E' crudele allo zoo la stagione dell'amore di Gigi Caorsi

E' crudele allo zoo la stagione dell'amore Gli animali in gabbia costretti ad esibirsi sotto gli occhi divertiti dei visitatori E' crudele allo zoo la stagione dell'amore In questo momento lo zoo di corso Casale è un 'assurda, compassionevole Corte d'Amore. La primavera fiorita fa dimenticare agli ospiti di quell'istituto la loro grama condizione di prigionieri alla gogna. La natura li obbliga, inconsapevoli, a celebrare gli eterni riti dell'avvicinamento, della seduzione e del matrimonio. Spietata stagione, crudele natura. A pochi passi dall'ingresso principale si esibisce una coppia di pavoni bianchi. Sono molto belli. Con le penne caudali il maschio ha eretto una fantastica raggiera abbagliante come un tramonto e se la porta solennemente in giro, splendido e stupido (ai nostri occhi umani). La femmina sembra insensibile al richiamo. Passeggia e becchetta fra la ghiaia del viale lanciando ogni tanto un grido stridulo e sgradevole (alle nostre orecchie umane). Tutte cosi, sempre cosi queste signorine: ostentano un'indifferenza che in realtà non provano. Fa parte del gioco: ma sono attentissime alle manovre della controparte e morirebbero di rabbia se il maschio non le bombardasse di proposte audaci ch'esse fingono di ascoltare distrattamente, con sufficienza e noia. Intorno a questi due c'è un gruppo di ragazzini delle scuole medie. Li osservano con precoce cinismo e senza troppa curiosità. Sembra che si divertano di più a spintonarsi rudemente chiamandosi l'un l'altro con nomi di manifesta origine cinematografica: Samanta, Sabrina, Maximilian. Manuela, Mona (meno male che siamo a Torino e non a Caprino Veronese o sul litorale di Trieste). Un po' più in là nella loro gabbia una gura coronata, elegante uccello di chissà dove, liscia accuratamente col becco la cresta cotonata della sua compagna che si lascia fare con tenero abbandono. E' un piacere vedere due creature andare così d'accordo. Nella gabbia accanto un rutilante fagiano dorato aggredisce coraggiosamente il giovane guardiano intento alle pulizie del mattino. Da quel che si capisce l'irascibile pennuto è geloso dell'uomo che, bonariamente, cerca di rassicurarlo con parole di pace: «Ma cosa vuoi che m'importi della tua femmina, stupidone, a me non interessa tua moglie, brutta bestia, stai tranquillo che non te la tocco...». Noi siamo disposti a credere alle oneste intenzioni del guardiano, ma il fagiano no. E continua ada attaccare col becco e con gli artigli i jeans del giovane che ride e lo minaccia gentilmente con la scopa. Scherzi della primavera. Nella gabbia maleodorante dei grandi rapaci (che spettacolo malinconico vedere queste forti creature dell'aria e del cielo ridotte in così avaro, squallido spazio) un grifone raccoglie puntigliosamente rametti e fronde al suolo e li accumula in un angolo. La dolce stagione gli ricorda oscuramente che è tempo di nascite e di nidi, l'istinto lo guida. Povero infelice. Non sa, sventuratissimo fra tutti gli uccelli, che per lui non c'è futuro di tepidi asili sulle alte montagne, né gioia di pigolanti piccini in attesa di cibo. Non sa di poesia il grifone frustrato, se sapesse lo sentiremmo gemere nella sua lingua grifonesca il lamento del poeta: • Maudit printemps. re- viendras tu toujours?», tornerai sempre maledetta primavera con le tue antiche voci che non posso ascoltare, tornerai ancora a ridestarmi sacre voglie che non posso soddisfare? Vedovo e solo, apparentemente rassegnato, l'immenso ippopotamo sembra invece sordo agli amorosi richiami dell'aprile. Con l'immane forno della bocca spalancata, in disdicevole quanto patetico atteggiamento di accattone, aspetta che qualcuno (contravvenendo al divieto) gli faccia la carità di un bocconcino ghiotto. Incauto bestione, non sa che l'uomo è stupido e cattivo e le sue elemosine sono pericolose per gli animali. Un ippopotamo come questo è morto, tempo fa. per avere fiduciosamente inghiottito l'oggetto di plastica o altra mortale materia che un malvagio o un incosciente (fa lo stesso) gli aveva gettato. Un altro solitario, l'orso polare misura a passi nervosi di ergastolano senza speranza i pochi metri del suo recinte. Per lui, che non può dimenticare le sconfinate distese di ghiaccio dove vive la sua razza, la primavera è l'anticamera della peggiore fra le stagioni: la torrida, asciutta estate temuta dagli orsi A gennaio è nato un cervo porcino e i felici genitori forse trovano conforto alle miserie della loro galera covandosi con occhi adoranti la piccola creatura un po' goffa che gli zampetta dintorno. I cervi porcini pensano? E se pensano, quali sconfortanti pensieri svolgeranno sul futuro del loro figlioletto, nato prigioniero da babbo e mamma prigionieri? Accasciato in un angolo, come il rottame di quell'ilare bestiola affettuosa ricordata nelle Lettere di Virginia Woolf che amava firmarsi con lo pseudonimo di Wallaby, sta il canguretto così chiamato dagli zoologi. Infelice Virginia, sfortunato Wallaby: se esiste un Dio per gli scrittori malati di nervi e per i canguri malati di nostalgia, è da augurarsi che questo Dio di giustizia vi ricongiungerà un giorno in un paradiso anglo-australiano fatto a vostra esatta intenzione. Come i grandi rapaci, così sono strazianti i grandi felini, leoni, tigri, pantere e leopardi che in questo luogo vediamo destituiti dei loro più nobili tratti esposti come si trovano a essere alla curiosità beffarda e maliziosa di indiscreti senza rispetto. Accovacciato sulle zampe posteriori, con gli occhi socchiusi e la coda irrigidita, il regale leone faceva la pipi. Spettacolo raro. Le scolaresche raggruppate davanti al gabbione ridevano affascinate e commentavano con inaudita libertà di linguaggio. Sono fuggito arrossendo per loro, per il leone, per me stesso. Dagli alberi appena richiamati in vita dalle prime foglie di tenero verde si tuffavano stormi di passeri e colombi ad approfittare del cibo dei fratelli in cattività. Furbi uccelletti che hanno trovato il modo di campare bene alle spalle degli infelici secondo l'eterna legge (ben nota anche agli uomini, una delle poche che applichino con coscienza) secondo la quale la sventura di alcuni è la fortuna di altri. Gigi Caorsi

Persone citate: Virginia Woolf

Luoghi citati: Caprino Veronese, Torino, Trieste, Virginia