Sul grano 10 anni di scontri
Sul grano 10 anni di scontri Sul grano 10 anni di scontri L'accordo siglato nel '71 è stato rivisto sei volte, ma non è riuscito a risolvere tutti i problemi - Contrasto di interessi tra gli Stati Uniti e la Cee, che rifiutano entrambi di rinunciare alle posizioni conquistate La recente proroga dell'accordo internazionale sul grano (venne siglato nel 1971 e da allora è stato rivisto sei volte, l'ultima con validità biennale) ha messo nuovamente a nudo la cronica incapacità dei grandi produttori agricoli a capirsi sul modo migliore per amministrare i propri mercati. Adesso l'arrivo di una squadra «matricola» a Washington aggiunge un'altra incognita, basata sull'incertezza, alle prospettive di una sollecita conclusione delle trattative per la firma del documento. Infatti, sia per gli Stati Uniti, che lo dovranno negoziare da una parte, sia per la Comunità europea, che si troverà sul lato opposto del tavolo, l'esempio del contenzioso sul frumento è emblematico in quanto dimostra lo scontro di interessi fra le due superpotenze economiche dell'Occidente. Ognuna intende difendere le sue prerogative di produzione e di vendita, nessuna vuol rinunciare alle posizioni conquistate e tanto meno accettare restrizioni. Gli Usa. come noto, sono i primi esportatori del mondo nel settore dei prodotti agroalimentari, seguiti nell'ordine da Francia e Paesi Bassi. Sono anche i secondi importatori degli stessi generi dietro la Germania federale, precedendo Inghilterra e Giappone. Tuttavia la Cee. se considerata nella sua globalità, è allo stesso tempo la prima cliente degli Stati Uniti e in diretta concorrenza con gli americani per alcuni tipi di produzione (zucchero, cereali, caseari). Questo confronto commerciale potrebbe sembrare uno dei tanti casi di lotta d'influenza fra due gruppi preminenti. In realtà la situazione è diversa in quanto la Cee è condizionata dal tipo di acquisti effettuati in Ame¬ rica, specie le proteine (soja e mais) necessarie agli allevamenti europei. Quando, nel 1973, il presidente Nixon decise di imporre l'embargo sulle esportazioni di soja. le conseguenze per l'Europa furono più psicologiche che economiche. In sostanza i grossi importatori finirono semplicemente per prendere cognizione della loro debolezza senza però che l'embargo potesse tradursi in una sostanziale diminuzione nelle esportazioni di sementi. A quei tempi, l'esportazione agricola e alimentare serviva agli Stati Uniti per mettere ordine a specifiche esigenze di carattere interno mentre oggi essa è diventata un dovere nazionale e inoltre mezzo utilissimo nell'ambito della strategia statunitense a livello mondiale. Piuttosto che decretare congelamenti dagli effetti abbastanza incerti, gli americani preferiscono ora adoperarsi per la riduzione delle barriere tariffarie, e anche di quelle non tariffarie. E ci sono riusciti bene visto che agli ultimi incontri commerciali multilaterali del «Tokyo Round» hanno ottenuto di poter conservare le proprie misure protezionistiche a favore dei prodotti lattieri, di mantenere il consolidamento dei diritti doganali (a tasso zero) per le importazioni di soja. e nel contempo di aprire una breccia significativa nelle barriere di protezione della Cee con il consenso di potervi esportare carne bovina di «alta qualità». In altre parole, hanno mostrato il cammino da seguire per altri Paesi produttori di carne. Si può quindi affermare che la strategia americana nei confronti dell'Euro-. pa sia abbastanza semplice: disturbare le esportazioni della Comunità e favorire ovviamente quelle degli Stati Uniti, il tutto camuffato con un abile linguaggio diplomatico. Si gioca cosi sulle parole dall'una e dall'altra parte dell'Atlantico. E' chiaro che i due sistemi agricoli non sono comparabili, ma è evidente che gli americani definiscono «sovvenzioni» all'esportazione e barriere doganali ciò che gli europei in fondo considerano invece regime di protezione dei produttori e dei consumatori. Dal canto suo la Comunità intende per «aiuti» all'esportazione e sovvenzioni ai produttori ciò che gli Usa ritengono una normale attività di credito e di regolamentazione dei mercati. Occhio insomma ai costi e in modo particolare ai profitti. Sotto questo profilo, le divergenze fra l'amministrazione democratica e quella repubblicana sono indubbiamente meno marcate di quanto avesse lasciato prevedere la campagna elettorale. Il ruolo del governo, e Reagan lo ha ribadito, è di «assicurare la libera concorrenza». Eppure, benché reticente nei riguardi degli accordi bilaterali, eccetto se si tratti di nazioni a economia centralizzata che pur costituiscono una larga fetta del mercato. X'équipe di Reagan crede comunque in un'esportazione vigorosa. Pertanto i mezzi a disposizione della Commodity Credit Corporation sono stati rinforzati e contemporaneamente è stato mantenuto l'embargo sui cereali destinati all'Unione Sovietica, un doppio provvedimento che potrebbe danneggiare indirettamente persino gli alleati europei dell'America. Per il momento si può dire che il riavvicinamento fra i corsi di scambio mondiali e quelli europei potrebbe attenuare le critiche americane sull'asserito protezionismo europeo. A meno che i margini tornino a diventare abbastanza ampi e allora la concorrenza planetaria diventerebbe ancora più aspra. Jacques Grall
Persone citate: Jacques Grall, Nixon, Reagan
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