica di un pauroso «Dies irae» si slabbra in una mistura di patetismo ciajcovskiano e frivole marcette. La «piccola apocalisse» di Konwicki sta al complesso millenaristico che nei secoli ha attraversato la cultura polacca come il «demone meschino» di Sologub sta ai titanici Demoni di Lermontov o Dostoevskij. E' un processo patologico di avvilente miniaturizzazione, un'epidemia di «pigmeite» da cui, secondo Konwicki, nessuno si salva: non certo i dissidenti di professione o «a mezzo servizio» presso il potere, figli della sovietizzazione che «coltivano il piacere dolo-' roso della pornografia politica»; non certo il Grande Scrittore, nel cui personaggio viene dissacrato il mito polacco del Vate, dell'intellettuale-coscienza della nazione: e neanche, infine, l'Occidente, il «cosiddetto mondo libero che assomiglia sempre più a quello sovietico». Ad un presente che azzera il significato di tutto, anche della catastrofe, si oppone soltanto (insieme all'intermittente ricordo di tenere visioni infantili), e soltanto nel finale, il miraggio di un «Dio contro gli altri Dei», «Dio della misericordia e degli uomini». Miraggio o accurato appello che sembra aprire di colpo, tra tanta desolazione, devastazione ironica e autoironica, uno spiraglio di luce: ma ci si continua a chiedere, insieme al protagonista: «Si tratta di un'arlecchinata o di un'ascensione al cielo?». Serena Vitale
Persone citate: Dostoevskij, Lermontov, Marchesani, Serena Vitale, Sologub, Tadeusz Konivicki
Luoghi citati: Feltrinelli, Italia, Polonia, Urss, Varsavia
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