New York: lezione di sopravvivenza di Furio Colombo

New York: lezione di sopravvivenza GUERRE, CRISI ECONOMICHE, NUOVE RELIGIONI SCATENANO UNA MODA New York: lezione di sopravvivenza Si diffondono in America le organizzazioni per la difesa personale - Con i gas lacrimogeni anti-aggressione, si vendono anche prodotti da usare «in caso di contaminazione nucleare»- Metà dei «best seller» sono guide pratiche alla salvezza - E' la cultura che i sociologi definiscono «survivalismo»: alimenta guru, predicatori-guaritori e continua ad espandersi NEW YORK — / titoli dei giornali potrebbero essere montati come nelle sequenze d'apertura dei celebri filmdocumento dell'America Anni Quaranta. New York Times, 23 gennaio: «Filadelfia è sconvolta da bande di giovani armati. Si chiamano wolf packs (branchi di lupi) e colpiscono in gruppi di quindici o venti. Hanno l'audacia di presentarsi a eventi cittadini, festival, partite di baseball, e attaccano apertamente, sfidando anche la polizia». Los Angeles Times, 21 febbraio: «Los Angeles nella paura: gli omicidi sono aumentati del venticinque per cento rispetto allo stesso periodo del 1979. La polizia è disorientata dai delitti erratici e immotivati, come sparatorie improvvise da una finestra o da un'auto in corsa». Miami Herald, primo marzo: «Miami è il territorio di una guerra non dichiarata. Alcune zone della città si distinguono ormai, secondo i tipi di crimine, con il nome di "Vietnam", "Dodge city". "O.K. corrai", e "War zone". Negli ultimi dieci mesi i casi di violenza e di stupro sono aumentati del duecento per cento (da 20 a 60 in un solo quartiere)». New York Times. 17 marzo: «E' uno scandalo che una grande città come New York debba affidare la propria difesa, nella ferrovia sotterranea, a bande di adolescenti di ambigua reputazione». Le bande di adolescenti di cui parla il New York Times sono i famosi «guardian angels» (angeli custodi) pattuglie di ragazzini volontari, sgraditi alla polizia ma accettati volentieri dai passeggeri della metropolitana, specialmente i più anziani, perché qualche volta salvano. Ma è proprio qui. accanto alle notizie apocalittiche, che compaiono, a volte coloriti, a volte bizzarri, a volte drammatici, i segni di una nuova cultura che va emergendo lentamente nel giornalismo, nelle abitudini e nel comportamento. E' la cultura che i sociologi hanno già definito «survivalismo», cioè tecniche e pratica della sopravvivenza. Come esempio di questa nuova cultura il sociologo James Nathan, dell'Università del Delaware racconta: «Una compagnia petrolifera texana ha appena inviato a tutti i suoi clienti una circolare in cui fa sapere di avere messo a punto un servizio di tiratori scelti. Essi possono essere messi a disposizione del cliente entro ventiquattro ore in qualsiasi zona del mondo». Lo stesso Nathan cita il caso di un altro industriale del | Texas, Ross Perot: «Nel 1978. appena informato che alcuni suoi dipendenti erano prigionieri degli iraniani. Perot non perse tempo e non si consultò con il governo americano. Organizzò e finanziò una operazione di commando, reclutando gli uomini da una delle sue aziende, la "Electronica Data System". Evidentemente doveva trattarsi di personale già addestrato. Un colonnello di fanteria della riserva venne incaricato di guidare l'operazione. In poche ore e senza perdite, gli uomini di Perot in Iran furono liberati». La paura Nathan ricurda la polemica che l'iniziativa unilaterale dell'energico imprenditore aveva suscitato in quel periodo nell'America carteriana. «Urna'.Ilaria o no — aveva scritto il Washington Post — l'azione di Perot non è che la violazione della sovranità nazionale di un altro Paese». Pero! non aveva avuto difficoltà a difendersi e il fatto che la sua iniziativa sia stata lasciata cadere nel silenzio sia dagli americani che dal governo di Teheran dice forse qualcosa dell'epoca che i «survivalisti» ritengono di interpretare. «Ma attenzione», dice Paul Erdman, l'autore del celebre fanta-romanzo II crollo del '79 in cui, con anni di anticipo, avelia descritto la caduta dello scià dell'Iran e il caos in quell'area (ma non solo in quell'area) del mondo. «La paura che spinge al survivalismo non è solo paura fisica o attesa della violenza. C'è un senso di solitudine e di abbandono (sensazione che l'autorità sia debole, i governi incapaci, le leggi inutili) che si trasforma allo stesso tempo in nuova aggressività e nuovi strumenti di difesa. Quella solitudine è solo in parte legata agli aspetti fisici della vita. L'angoscia economica è molto più diffusa e profonda. Come vive una comunità che tocca banconote dal valore incerto, vive una vita senza promesse, vede crescere figli di cui non conosce il futuro, non sa se spendere o risparmiare, se credere o essere cinica, se lavorare in gruppo o ciascuno da solo contro tutti, se stipulare alleanze o ritirarsi in un isolamento che col tempo non può che diventare insano?». Erdman tiene a spiegare che non sta descrivendo niente di apocalittico e «niente di specialmente americano». «Noi. dice, eravamo e siamo un mondo che può funzionare solo con la promessa e l'immagine ben chiara del rapporto tra oggi e domani. La nostra cultura è fondata sull'idea di progresso. E' quella idea che genera l'osservanza della legge, lo spirito di collaborazione, il lavoro ben fatto, il risparmio, l'inve- semento ben calcolato, l'attesa del premio. Se l'anello con l'ottimistica attesa del futuro si spezza, entriamo in un modo di vivere forse più eccitante e avventuroso, certo immensamente diverso da quello che ci era familiare e