I quadri dell'ambasciatore

I quadri dell'ambasciatore COME SI DISPERDE (E SI DISTRUGGE) IL NOSTRO PATRIMONIO ARTISTICO I quadri dell'ambasciatore Con la strana formula del «deposito temporaneo» migliaia di dipinti vengono sottratti alle Gallerie statali per arricchire legazioni, consolati, uffici culturali all'estero, ministeri - Molte volte il funzionario interessato non ne conosce il valore, spesso l'opera d'arte finisce per sparire - La vicenda tristemente esemplare delle collezioni Corsini e Torlonia Tempo fa, durante una visita effettuata, per ragioni di lavoro, all'ufficio di un alto funzionario dello Stato italiano, mi capitò di fare un'inattesa scoperta, cioè un capolavoro della pittura genovese. Dietro il tavolo del mio interlocutore risplendeva una magnifica Pietà, che non tardai a riconoscere come di Luca Cambiaso. Ma né il funzionario, né il suo economo sapevano cosa fosse il dipinto; neppure ne conoscevano la provenienza, e ignoravano come mai fosse capitato lì. Tolta la splendida tela dal muro, ed esaminato il retro, non si scopri indicazione alcuna che servisse ad accertare la storia di un 'opera degna di un grande museo e non certo (anche per il soggetto) di un ufficio della burocrazia. A me l'inattesa trouvaille non tornò affatto inesplicabile: la Pietà di Luca Cambiaso appartiene alle migliaia di quadri che sono stati a più riprese sottratti alle Gallerie statali per decorare uffici della capitale e di altre città, il Parlamento, ambasciate, consolati, ministeri, e persino luoghi tra i più impensati. Tale sottrazione è coperta dalla formula di deposito temporaneo, che assai spesso nasconde il deposito definitivo, se non l'abbandono vero e proprio delle opere d'arte, lasciate al loro destino senza controllo da parte dell'Amministrazione dei Beni Artistici e Storici, senza provvedere al loro restauro, e senza, in alcuni casi, la ricevuta o la documentazione fotografica. Quando è stato compiuto questo vero e proprio saccheggio? I suoi precedenti sono ottocenteschi, ma il grosso della incredibile diaspora spetta al periodo tra il 1910 e il 1940, con una ripresa nel dopoguerra. Quali raccolte sono state intaccate? Praticamente tutte quelle maggiori, da Brera alla Pinacoteca di Parma, dalla Galleria Nazionale di Roma a quella di Napoli e a Firenze. Si sono salvate quelle collezioni cui, nel passaggio dall'Ammini- | strazione Comunale a quella dello Stato, furono apposti dei l'incoli speciali, tra cui quello della non rimozione dei dipinti dai limiti urbani; e sono i vincoli che hanno salvato dal flagello le Pinacoteche di Perugia e di Siena. Ma altrove, non sono stati rispettati neppure i più elementari principi della legge sui fidecommissi, e cioè l'indivisibilità e l'inalienabilità; sotto questo aspetto è tragica la vicenda toccata alle due raccolte fidecommissarie che furono donate alla Galleria Nazionale di Roma dalle famiglie Corsini e Torlonia. Gli elenchi completi dei quadri che componevano queste due importanti raccolte sono pubblicati nel volume di Filippo Mariotti sulla legislazione delle Belle Arti: sarebbe bene che un parlamentare facesse condurre un'inchiesta (beninteso, non addomesticata) per accertare quanti sono i pezzi ancora rimasti e rintracciabili, e quanti sono quelli inviati «in deposito temporaneo», cioè dispersi il- legalmente, e spesso perduti. Il risultato di una tale indagine sarebbe agghiacciante. Del resto, basta sfogliare il recente, sontuoso volume stampato a cura della Compagnia di Assicurazione La Fondiaria con il catalogo generale degli Uffizi per rendersi conto dell'indifferenza con cui sono state violate le clausole del testamento con cui l'ultima dei Medici, l'Elettrice Palatina Anna Maria, lasciava alla città di Firenze i tesori raccolti dai suoi avi. In questo senso, il fatto più grave è stato la dispersione di una raccolta unica al mondo e di inestimabile valore artistico e storico, come quella degli arazzi fiorentini; le