LA CITTA' ALLA RISCOPERTA DI UN RUOLO STORICO

LA CITTA' ALLA RISCOPERTA DI UN RUOLO STORICO LA CITTA' ALLA RISCOPERTA DI UN RUOLO STORICO Genova, l'edilizia impazzita Diminuiscono, con le occasioni di lavoro, anche gli abitanti - Tuttavia «temiamo che nell'82 migliaia di famiglie restino senza casa» - Decine di migliaia di appartamenti vuoti o sottoutilizzati, restauri abusivi, cantieri assurdi - II Comune ha migliorato i servizi sociali - Cosa farà la nuova amministrazione? DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GENOVA — La popolazione genovese diminuisce da dieci anni. I residenti erano 817.157 nel 1971. alla fine del 1980 erano 774.653. Ogni anno, in media, un calo di quasi 5000 unità, e il fenomeno tende a accentuarsi. Le statistiche danno mensilmente un saldo negativo ne! movimento naturale (lo scorso anno mancarono 5170 nati per bilanciare il numero dei morti) e nel movimento migratorio. Non c'è ricambio: da molto tempo si è spento il dinami- I sino che provoca afflusso di mano d'opera. Genova anticipa rispetto alle altre città industriali del Nord, che da qualche anno perdono abitanti, una evoluzione strutturale spinta oltre i limiti dello «Zpg«.o «svilup- . po demografico zero*, auspi- \ cato dai neomalthusiani. L'indice di vecchiaia è doppio nel confronto con la Lombar- j dia. I pensionati si avviano a prevalere sugli attivi, mentre i giovani cercano altrove oc- , casioni di lavoro, qui scarse soprattutto per i neolaureati. 1 medici sono sovrabbondan- ' ti. le facoltà umanistiche pròducono dottori che faticosamente cercano un posto da impiegati nelle aziende commerciali. La forte contrazione dei re- j sideriti potrebbe far immaginate una città equilibrata, che ha risolto o sta risolvendo \ i problemi sociali delle metropoli sovraffollate. Primo il problema della casa. Sulla carta i 774 mila genovesi han¬ ' l j : ' ' ; I i I I . \ j , ' j \ no a disposizione 309.655 abi- j fazioni, occupate per quasi metà da proprietari, con un rapporto di un vano e mezzo per abitante. Situazione ap- j parentemente invidiabile, tale da rallegrare i fautori della drastica limitazione delle nascite, i quali dicevano «se gli italiani facessero meno figli le citta, non sarebbero conge- J stionate. tutti avrebbero una casa». La realtà qui è oppo- i sta. Sedicimila famiglie chie- '■ dono al Comune e all'Istituto case popolari un alloggio a \ basso costo: il fabbisogno complessivo è stimato in 54 mila ■■unità abitative» nel '■ prossimo decennio. Duecento \ famiglie senza tetto sono ospitate in alberghi a spese del Comune. Sull'altro versante trovia' ino 13 mila appartamenti l vuoti, decine di migliaia sotto-utilizzati. Secondo un'ipoj tesi fatta dal Cresme (Centro di ricerche economiche, sociologiche e di mercato nell'e: dilizia) la redistribuzione e la ristrutturazione degli alloggi vuoti o male utilizzati potrebbe annullare il deficit ' abitativo a Genova. «Lo ' spreco è enorme», dicono al Sunia (Sindacato inquilini e assegnatari). «Oli alloggi tenuti deliberatamente vuoti dai proprietari non sono ; moltissimi, forse 3000 seconI do le nostre stime. Pesa moli to di più il numero delle stanze inutilizzate in appartaI menti molto grandi. Nel centro storico abbiamo casi clamorosi: 250 metri quadri per due pensionati, marito e mo- glie, i quali non hanno neppure la possibilità di scaldarsi d'inverno». Benché da vent'anni si parli di indagini nel centro storico, nessuno sa quale sia la riserva di stanze recuperabili. Secondo il Sunia un dato è rivelatore: ogni anno 300 appartamenti vengono lasciati liberi perché ridotti in condizioni di assoluta inabitabilità. Vanno a aggiungersi alle migliaia di alloggi trasformati in sedi di uffici, studi professionali, residenze di lusso. Gli interventi pubblici sono stati finora limitati a 150 alloggi in Salita del Prione, Via del Colle, Vico Indoratori. Pochi, se si tiene conto della silenziosa operazione di ■ restauro speculativo» in atto da molti anni nel centro storico di Genova (40 ettari di monumenti, dimore patrizie in parte degradate, abitazioni povere di origine medievale raddoppiate in altezza alla ricerca del massimo sfruttamento). Appartamenti in pessime condizioni 180 per cento privi di bagno nel 1973) venivano acquistati per pochi milioni, anche 3 o 4, da singoli risparmiatori e da società immobiliari. Quando gli occupanti li lasciavano liberi o per cause - naturali» ila morte di vecchi pensionati, molto numerosi nei quartieri antichi più poveri e malridotti) o perché spinti al trasferimento da condizioni insostenibili e «buone uscite». ì proprietari li trasformavano, magari con aggiunte abusive, affittandoli o rivendendoli a prezzi dieci volte più alti. L'operazione continua, non contrastata efficacemente dalle nonne del nuovo piano regolatore. ■ Il mercato della casa sembra impazzito nel centro storico e nei quartieri del Levan- I te. Si leggono annunci pubblicitari che