al quale siamo stati educati». Erdman. il cui prossimo libro si intitola (con un presagio sgradevole) The end of the U.S. (La fine degli Stati Uniti) avverte che «ogni sorta di profeti, di leader, di comportamenti compaiono in queste epoche in cui il senso del futuro si sgancia come accade nelle navicelle spaziali». Una serie di fatti sembra dare ragione a Erdman. e alla sociologia survivalista di Nathan Se si scorre la lista dei best sellers di questi mesi in America, si scopre che la metà sono libri o manuali di sopravvivenza, che vanno da come salvare la casa a come adattarsi alla vita nella foresta. «L'ottimismo, commenta lo psichiatra Robert Coles. scorrendo quella lista, non è finito. Si esprime però in un altro modo, che è un modo stravolto. Prima si immagina la tragedia, poi si dice a se stessi (o. attraverso libri e manuali, al pubblico) come riuscire a salvarci, coltivando l'illusione che la salvezza comune sarà di pochi. Questi libri sono best sellers proprio perché diffondono l'illusione quasi da talismano, di acquistare una guida della salvezza che. al momento cruciale, per altri non sarà disponibile. Se dovessi definire questa sindrome, direi, nell'insieme, che è tipicamente immatura, infantile». Ma il vero segnale della cultura «survivalista», secondo Coles. è la nuova appassionata campagna per la pena di morte. «E' curioso, dice. come si sia creato questo strano e sinistro rapporto fra coloro che condannano l'aborto e coloro che vogliono con passione e con rabbia la pena di morte. Le stesse persone, gli stessi gruppi e schieramenti proclamano la santità della vita e poi chiedono il diritto di spezzare la vita. Una simile contraddizione, che dovrebbe apparire evidente, mostra quanto il panico possa creare effetti di regressione. La protezione dei figli, compresi i non nati, è un gesto primordiale legato da un lato alla natura (e ai migliori sentimenti, naturalmente) ma da un altro anche alle esigenze economiche e di difesa del gruppo in condizioni di supposta emergenza. Ciascuno teme che il suo gruppo diventi meno numeroso, meno forte, nel caso di un confronto fra le tribù. Il potere di dare la morte viene visto invece come un conforto e una remunerazione contro tutte le altre incertezze». I «maestri» Ma il «survivalismo» ha frontiere ancora più grandi. Alimenta guru, personaggi carismatici, maestri veri e finti e la continua ricerca di una guida. Questo desiderio non è più limitato al tradizionale ambito della religione. Persino nelle cose pratiche si cerca un guru, un maestro assoluto. L'esempio che ha stupito l'America, lo scorso febbraio, è stato il gesto che la stampa americana ha definito (come un teorema) la «prova di Granville». Granville, fino a poche settimane prima personaggio noto soprattutto per la sua capacità di controllare con una sua messianica «lettera di orientamento» i piccoli investitori di provincia, un giorno di febbraio ha inviato un telegramma alle decine di migliaia dei suoi abbonati con un semplice messaggio: «vendere». In un giorno la Borsa ha perso di colpo 26 punti. Miracoli II giorno successila una trentina. «E' la cosa più irrazionale che abbia mai visto», ha commentato Léonard Silk. il columnist economico del New York Times. Ma, appunto, il comportamento «survivalista- tende a essere messianico, più che razionale, millenarista più che calcolato. Scrive il Boston Globe che i «predicatori-guaritori», nel nuovo improvviso diffondersi della predicazione cosi detta «evangelica» (questa parola identifica in America un particolare tipo di neo cristiane¬ simo caratterizzato più dal fervore che dalla ragione) sono ormai «più numerosi dei medici» e ha pubblicato una specie di tabella in cui il «valore» (che è un immenso valore in danaro) viene valutato in relazione alla capacità di predicare (cioè di esaltare la folla). Il giornale non ha le prove di questi miracoli, ma le conferme di una fede cieca e assoluta si trovano nella tabella del Boston Globe. E poi busta aprire il Los Angeles Times ogni sabato: ci sono due fitte pagine piene di «annunci religiosi» a pagamento dove e come i miracoli aleranno luogo il giorno dopo, domenica, e in quale chiesa. Il fenomeno si estende anche sul versante della ragione e della prudenza. Nella loro passione per la protezione dell'ambiente gli ecologi si fanno messaggeri di terribili profezie di distruzione. Una catena di supermercati, dal Maine al Vermont, offre ai clienti i prodotti dentro sacchetti o scatole che recano le istruzioni da seguire in caso di «contaminazione nucleare». Intanto a San Francisco è esploso il boom dei gas lacrimogeni, che ha contagiato tutta la California. Ogni famiglia prudente, si dice in molti avvisi pubblicitari, deve avere in casa la sua p'rov: vista di gas lacrimogeno. Si usa la bombola portatile. «Non vorrei che qualcuno trovasse queste cose esagerate o ridicole» (é ancora lo psichiatra Robert Coles che parla). «I comportamenti individuali o di gruppo possono far sorridere o apparire grotteschi. Ma che cosa dovrebbe rispondere, in solitudine, la gente comune, in un'epoca in cui gli economisti sono incerti sulla conseguenza di ogni gesto, i militari cercano essi stessi la garanzia nella quantità di potenza, i governanti sembrano guardarsi intorno altrettanto insicuri e smarriti?». Tutto lascia pensare, assicurano i tecnici degli oggetti e gli studiosi del comportamento, che la cultura del «survivalismo» continuerà a espandersi. Furio Colombo New York. Volti tesi nella metropolitana. Giovani volontari cercano di proteggere dalle aggressioni i passeggeri anziani