Unica Zurn cela la vita in mille anagrammi
Unica Zurn cela la vita in mille anagrammi Gli scritti della pittrice tedesca Unica Zurn cela la vita in mille anagrammi LA Tartaruga, l'aristocratica casa editrice di Laura Lepetit, si è ormai imposta per una serie di titoli di grande fascinazione, di quelli per intenderci che avrebbero potuto esser tra i vanti dell'Adelphi. Basta pensare a quella Autobiografia di tutti di Gertrude Stein (superbamente tradotta e interpretata da Fernanda Pivano), a La carta gialla di C. Perkins Gilman alle Impressioni di follia di Anna Kavan, al recente Lunedì o martedì di Virginia Woolf; e autrici come Ginevra Bompiani e Bibi Tommasi, per quel che concerne la saggistica e la scrittura contemporanea. Detto questo — e ci pare doveroso — segnaliamo la, raccolta ragionata di scritti di e su Unica ZUrn, pittrice e scrittrice surrealista, nata a Berlino nel 1916 e morta, suicida, a Parigi undici anni fa. II libro si apre con Oscura primavera, una straziante favola del '67; segue il lungo racconto che intitola il libro. L'uomo nel gelsomino del '66: per finire gli anagrammi. Anagrammi e disegni, entrambi trasposizioni di lettere e segni di una o più parole o segni in modo da generarne altri — nel '54 Zurn era apprezzata da Max Ernst e poi da Henri Michaux con gli «Hexentexte». appunto — le servivano a descrivere la malattia mortale per eccellenza: la vita. Unica ZUrn, singolare docente dell'infelicità, e nell'attività letteraria e in quella pittorica, risulta dedita al ripugnante esercizio di analizzare l'anima. Intrappola i propri deliri in segni perversi e allarmanti, rimescola immagini di memorie dissepolte e fantasmi del quotidiano che non cercano più un rapporto col mondo, in una pittura guasta, e insaporita al tempo stesso, di spezie letterarie. La vita l'aveva estromessa e lei la ricambiò trascorrendo gran parte del suo tempo in quei posti dove si soffre di più perché si mente meno, nei manicomi. Con una sorta di predestinazione al dolore e alla sconfitta iscrisse la propria malattia e la sua malattia era quella di vivere- , come nota Ruth Henry nella postfazione. I disegni — e i racconti — sono la registrazione di un'esperienza estrema: il viaggio attraverso una psiche che patologicamente si rinnega. Scrittura e segni vanno a rifugiarsi in quel luogo ultimo del malessere, dove tutti i legami con gli altri sono impossibili, dove l'Io, reliquia di un incidente totale, è ridotto solo a sofferenza. La «malattia» dilaga su tutte le pagine e su tutte le tele; è l'unico dato reale e questo dato reale è, tragicamente, la separatezza. Eppure questo disperato diario, all'interno del delirio, presenta palpiti acuti, intense rivelazioni e un commosso desiderio di vita- Lea Vergine Unica Zurn: L'uomo nel gelsomino.La Tartaruga, 240 pagine, 7500 lire. f M R Unica Ziirn in una foto di Man Ray
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