offrono in vendi- i ta un appartamento non ec- \ cezionale. sulla collina di Al- I baro, per un miliardo tondo. La forbice tra capacità di spesa di chi cerca casa e prez- i zi o canoni d'affitto si allarga i mese per mese, moltiplicando 1 il numero delle famiglie che si rivolgono all'edilizia pubblica. Mi dicono al Sunia: «Oggi la casa di tipo econo; mico-popolare in un quartie: re periferico è la sola speran| za per larghe fasce di popolaj zione che un tempo mirava| no ai quartieri borghesi. Le | nuove costruzioni private, anche se offerte a equo canone, richiedono affitti di 300-400 mila lire mensili per 90 metri quadri. Non resta che il rifugio dell'edilizia sovvenzionata, con i suoi canoni sociali, che però è limitata». Vastissima e in dilatazione è invece l'ondata degli sfratti, delle disdette motivate con espedienti familiari. L'assessore all'Edilizia residenziale. Luigi Castagnola, dice: «Temiamo che nel 1982 migliaia di famiglie si trovino senza casa». Per il futuro il Comune punta al recupero delle abitazioni degradate e a tempi brei-i conta sull'edilizia nuova di iniziativa pubblica: «Abbiamo in costruzione o in programma 10 mila alloggi. \ nei diversi settori». Un con- i tributo non risolutivo ma importante perché indica una svolta nella politica per l'edilizia a Genova. Il lungo ciclo di egemonia democristiana, con appoggio socialista in diversi periodi, aveva ridotto a poco o nulla l'edilizia di carattere sociale, lasciando via libera alla speculazione. Già l'ultima amministrazione con maggioranza e sindaco de aveva messo in cantiere (senza però decidersi a approvarlo) un piano regolatore che limitava lo sviluppo di Genova come ammasso di residenze a alto costo (il vecchio piano del 1959 dava spazio a case per otto milioni di abitanti) e aveva avviato alcune iniziative di edilizia sovvenzionata e convenzionata, come il nuovo quartiere ■ di Begato. L'amministrazione di sinistra ha dilatato i programmi di edilizia sociale, li trasferisce sul terreno. La mostra aperta a Palazzo Ducale illustra i progetti e le realizzazioni in corso: nuovi quartieri di abitazioni comunali e Iacp. oppure di abitazioni costruite da cooperative e da imprese convenzionate, per un totale di 7067 alloggi negli anni 1981-'84. La mostra è però piuttosto acritica, o reticente, su tre aspetti dei nuovi insediamenti: i costi, la distribuzione nella geografia urbana genovese, l'impatto sul territorio già duramente violentato negli anni che precedettero la drammatica alluvione del 1970. Affitti di 300 mila lire mensili, prevedibili nelle nuove abitazioni «convenzionate», escludono automaticamente il fine sociale. La distribuzione: Veltri. Prà. Pegli. S. Eusebio. Valpolcevera. un solo quartiere nuovo a Quarto. Si rinuncia cosi a capovolgere lo schema della vecchia gerarchia che confinava gli strati sociali economicamente deboli nel Ponente e nelle valli, in ambienti disumani e inquinati, lasciando il Levante alla borghesia medio-alta. I can fieri vengono aperti su terreni fortemente acclivi, a vocazione agricola o forestale, aprendo enormi ferite con conseguente costruzione di inuraglioni in cemento per evitare frane paragonabili a quella storica che coinvolse il famoso «biscione», colossale S N blocco di alloggi nato privo di servizi su una collina instabile. Le precauzioni di natura geologica e le indagini preventive dovrebbero essere intensificate, con parallela ricerca di architetture più ag, giornate. I nuovi quartieri soI stituiscono gli antichi terrazzamenti, un sistema artificioso di mura ciclopiche, di via■. bilità interna, di edifici a molti piani, creando ambieni ti da incubo: i palazzi-diga di Begato che sbarrano una conca, gli edifici a scalinata i di Pegli 3, le allucinanti trasformazioni delle colline di Voi tri e di Prà fanno temere per gli equilibri idrogeologici, ignorano il clima locale, negano qualsiasi rapporto uomo-ambiente naturale. L'amministrazione comunale proi'vede i servizi socia, li. un tempo carenti. Nelle scuole, le classi a tempo pieno sono più che raddoppiate, , benché la popolazione sia diminuita: raddoppiati i campi sportivi e le palestre: diffusi i consultori in tutta la città. Si , moltiplicano i centri per l'assistenza agli anziani, i servizi i per gli handicappati. Ma il problema di fondo resta quel1 lo del «recupero» del centro storico e dei quartieri invecchiati, da affrontare in chiave di difesa degli strati più ' deboli. Gli studi per il centro [ storico consegnati da sei celebri architetti alla fine di marzo sono un contributo di idee. Ma l'amministrazione che sarà eletta dopo il voto di giugno dovrà avere il coraggio di passare a un piano or: ganico di intervento, per rei stituire la città ai genovesi '■ oggi costretti a lasciarla in ; cerco di una casa ai margini i o al di fuori del Comune. Mario Fazio

Persone citate: Luigi Castagnola, Mario Fazio, Veltri, Vico Indoratori

Luoghi citati: Genova, Quarto