diverse serie sono state smembrate, alcuni degli arazzi più preziosi sono stati esposti alla luce violenta, riducendoli a stracci. Non è stata rispettata neppure la meravigliosa sequenza degli arazzi a grottesche su cartoni del Bacchiacca: uno dei pezzi è finito all'ambasciata italiana di Londra, mutilando l'insieme che è esposto agli Uffizi. Sul modo con cui sono conservati questi «depositi temporanei» ci sarebbe da scrivere un volume; anni fa mi capitò di vedere (nell'Istituto di Cultura Italiana in rue de Varennes a Parigi) quattro tele, al solito di ignota provenienza, tra cui uno o due Luca Giordano: erano inchiodate, senza telaio, al muro curvo di una sala, e nessuno sul luogo ne conosceva l'origine. In qualche caso, i depositari hanno provveduto da soli, senza il parere delle Belle Arti, a restauri, anzi, la Camera dei deputati ha impiantato, mi dicono, un gabinetto di restauro indipendente, benché i dipinti in questione siano di Brera, di Capodimonte. della Galleria Nazionale di Roma. E non si tratta certo di opere secondarie: le scelte vennero condotte spesso da funzionari incompetenti, o sono dovute a epoche in cui Manierismo e Barocco venivano considerati non-arte. Nessuna meraviglia, dunque, che dipinti di grande importanza siano finiti in lontane ambasciate; né sarebbe improbabile che lo Stato abbia acquistato di recente opere assai meno importanti di quelle spedite fuori sede. Quanto ai controlli, essi non vennero eseguiti neppure in occasione della guerra; dipinti degli Uffizi affondarono alla Spezia, quando venne colpito un panfilo reale su cui erano rimasti come decorazione; un Bassano spedito a Varsaina è oggi nel Museo di Springfield nel Massachusetts, mentre il magnifico David e Betsabea attribuito a Giorgio Vasari e mandato a Berlino (ambasciata italiana) si trova nel Wadsworth Atheneum a Hartford nel Connecticut. Non si dica che tali episodi appartengono al passato; il vizio del deposito temporaneo è continuato e continua, senza che sia mai stato sollevato il progetto di un vero e proprio mobilier national. e senza che l'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti abbia denunciato l'abuso. E' vero che in talune sedi soprintendenziali è stato fatto qualcosa di positivo, come la ricognizione dei dipinti di serie B della Pinacoteca di Brera (spesso inviati fuori sede dall'epoca post-napoleonica e mai sottoposti a controlli), o come il ritiro di numerosi dipinti delle Gallerie fiorentine, già vittime di una insensata diaspora; ma si tratta di iniziative locali, prive del so- stegno di una visione globale e sistematica. E' inutile persino rammentare che questa sottrazione al pubblico godimento di una incredibile quantità di opere d'arte (spesso di alto livello qualitativo) avviene in Italia, un paese cioè che ha nel turismo una delle fonti di reddito più cospicue, e nel quale non mancano edifici insigni che. inutilizzati, vanno in rovina, mentre potrebbero esser sedi di importanti raccolte pubbliche. Nella vicina Francia questo problema è stato affrontato e risolto, ritirando tutti i dipinti delle più antiche scuole italiane che, parte della Collezione Campana, erano stati dispersi: la raccolta è ora nel Petit Palais di Avignone, dove è necessario recarsi per studiare e ammirare taluni aspetti del Tre e del Quattrocento italiani. Qui da noi invece, la dispersione viene riproposta su scala inaudita, come quando si sente ventilare il progetto (che non esito a definire aberrante) di togliere dal Museo Nazionale di Roma la Collezio?^ Ludoinsi. per portarla nel Palazzo del Quirinale. Ma qui si entra nel punctum dolens dei Musei e delle Gallerie Nazionali di Roma, una questione di tale ampiezza da richiedere una serie di interventi: anche perché ne risulta, in modo palese, il livello cui è precipitata l'Amministrazione delle Antichità e Belle Arti e il tipo di programma sul quale si basa la tutela del patrimonio artistico della capitale. Federico Zeri